La donna aveva denunciato il racket della prostituzione, mandando in carcere 40 persone. Aveva chiesto più volte di ottenere la cittadinanza. Sul permesso di soggiorno le era stato appena tolto lo stato di apolide
Roma, 09 novembre 2021 –
Disperata dopo che nel suo permesso di soggiorno era stato tolto lo stato di apolide e indicata la cittadinanza albanese e dopo anni di lotte non ce l’ha fatta più. Adelina Sejdini, ex schiava del racket della prostituzione, nata a Durazzo ma residente da oltre vent’anni in Italia, che con le sue rivelazioni aveva fatto state arrestate 40 persone e denunciare altre 80, in gran parte appartenenti alla mafia albanese, si è tolta la vita a Roma lanciandosi da un cavalcavia ferroviario.
Adelina viveva a Pavia ed era malata di tumore con frequenti ricoveri in ospedale al San Matteo. Più volte aveva chiesto di poter ottenere la cittadinanza italiana, opponendosi con tutte le sue forze alla cancellazione dello stato di apolide e all’assegnazione della cittadinanza albanese, il paese che aveva lasciato nel 1996 quando era arrivata in Italia a 22 anni. Nella sua nuova condizione, aveva sottolineato più volte, avrebbe incontrato enormi difficoltà a vedersi assegnata una casa popolare. Inoltre una commissione medica l’aveva anche riconosciuta invalida al 100%: non poteva neanche trovarsi un lavoro. E per protestare contro la burocrazia, alla fine di ottobre aveva deciso di andare a Roma, nonostante le sue precarie condizioni di salute, sperando di poter incontrare il presidente della Repubblica o almeno alcuni funzionari del ministero dell’Interno. Poi il 28 ottobre si è data fuoco: soccorsa e trasportata all’ospedale Santo Spirito a causa di alcune ustioni, la donna, su disposizione delle autorità, sarebbe dovuta rientrare a Pavia, ma è rimasta nella Capitale dove ha deciso di togliersi la vita.