Si è registrato al largo del Paese, davanti alla costa della prefettura di Aomori
Unterremotodi magnitudo 7,6 sulla scala Richter si è registrato al largo delGiappone, a una profondità di 50 chilometri davanti alla costa della prefettura di Aomori. Non si registrano danni. E’ stata diramata un’allerta tsunami. Lo ha reso noto l’istituto sismologico americano Usgs.
Breaking: a massive earthquake just hit northern Japan. The news is reporting that it was 6+ on the Japanese Intensity Scale. It was so strong that I could feel the shaking at my home near Tokyo. pic.twitter.com/XEvLjiUnCS
Lingua originale: inglese. Traduzione di Google Ultime notizie: un violento terremoto ha appena colpito il nord del Giappone. I notiziari riportano un’intensità di magnitudo 6+ sulla scala giapponese. È stato così forte che ho potuto sentire le scosse anche a casa mia, vicino a Tokyo.
La nostra regione è quella con il numero assoluto più elevato di casi
Tra gennaio e ottobre 91.719 denunce di infortunio, di cui 128 con esito mortale, e 4.181 denunce di malattia professionale
I dati diffusi dall’INAIL relativi alle denunce di infortunio e malattia professionale registrate nei primi dieci mesi del 2025 confermano un quadro nazionale che resta critico e mostrano, ancora una volta, come la Lombardia sia la regione con il numero assoluto più elevato di casi: tra gennaio e ottobre di quest’anno in Lombardia sono state registrate 91.719 denunce di infortunio, di cui 128 con esito mortale e 4.181 denunce di malattia professionale.
Milano rimane l’area con il numero più elevato di denunce (30.500 casi nei primi dieci mesi del 2025) seguita da Brescia (13.198), Bergamo (10.509) e Varese (8.240). La Lombardia è la regione che presenta anche più denunce degli studenti di ogni ordine e grado: 15.146 denunce, pari al 24% del totale nazionale, con un aumento del +7,1% rispetto al 2024 (di cui 398 in itinere e 14.748 in occasione delle attività scolastiche, queste ultime comprendenti anche infortuni avvenuti nell’ambito della “Formazione scuola-lavoro”). Due i casi mortali denunciati (uno in occasione delle attività scolastiche e uno in itinere).
“I dati che emergono dall’ultimo report INAIL – evidenzia la Segretaria Confederale UIL Lombardia Eloisa Dacquino – confermano quello che denunciamo da tempo: in Lombardia la sicurezza sul lavoro continua a essere affrontata con strumenti insufficienti e inadeguati rispetto alla complessità e alla dimensione del rischio. Non possiamo accettare che la nostra regione mantenga, mese dopo mese e anno dopo anno, il primato nazionale per numero di infortuni e malattie professionali. Non si tratta soltanto di un effetto dimensionale: gli incrementi registrati in diversi territori e in specifici settori, unitamente all’aumento dei casi tra gli studenti, è un segnale inequivocabile che qualcosa non funziona nei sistemi di prevenzione e controllo e che la responsabilità è diffusa”.
“Non possiamo accettare che i percorsi di formazione – scolastici o professionali – diventino un ulteriore ambito di rischio. La scuola deve essere un presidio di sicurezza, non un luogo in cui si aggiunge vulnerabilità”.
Si tratta di qualcosa che la segretaria confederale conferma chiamare in causa anche la qualità della valutazione dei rischi: “Persistono carenze nei sistemi di prevenzione, organizzazione del lavoro – continua Dacquino – l qualità della formazione e presenza ancora troppo diffusa di modelli produttivi che sacrificano la sicurezza sul lavoro alla logica della produttività. L’aumento delle malattie professionali, in particolare dei tumori e delle patologie muscolo-scheletriche, conferma che siamo di fronte a rischi sottovalutati, che emergono con ritardi inaccettabili nei processi di tutela e continuano a essere pagati sulla pelle di lavoratrici e lavoratori. È un tema che chiama in causa la qualità della valutazione dei rischi e l’efficacia dei controlli”.
“Di fronte a tutto questo – conclude Dacquino – la UIL Lombardia ribadisce la necessità di rafforzare le azioni di vigilanza, garantire formazione qualificata e verificabile, rendere pienamente operativi i Protocolli sottoscritti e un impegno concreto delle imprese nel garantire ambienti di lavoro sicuri. 302 denunce di infortunio al giorno nella nostra regione sono la testimonianza di un rischio ignorato, di un controllo mancato, di un diritto negato. Sono la conferma evidente che il sistema delle tutele e della prevenzione non sta funzionando e che le responsabilità troppo spesso si traducono in impunità: per questo chiediamo l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro, una Procura nazionale ad hoc e politiche pubbliche capaci di trasformare la sicurezza sul lavoro da principio dichiarato a condizione reale e quotidiana in ogni contesto lavorativo”.
