Una domanda che molti si pongono è come sia possibile che persone acculturate cedano non solo alla credulità, ma diventino soggetti proattivi nella trasmissione di notizie che, forse, in altre circostanze li avrebbero visti scettici o perlomeno indifferenti
La disinformazione può essere forse considerata un sottoprodotto delle situazioni di emergenza. La pandemia rappresenta quindi un terreno di coltura ideale per la creazione e la diffusione di false notizie. Quelli che in passato erano spifferi, pettegolezzi, allusioni, oggi si trasformano immediatamente in tsunami grazie alla forza dei social media. Una domanda che molti si pongono è però come sia possibile che persone anche acculturate, avvertite, cedano non solo alla credulità, ma diventino addirittura soggetti proattivi nella trasmissione di notizie che, probabilmente, in altri tempi e in altre circostanze li avrebbero visti scettici o perlomeno indifferenti. Le teorie psicologiche e sociologiche in proposito non mancano. Un primo elemento che può entrare in gioco è, banalmente, la condivisione. Scambiarsi informazioni permette di confrontarsi su di esse e di verificare se sia il caso di passare a un’eventuale azione dopo averne soppesato insieme pro e contro. Un atteggiamento che, fra l’altro, è un antidoto all’isolamento in cui ci si trova a vivere in questi tempi. continua a leggere