articolo di Luigi Bolognini: https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2022/06/04/news/elton_john_concerto_a_milano_san_siro-352493089/?ref=RHTP-BH-I350153903-P3-S10-T1
Oltre due ore di show, senza una pausa: 24 canzoni in scaletta con tutto il meglio della sua produzione, con una dedica a Gianni Versace

La riforma delle pensioni in Italia potrebbe essere facilmente risolta seguendo il metodo Elton John: se tutti quelli che si ritirano dal lavoro lo facessero a 75 anni, ma con la garanzia di avere la sua forma fisica e mentale (sorvoliamo sul conto in banca), beh i bilanci dell’Inps sarebbero salvi. Posto che non ci crede nessuno al fatto che si ritirerà: il “final tour“, come lo chiama lui, è in corso da anni e anni ancora ne durerà.
Eppure solo adesso ha debuttato allo stadio di San Siro, davanti a 50mila persone giustamente osannanti di fronte a una delle leggende del pop. Che non ha deluso le aspettative, e anche qui viene da pensare a quanti vecchi leoni sdentati non accettino l’ineluttabile trascorrere dell’età e si trascinino di palco in palco affidandosi a tinte, lifting e altri effetti speciali. Elton invece è com’è sempre stato. Vabbè ha il parrucchino, ma da decenni, e il non avere mai avuto esattamente un look da sex symbol aiuta parecchio, specie adesso che non lo sarebbe comunque.
Perdipiù la sua professionalità è infinita, e se prende un impegno non lo disdice di certo (salvo casi come tre anni fa, quando annullò il secondo concerto a Verona per mal di gola, venuto però anche per aver strabiliato nel primo). Per dire, nel pomeriggio non ha rinunciato a esibirsi in onore di Elisabetta II per la festa dei 70 anni di regno. Però l’ha fatto in un video, per poter arrivare a Milano nel suo classico e comodo modo, su jet privato, e iniziare con un ritardo accettabile, 7 minuti, nulla rispetto all’andamento classico dei live. E una volta sul palco, dove è salito con occhiali rosa luccicanti, giacca blu scuro con revers metallizzati, e sulla schiena un sole rosso e la scritta EJ, quasi sobrio per i suoi gusti, ha dato davvero il meglio di sé: oltre due ore di show, senza una vera pausa, con la sua classica band di stratosferici musicisti ad accompagnarlo, su tutti l’uomo che ha sempre dato un ritmo rock al suo pop, il batterista Nigel Olsson, che ha una spilletta pro-Ucraina. Scaletta di 24 canzoni, forse poche in proporzione alle oltre 700 che risulta aver composto, ma dentro c’è veramente tutto il meglio di quel che è nato assieme al suo autore storico Bernie Taupin, da Rocket man (da molti valutata come merita solo dopo il film omonimo) a Tiny dancer, da Sorry seems to be the hardest word a Crocodile rock, fino a Don’t let the sun go down on me, che dedica “a un amico che è morto tanto tempo fa e che mi ha fatto scoprire Milano, Gianni Versace“. continua a leggere