Il lavoratore era rimasto incastrato in un macchinario mentre lavorava alla 3A di Arborea
ArboreaCi sono volute tutte le capacità dell’equipe medica per rimediare alle conseguenze dell’incidente sul lavoro avvenuto ieri, giovedì 4 dicembre, nello stabilimento della 3A ad Arborea, dove il lavoratore di una ditta che sta gestendo delle manutenzioni aveva subito la sub-amputazione di una gamba dopo essere rimasto incastrato in un macchinario. L’emergenza, gestita in un momento di elevata attività dell’Areus di Cagliari, aveva reso necessario il trasferimento all’azienda ospedaliero-universitaria di Sassari. Il ferito è giunto al Pronto soccorso, diretto dal dottor Paolo Pinna Parpaglia, con una sub-amputazione e un devastante arrotamento dell’arto che avevano causato un’ingente perdita di sangue e l’altissimo rischio di ischemia. Dopo essere stato subito avviato in zona rossa e stabilizzato dall’equipe di rianimatori e anestesisti diretta dalla dottoressa Grazia Canu, è stata eseguita una rapida angiotac che ha confermato la necessità di un intervento immediato.
L’operazione, durata oltre tre ore e tecnicamente riuscita, è stata eseguita dall’equipe diretta dal dottor Franco Cudoni, direttore del dipartimento Emergenza-Urgenza, con i chirurghi Luca Saturno e Tonino Zirattu. L’intervento ha richiesto il riallineamento del femore fratturato in quattro punti, l’isolamento dei vasi compromessi e la riattivazione della circolazione, con il cruciale supporto dei dottori della Chirurgia plastica e ricostruttiva. Il paziente è ricoverato in Ortopedia, in condizioni stabili ma gravi, con prognosi riservata. Rimane sotto stretta osservazione per prevenire eventuali complicazioni in presenza di traumi così estesi. Il prossimo passo sarà la valutazione congiunta con i chirurghi plastici per pianificare le azioni successive. Il dottor Franco Cudoni ha commentato: «La rapidità del trasferimento, l’attivazione immediata della sala rossa e la diagnostica rapida hanno consentito di eseguire l’intervento chirurgico e di salvare l’arto al paziente. Un successo di equipe con medici che hanno dimostrato di sapere lavorare con elevata professionalità e in piena sinergia».
I febbrili momenti immediatamente dopo l’incidente del 3 ottobre 2023
L’inchiesta sulla strage del bus precipitato dal cavalcavia superiore di Mestre il 3 ottobre 2023 si è chiusa con l’iscrizione nel registro degli indagati di sette persone: si tratta di sette tecnici del Comune di Venezia, tutti appartenenti, a vario titolo, ai settori Viabilità, Lavori pubblici e Manutenzione della terraferma. La Procura della Repubblica ha ricostruito un quadro che risale indietro nel tempo, individuando nel guardrail del cavalcavia un punto critico noto da decenni e mai risolto,ritenuto elemento centrale nella dinamica dell’incidente che causò 22 morti e oltre una decina di feriti gravi nel più grave disastro stradale mai registrato nel territorio veneziano.
Le indagini erano iniziate subito dopo la tragedia, con un primo approfondimento sulla condizione dell’autista, Alberto Rizzotto, deceduto nello schianto. Le verifiche sul suo stato di salute esclusero rapidamente l’ipotesi del malore alla guida. L’attenzione si spostò quindi sulla meccanica del mezzo, un bus Yutong gestito dalla compagnia “La Linea”. Una perizia ritenne che lo sterzo si fosse bloccato poco prima dell’urto, circostanza che avrebbe impedito al conducente di correggere la traiettoria. La ricostruzione suggerì che l’autista, perfettamente lucido e consapevole, avesse tentato manovre utili ad attutire le conseguenze della perdita di controllo, rallentando la corsa e appoggiandosi al guardrail nel tentativo di proteggere i passeggeri.
Gli approfondimenti tecnici misero poi in luce che il guardrail, già compromesso e privo di un tratto di circa 2,4 metri presente dagli anni Sessanta, non avrebbe retto alla pressione del mezzo rallentato fino quasi all’arresto. Proprio quel varco divenne il punto in cui l’autobus si infilò, sbilanciandosi oltre il bordo del cavalcavia e precipitando per una decina di metri sulla strada sottostante, dove prese fuoco. Le verifiche successive su altri autobus dello stesso modello non portarono a conclusioni definitive, mentre l’attenzione investigativa si concentrò progressivamente sulle condizioni dell’infrastruttura.
La Guardia di Finanza, dopo mesi di accertamenti, ha ricostruito la storia manutentiva del cavalcavia, evidenziando come la criticità fosse nota a diversi livelli amministrativi. Secondo gli inquirenti, negli anni sarebbero state predisposte progettazioni di adeguamento e lavori di ripristino mai concretizzati. Un intervento di restauro risultava essere stato programmato proprio nei giorni precedenti alla tragedia, ma non ancora avviato sul tratto interessato.
Sulla base di questa ricostruzione, i pubblici ministeri hanno formulato le accuse nei confronti dei sette tecnici comunali, contestando loro, in forme diverse a seconda dei ruoli ricoperti, reati che vanno dal disastro colposo all’omicidio e alle lesioni stradali. Tra gli indagati figurano il direttore dell’area Lavori pubblici e Mobilità S.A., il responsabile del Servizio manutenzione della viabilità di terraferma A.C. e il dirigente del settore mobilità R.D.B., già coinvolti nelle prime fasi dell’inchiesta. In seguito sono stati aggiunti il responsabile del servizio ponti e viadotti G.A.S., il progettista e direttore dei lavori D.C. e due dirigenti ormai in pensione, F.F e F.P., che negli anni precedenti avevano ricoperto incarichi nel settore viabilità della terraferma.
La linea d’indagine della Procura sostiene che la presenza del varco nel guardrail fosse ampiamente nota agli uffici e che gli interventi necessari non fossero stati eseguiti nonostante le direttive ministeriali sulla manutenzione dei ponti e delle infrastrutture stradali richiedessero controlli e aggiornamenti periodici. Per gli inquirenti, tale omissione avrebbe contribuito in modo determinante all’esito mortale dell’incidente.
La posizione del presidente della compagnia “La Linea”, Massimo Fiorese, è stata invece archiviata. La Procura ha ritenuto che la società non potesse essere a conoscenza di eventuali difetti strutturali del cavalcavia né dell’esistenza del varco,elemento ritenuto estraneo alle responsabilità del vettore.
Il deposito degli atti rappresenta ora il passaggio formale che precede la possibile richiesta di rinvio a giudizio. Gli indagati avranno venti giorni per prendere visione del fascicolo, chiedere un interrogatorio o depositare memorie difensive. Le difese dei tecnici comunali hanno già contestato l’impostazione dell’inchiesta, sostenendo la correttezza dell’operato dei propri assistiti e segnalando che il varco nel guardrail fosse presente da oltre mezzo secolo. Hanno inoltre richiamato l’attenzione sulla perizia relativa alla rottura dello sterzo del bus, ritenuta una causa iniziale non adeguatamente considerata.
La Procura, guidata dal procuratore vicario, valuterà nelle prossime settimane se procedere con la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio o se archiviare alcune posizioni. La conclusione dell’indagine rappresenta un passaggio chiave in un procedimento complesso, che ha cercato di ricostruire l’intreccio di responsabilità tecniche e amministrative maturate nel corso di decenni.
Nella tragedia dell’autobus precipitato del 3 ottobre 2023 morirono 22 persone e 16 rimasero ferite, alcune in maniera molto grave.
Un sopralluogo conferma i progressi, ma problemi in galleria rallentano la corsa per febbraio 2026: “Criticità legate alla complessità del cantiere. Al lavoro per garantire apertura in sicurezza”
E’ sempre più difficile immaginare la tangenziale di Tirano completata in tempo per le Olimpiadi invernali, in programma il prossimo febbraio. La conferma arriva da una nota stampa diramata da Anas nel tardo pomeriggio di giovedì 4 dicembre, nella quale si riferisce del sopralluogo effettuato dal commissario straordinario Nicola Prisco e dai vertici della società, insieme al prefetto di Sondrio Anna Pavone e all’assessore regionale agli Enti locali e montagna Massimo Sertori, lungo il cantiere della Statale 38. In quell’occasione Prisco ha illustrato lo stato dell’arte dei lavori,mettendo in evidenza alcune criticità esecutive, legate alla complessità del cantiere, sorte nei lavori in sotterraneo.
“Nonostante ciò, lungo l’intera variante è stato completato il corpo dei rilevati stradali, mentre proseguono pavimentazioni e installazione delle barriere”, spiegano da Anas, ricordando come l’intervento “stia avanzando con il massimo impegno possibile, compatibilmente con le condizioni del terreno”.
Il ponte sull’Adda di Stazzona è ormai ultimato. Per quello di Tirano, già varato, si sta completando l’armatura della soletta, con conclusione prevista entro dicembre. “Contiamo di chiudere questa fase entro la fine dell’anno”, fanno sapere i tecnici. Sono in fase finale anche il sottopasso sotto la Statale 38 e quello sotto la ferrovia Sondrio–Tirano, dove la circolazione sarà ripristinata a breve.
Questione gallerie – Avanzamenti importanti anche sulla galleria artificiale “Il Dosso 1”, con posa dell’arco rovescio e della tratta finestrata già completate. Più complessa invece la situazione nella galleria naturale “Il Dosso”: lo scavo ha raggiunto 918 metri sui 978 totali, ma quisi concentrano le difficoltà maggiori, legate alla presenza di materiale non compatto e a caratteristiche geomeccaniche sfavorevoli. “In alcuni punti il fronte di scavo ha imposto adattamenti continui, perché il materiale non rispondeva alle previsioni”, spiegano ancora da Anas.
“Per garantire la sicurezza è stato necessario ridurre gli avanzamenti e intensificare i monitoraggi per tutelare le maestranze e assicurare lavori in totale sicurezza. Le fasi esecutive di conseguenza si sono rallentate. Sono presenti sul cantiere oltre 200 maestranze, con turni di lavoro sette giorni su sette”, sottolineano dalla società del Gruppo FS Italiane.
Alla luce dei rallentamenti, e in assenza della variante, con molta probabilità il traffico olimpico attraverserà così Tirano, lungo viale Italia, come avviene da sempre. “Anas, assieme all’impresa, sta comunque procedendo con impegno massimo e notevoli sforzi produttivi per superare gli imprevisti di carattere geologico e garantire l’apertura in sicurezza dell’intera variante di Tirano”, conclude la nota facendo intendere come arrivare pronti ai Giochi resti un obiettivo sempre più difficile da raggiungere.
articolo: Articolo redatto da Alessandro per alessandro54.com, con il supporto di ChatGPT (OpenAI).
Diciotto anni dopo la tragedia della ThyssenKrupp di Torino, il ricordo dei sette operai morti in fabbrica resta vivo ma la lezione è rimasta inascoltata. In Italia si continua a morire di lavoro, tra silenzi, indifferenza e assenza delle istituzioni.
Sette operai morti, sentenze definitive ma un Paese che continua a morire di lavoro
Torino, 7 dicembre 2025 –Diciotto anni dopo il disastro della ThyssenKrupp, il ricordo di quella notte resta una ferita aperta nella storia del lavoro italiano. Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 quando, nello stabilimento siderurgico di Torino, un violento incendio si sviluppò lungo una linea di produzione. In pochi istanti, le fiamme e l’olio bollente travolsero gli operai impegnati nel turno di notte.
Sette nomi da non dimenticare : In quel rogo persero la vita sette lavoratori:
Antonio Schiavone 36 anni, deceduto il 06 dicembre
Roberto Scola 32 anni, deceduto il 07 dicembre
Angelo Laurino 43 anni, deceduto il 07 dicembre
Bruno Santino 26 anni, deceduto il07 dicembtre
Rocco Marzo 54 anni, deceduto il 16 dicembre,
Rosario Rodinò 26 annideceduto il 19 dicembre,
Giuseppe Demasi 26 anni deceduto il 30 dicembre
Sette uomini, sette famiglie distrutte, vittime di un sistema che troppo spesso antepone la produzione alla sicurezza.
⚠️Le sentenze e i processi
2011 – Corte d’Assise di Torino (Primo grado): condanne per omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato Harald Espenhahn e altri dirigenti; TKAST responsabile civile.
2013 – Corte d’Assise d’Appello di Torino: rideterminazione delle pene, Espenhahn a 10 anni, gli altri dirigenti a pene tra 7 e 9 anni; conferma responsabilità civile per l’azienda.
2014 – Appello bis: conferma condanne per omicidio colposo e incendio colposo; TKAST sanzionata con 1 milione di euro e misure interdittive.
2016 – Corte Suprema di Cassazione: conferma delle condanne, escluso il dolo eventuale; sentenza di grande rilevanza giuridica sul tema della colpa cosciente.
⚠️Le sentenze
Nome
Ruolo/Posizione
Pena definitiva
Harald Espenhahn
Amministratore delegato (tedesco)
9 anni e 8 mesi
Gerald Priegnitz
Dirigente tedesco
6 anni e 10 mesi.
Marco Pucci
Dirigente italiano
6 anni e 10 mesi
Daniele Moroni
Dirigente italiano
7 anni e 6 mesi
Raffaele Salerno
Direttore (italiano) dello stabilimento di Torino
7 anni e 2 mesi
Cosimo Cafueri
Responsabile (italiano) della sicurezza
6 anni e 8 mesi
🔎 Sintesi
👉 I due dirigenti tedeschi (Espenhahn e Priegnitz) hanno scontato la pena in Germania, con modalità diverse rispetto agli italiani.
👉Gerald Priegnitz – condanna italiana: 6 anni e 10 mesi → scontata in Germania, scarcerato nel 2022 per buona condotta.
👉 Questi quattro dirigenti Italiani hanno iniziato a scontare la pena in Italia, senza riduzioni sostanziali.
Un Paese che continua a morire di lavoro: A 18 anni di distanza, la lezione non è servita. In Italia si continua a morire di lavoro, ogni giorno, tra l’indifferenza generale e l’assenza delle istituzioni. Le statistiche parlano chiaro: le morti bianche restano una costante, un bollettino silenzioso che accompagna la nostra economia e la nostra indifferenza.
La tragedia della ThyssenKrupp avrebbe dovuto rappresentare una svolta, un punto di non ritorno. Invece, è rimasta un simbolo di memoria e impotenza, ricordata solo nelle ricorrenze, dimenticata nella quotidianità.
📅 Anniversario: 7 dicembre 2025 🏭 Luogo:Torino – Stabilimento ThyssenKrupp ⚖️ Sentenza definitiva:Cassazione, 2016 – condanne confermate per i vertici aziendali
Categorie consigliate: Cronaca, Lavoro, Memoria Tag suggeriti: ThyssenKrupp, morti sul lavoro, sicurezza, Torino, anniversari, giustizia
🛠️Commento alessandro54
Si continua a parlare di nuove leggi sulla sicurezza, e proprio in questi giorni ne è stata approvata un’altra. Ma il problema non è creare norme nuove: il problema è far funzionare davvero quelle che già abbiamo. Da anni mancano controlli, personale e investimenti. Prima di aggiungere ulteriori regole, sarebbe stato più utile rafforzare quelle esistenti, che sulla carta sono già più che sufficienti.
La sicurezza non migliora con altra burocrazia – come la patente a punti per i cantieri – ma con ispettori, corsi di formazione, manutenzione degli impianti e responsabilità chiare, con pene certe per chi sbaglia. Ogni riforma che non parte da qui rischia di diventare una perdita di tempo e di risorse, mentre nei luoghi di lavoro si continua a morire come in passato.
E lo dimostrano casi come la tragica morte di Luana D’Orazio, una ragazza di 22 anni. È morta perché i dispositivi di sicurezza del macchinario erano stati manomessi e disattivati per aumentare la produzione. Conseguenze legali: i proprietari dell’azienda sono stati condannati a pene detentive con sospensione della pena per omicidio colposo, mentre il capo manutentore è stato assolto.
Un esito che lascia l’amaro in bocca e ci ricorda, ancora una volta, quanto sia urgente mettere davvero al centro la vita di chi lavora.
Domani 2 dicembre, dalle ore 15 alle 16.30, si terrà un flash-mob davanti alla sede Rai di via Teulada a Roma: l’iniziativa è promossa nell’ambito della mobilitazione nazionale indetta da Fp Cgil, Uil Pa e Usb Pi sulle condizioni di lavoro del personale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in occasione della messa in onda su Rai 1 della prima puntata della serie tv ‘L’altro ispettore’, la prima serie televisiva dedicata alla figura degli ispettori del lavoro”.
Lo si legge in una nota di Fp Cgil, Uil Pa e Usb Pi.
“E’ un fatto molto positivo che, in un Paese con tre morti di lavoro al giorno, il servizio pubblico televisivo abbia deciso di occuparsi di sicurezza sul lavoro, e di chi è istituzionalmente preposto a garantire tutele e diritti ai lavoratori, anche attraverso una specifica serie tv, provando a spiegare al grande pubblico la figura dell’ispettore del lavoro. La messa in onda di questa serie tv – prosegue la nota – rappresenta una occasione preziosa per diffondere conoscenza e promuovere ulteriori momenti di approfondimento sulla sicurezza sul lavoro, su chi è istituzionalmente preposto a garantirla, e sulle difficili condizioni di tutto il personale dell’INL che assicura oltre alla tutela dei lavoratori anche importanti servizi alla cittadinanza e garantisce il funzionamento dell’Ispettorato. Ogni momento e ogni iniziativa in questa direzione sono sempre più fondamentali per contribuire a diffondere la cultura della sicurezza e una maggiore consapevolezza nella società: una priorità di cui tanto si parla ma che ha bisogno di interventi sempre più concreti”.
Un guasto alla linea elettrica tra Gallese e Orte ha mandato in tilt la circolazione ferroviaria, con cancellazioni e ritardi di 150 minuti. I pendolari: “Fermi in mezzo al nulla per ore tra caldo infernale e rabbia”
Il treno rimasto bloccato in galleria a Orte (Foto da ViterboToday)
Viaggio da incubo per centinaia di pendolari. Lunedì primo dicembre, un problema alla linea elettrica tra Gallese e Orte ha mandato in tilt la circolazione ferroviaria lungo l’asse Roma-Firenze, provocando ritardi pesanti, cancellazioni e disagi su alta velocità, intercity e regionali. L’Italia, ancora una volta, si è trovata “tagliata in due”.
Il treno rimasto bloccato in galleria a Orte (Foto da ViterboToday)
Il guasto sulla linea elettrica Gallese-Orte – Tutto inizia intorno alle 17:40 quando Rete ferroviaria italiana comunica un forte rallentamento sulla linea Av Roma–Firenze in direzione nord, per accertamenti tecnici sulla linea di alimentazione elettrica tra Gallese e Orte. I treni incominciano ad accumulare ritardi fino a 60 minuti e sulla rete regionale, in particolare sulla tratta Roma Tiburtina-Orte, iniziano variazioni di percorso e cancellazioni.
L’intervento dei carabinieri (Foto da ViterboToday)
Il treno Italo bloccato in galleria – La situazione precipita quando un treno Italo, partito da Roma e diretto a Udine, si blocca all’interno di una galleria nei pressi di Orte. A bordo c’erano 460 passeggeri, tra cui due neonati, una donna incinta e due cardiopatici: sono stati assistiti dai soccorritori.
Sul posto sono intervenuti, in gran numero di uomini e mezzi, vigili del fuoco, protezione civile, carabinieri, polizia, guardia di finanza, personale ferroviario e i sanitari di Ares 118 e Croce bianca: hanno assistito i passeggeri durante le operazioni di trasbordo su un altro convoglio. Le attività si sono concluse, fortunatamente senza conseguenze fisiche, solo attorno all’1,30, dopo ore e ore di attesa nella galleria.
L’Inl rischia di essere smantellato e assorbito dal ministero, con il timore di perdere autonomia e capacità di controllo. Sindacati in assemblea il 2 dicembre
Il destino dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro è ormai al centro di un acceso dibattito e il rischio di un suo ridimensionamento è più vicino din quanto si pensi. A partire dal gennaio 2026, infatti, potrebbe avviarsi una riorganizzazione che prevede lo smantellamento dell’Agenzia e il suo accorpamento sotto il controllo diretto del Ministero del Lavoro. Un piano che sembra riproporre l’idea già ventilata dalla ministra Marina Elvira Calderone all’inizio del suo mandato, e poi accantonata per le polemiche politiche e mediatiche che aveva suscitato.
L’Inl, nato nel gennaio del 2017 come agenzia indipendente con l’obiettivo di centralizzare l’attività ispettiva a livello nazionale, ha sempre goduto di una certa autonomia, soprattutto in ambito regolamentare e amministrativo. Un’autonomia che oggi rischia di essere sacrificata nell’ottica di una riforma che, secondo i sindacati, potrebbe indebolire la funzione di controllo e di tutela del lavoro svolta dall’Ispettorato.
Micaela Cappellini, Ispettrice del Lavoro e Coordinatrice Fp Cgil Toscana per Inl, ha espresso le sue preoccupazioni a margine di un incontro con il Ministero del Lavoro avvenuto lo scorso 25 novembre, in concomitanza con la mobilitazione nazionale degli ispettori del lavoro. Durante la riunione, è emerso che la discussione sul possibile smantellamento dell’Agenzia dovrebbe partire subito dopo l’approvazione della legge di bilancio. “Temiamo che la perdita dell’autonomia ispettiva, sebbene non motivata da ragioni tecniche, indebolisca il controllo e la tutela del lavoro, rendendo l’Istituto sempre più vulnerabile agli interessi politici del governo”, dice Cappellini.
Un altro aspetto che solleva interrogativi riguarda il bilancio dell’Ispettorato, che è in attivo di oltre 240 milioni di euro. Secondo le voci che circolano, questa somma sarebbe destinata ad essere inglobata nel Ministero del Lavoro, suscitando il timore che venga utilizzata per scopi che non rispondono alle necessità dell’Ispettorato. I sindacati propongono, invece, di utilizzare questo avanzo per attrarre e consolidare il personale, sviluppare l’informatica e la digitalizzazione, e stipulare assicurazioni per i rischi connessi alla funzione ispettiva.
“È evidente – sottolinea Cappellini – che come Fp Cgil, temiamo la perdita della necessaria autonomia delle funzioni ispettive, svilite ed indebolite da un maggior assoggettamento all’esecutivo a danno dell’azione di controllo e di tutela del lavoro svolta attualmente dall’Ispettorato”. Inoltre, il piano di riorganizzazione dell’Inl coincide con l’introduzione del decreto sicurezza, che autorizza l’assunzione di dieci posizioni dirigenziali generali e cento dirigenzialinon generali all’interno dell’Ispettorato. Tuttavia, ciò non sembra risolvere il problema della carenza di personale operativo, con il governo che sembra concentrarsi più sull’aumento delle posizioni dirigenziali piuttosto che sulle assunzioni di ispettori, un settore che soffre da tempo per l’insufficienza di risorse umane.
Di fronte a queste incertezze, i sindacati, con la Fp Cgil in prima linea, continuano a lottare per la salvaguardia dell’autonomia e dell’efficacia dell’Ispettorato, ponendo al centro delle loro rivendicazioni il rafforzamento dell’intero personale, ispettivo e amministrativo, e il miglioramento delle condizioni di lavoro. La questione rimane aperta e il 2 dicembre, proprio mentre sulla Rai andrà in onda una fiction che racconta il lavoro degli ispettori, i dipendenti dell’Inl si riuniranno in assemblea per discutere delle sorti dell’ente. Previsto anche un flash-mob davanti la sede di via Teuleda a partire dalle ore 15.
Gli esami al J Medical hanno confermato la gravità dell’infortunio del serbo: lesione di alto grado della giunzione muscolo-tendinea dell’adduttore sinistro, serviranno altri esami
Dušan Vlahović
L’infortunio di Vlahovic è grave: l’attaccante dovrà rimanere fuori per un bel po’ di tempo come si era compreso subito, dal momento dello stop nel corso di Juve-Cagliari. Nel tentativo di calciare in porta, il serbo è andato a vuoto e ha avvertito immediatamente una fitta all’adduttore sinistro. Gli esami al J medical cui si è sottoposto hanno confermato le prime valutazioni mediche: l’attaccante ha rimediato una lesione di alto grado della giunzione muscolo-tendinea dell’adduttore di sinistra, per cui saranno necessari altri esami per definire meglio i tempi di recupero ma difficilmente saranno inferiori ai 3 mesi.
INFORTUNIO VLAHOVIC – Senza Vlahovic, toccherà a Spalletti inventare qualche soluzione nuova in attacco. Con la necessità di responsabilizzare i nuovi arrivati David e Openda, fin qui sottotono, e trovare strade alternative per giungere al gol. Dopo la partita di Coppa Italia con l’Udinese, la Juve si ritroverà ad affrontare tre gare decisive per lo sviluppo della propria stagione: col Napoli e il Bologna in trasferta (scontri diretti per la zona Europa) e in mezzo il Pafos all’Allianz Stadium, partita che va assolutamente vinta per non compromettere il cammino verso gli spareggi utili alla qualificazione per gli ottavi.Vlahovic fin qui ha dato una grande mano alla Juve, specie dall’arrivo del nuovo allenatore: l’infortunio azzera ogni discorso relativo alla possibilità di andar via a gennaio – considerato che ha il contratto a scadenza – e piuttosto accende i riflettori sulla sua importanza nella Juve di oggi, anche in ottica futura.
Prosegue la deriva verso lo strapotere del monitor. Vengono dati o non dati rigori secondo un regolamento che viene modificato e aggiornato in maniera artificiale, un protocollo dopo l’altro
Non è più solo un problema legato a un rigore, a un goal annullato o a un fuorigioco di sei millimetri. Il Var sta riscrivendo le regole del calcio e lo sta facendo male.Non perché la tecnologia non possa essere utile ma perché usata in questo modo prevale sulla realtà, diventando grottesca.
Le immagini al rallentatore possono aiutare a vedere qualcosa che non si era visto con l’occhio umano. Possono correggere un errore e ristabilire giustizia rispetto a qualcosa che una scelta sbagliata aveva concesso o tolto. Ma quando si arriva a distorcere il senso di un gesto sul campo, e succede sempre più spesso, il risultato è la rapida deriva verso un altro sport. Anche perché vengono dati o non dati rigori secondo un regolamento che viene modificato e aggiornato in maniera artificiale, un protocollo dopo l’altro.
Lo step on foot, ovvero il pestone su un piede, il fallo di mano quando il movimento non è congruo, i contrasti con le mani dietro la schiena. E si può andare avanti all’infinito. Tutto questo è calcio artificiale e non può che produrre risultati surreali. Succede spesso ma le ultime due giornate hanno regalato casi di scuola che non andrebbero ignorati. Casualmente, coinvolgono lo stesso giocatore, il difensore del Milan Pavlovic.
Durante il derby con l’Inter la revisione al Var assegna un rigore per un suo presunto fallo su Calhanoglu. Per il regolamento è rigore, per chiunque abbia giocato a calcio, a qualsiasi livello, no. Perché il fatto che colpisce l’avversario dopo che il cross è già partito e in maniera del tutto involontaria esclude che quello possa essere un fallo di gioco. E’ un fallo da monitor.
Nella giornata successiva, al 95esimo di Milan-Lazio, lo stesso Pavlovictocca con un gomito un tiro da trenta centimetri mentre sta contendendo la posizione al centro dell’area con un avversario. Qui anche il regolamento, o presunto tale, si incarta. Perché la decisione dell’arbitro dopo la revisione al Var è il contrario della realtà: non è rigore e non c’è il fallo del giocatore della Lazio ma la realtà del monitor dice che è rigore ma che non si può dare per un fallo inesistente. Due errori, clamorosi, nella stessa revisione. Ma c’è chi elogia l’arbitro, capace di uscire da uno psicodramma di dieci minuti con una decisione che, almeno, non cambia il risultato del campo.
C’è però un grande sconfitto, il calcio, quello vero. E Pavlovic, suo malgrado, può diventare da oggi il testimonial di quello che era uno sport pieno di errori arbitrali e che oggi è sempre più simile a un videogioco.
Solidarietà dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. In città si stava svolgendo un corteo per lo sciopero generale: “Le forze dell’ordine non lo hanno impedito”. Cosa è successo
La redazione del quotidiano La Stampa è stata devastata da un gruppo di manifestanti oggi, venerdì 28 novembre, a Torino. In città si stava svolgendo un corteo in occasione della giornata di sciopero generale che ha portato in strada circa duemila partecipanti.
L’assalto alla redazione de La Stampa: cosa è successo – Come riporta TorinoToday, parte dei manifestanti, un centinaio circa, si è staccato dal corteo principale per raggiungere la sede del quotidiano, in via Ernesto Lugaro.
Contro i cancelli dell’edificio è stato lanciato del letame e i muri sono stati imbrattati con delle scritte. Poi, decine di manifestanti hanno fatto irruzione all’interno della redazione dopo aver forzato un’entrata secondaria dell’edificio.
Il Comitato di redazione de La Stampa ha condannato l’episodio, definendolo “un attacco gravissimo all’informazione e ancora più vile perché accade nel giorno dello sciopero nazionale dei giornalisti per il rinnovo del contratto di lavoro e a difesa della qualità dell’informazione democratica, libera e plurale“, si legge nella nota del cdr.
“Senza che le forze dell’ordine lo impedissero, i manifestanti in parte a volto scoperto e in parte con passamontagna hanno forzato due porte della sede, e al grido di ‘Giornalista terrorista, sei il primo della lista’ hanno invaso la redazione, imbrattato i muri con scritte e buttato all’aria libri e carte preziose che usiamo quotidianamente per il nostro lavoro. Un violento attacco al nostro giornale e all’informazione tutta. Ringraziamo per le numerose manifestazioni di solidarietà immediatamente giunte in redazione da parte dei colleghi della Federazione nazionale della stampa, dell’Ordine dei giornalisti, dell’associazione Stampa subalpina, e inoltre del ministro dell’Interno, del presidente della Regione e del sindaco di Torino che è subito giunto in redazione manifestando solidarietà e condannando l’accaduto. Non abbiamo paura. Siamo giornalisti. E continueremo a fare il nostro lavoro senza farci intimidire“.
La solidarietà del presidente Mattarella – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto pervenire al direttore Andrea Malaguti e alla redazione de “La Stampa“ la sua solidarietà,unita alla ferma condanna della violenta irruzione nella sede del quotidiano.
Giorgia Meloni telefona al direttore Andrea Malaguti – La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha telefonato al direttore del quotidiano “La Stampa“, Andrea Malaguti “per esprimere a lui e a tutti i giornalisti della testata la solidarietà per ciò che è accaduto oggi a Torino“, si legge in una nota di Palazzo Chigi.
“Nel corso della telefonata, Meloni ha sottolineato che l’irruzione nella redazione centrale del quotidiano da parte di un gruppo di manifestanti dei centri sociali e dell’area propal rappresenta un fatto gravissimo che merita la più assoluta condanna. Il Presidente auspica, inoltre, una condanna unanime e ha ribadito che la libertà di stampa e informazione è un bene prezioso da difendere e tutelare ogni giorno“.
Assalto Pro-Pal alla sede de La Stampa: porta rotta, scritte e letame sui muri – TorinoCronaca
Il presidente della Lega Pro, Matteo Marani: “L’esclusione del Rimini, che avviene nel corso di svolgimento della stagione, genera un ulteriore grave danno alla Serie C”
Il presidente della Lega Pro, Matteo Marani
La Figc delibera, la Lega Pro recepisce. E il Rimini non esiste già più sulla cartina del calcio professionistico. Nella tarda mattinata di venerdì (28 novembre) la Lega Pro guidata dal presidente Matteo Marani ha già provveduto a riscrivere la nuova classifica del girone Bdella serie C e a riformulare il calendario, che comporta un turno di riposo forzato per le squadre che dovevano affrontare il Rimini.
La Lega Pro ha così preso atto della decisione assunta dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio in merito alla revoca dell’affiliazione del Rimini Football Club dal campionato di Serie C. Una decisione assunta in ottemperanza alle norme federali in materia e resasi necessaria in seguito alla liquidazione volontaria depositata dall’amministratore giudiziario nei giorni precedenti.
“L’esclusione del Rimini, che avviene nel corso di svolgimento della stagione, genera un ulteriore grave danno alla Serie C in un momento di grande sforzo per aumentarne appeal, ritorni e visibilità – dice il presidente Matteo Marani -. Il nostro pensiero va in primis ai lavoratori penalizzati da questa estromissione, a partire dai dipendenti della società: calciatori, tecnici, personale amministrativo e tutti gli uffici. Così come è doveroso ricordare i tanti e appassionati tifosi del Rimini, penalizzati per primi da questo amaro epilogo”.
Rimini Calcio, fine della storia: ufficiale la revoca dell’affiliazione. Squadra esclusa dalla serie C
Nel documento viene deliberato “di revocare l’affiliazione alla società Rimini Football Club, con decadenza dal tesseramento di tutti i tesserati”
La vittoria del Rimini in Coppa Italia
Fine della storia. La Rimini Calcio è estromessa dal campionato di serie C e viene revocata l’affiliazione alla Federcalcio. Ciò che era ufficioso ora è anche ufficiale. La storia biancorossa si esaurisce in un comunicato di una riga e mezza a firma del presidente della Figc, Gabriele Gravina. Il testo è contenuto nel comunicato ufficiale numero 104/A timbrato nella mattinata di venerdì (28 novembre). Nel documento viene deliberato “di revocare l’affiliazione alla società Rimini Football Club, con decadenza dal tesseramento di tutti i tesserati della medesima società”.
La Figc prende atto che la società Rimini Calcio è stata messa in liquidazione e assume il provvedimento facendo riferimento agli articoli 16 e 110 delle Noif. Con questa delibera tutti i calciatori della Rimini Calcio sono ufficialmente svincolati e potranno accasarsi in altre società, già nel corso della finestra del mercato invernale.
Con la revoca dell’affiliazione vengono a mancare anche i presupposti per il mantenimento in vita delle squadre giovanili. Il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, proprio nelle scorse ore aveva scritto al presidente Gravina chiedendo una deroga quantomeno per far concludere la stagione sportiva alle centinaia di ragazzi impegnati nelle giovanili.
Con questo provvedimento si chiude una pagina nera nella storia del calcio e dello sport riminese. A sette mesi dalla vittoria della Coppa Italia di serie C, Rimini si ritrova con le mani vuote, orfana del calcio professionistico, e costretta a ripartire da zero con un nuovo progetto. Che nella migliore delle ipotesi, potrà iniziare dall’Eccellenza.
Le condizioni dell’uomo non sono gravi. L’incendio, divampato intorno alle 9 di giovedì 27 novembre, è stato domato in tarda mattinata
I vigili del fuoco al lavoro sul tetto delle cartiere
La nuvola di fumo scuro e denso era visibile da chilometri di distanza, così come era avvertibile l’odore acre di bruciato.
L’allarme è scattato poco dopo le 9 di giovedì 27 novembre, dal tetto di uno dei capannoni al centro dello stabilimento della Cartiera Fedrigoni a Riva del Garda, in zona Varone. Tutto è partito dal surriscaldamento di una piccola porzione di guaina del tetto che due operai di una ditta esterna stavano rattoppando. Le fiamme, rapide, hanno avvolto il telaio in legno, espandendosi fino alla copertura di un capannone vicino.
Uno dei due operai al lavoro ha tentato di fermare il fuoco, ma è rimasto ustionato a una mano e intossicato per il fumo respirato. È stato trasferito all’ospedale di Arco, le sue condizioni non sono gravi.
Primi sul posto sono arrivati i vigili del fuoco volontari di Riva del Garda, che hanno immediatamente evacuato l’ottantina di dipendenti in turno.
Per aver ragione delle fiamme sono giunti poco dopo pompieri da altri sette distretti trentini, una settantina in tutto con una dozzina di mezzi, oltre a 118, Carabinieri e Polizia Locale.
I camion arrivati per scaricare merci nel piazzale interno sono stati fatti uscire per precauzione.
Salvi i macchinari e i materiali depositati nel magazzinosottostante al tetto bruciato, ora serviranno verifiche statiche sui laterizi di sostegno alla copertura per capire se i dipendenti di Fedrigoni potranno tornare a lavorare in tempi rapidi.
Avvertito del rogo, il sindaco di Riva del Garda Alessio Zanoni ha lasciato la seduta di giunta, accorrendo sul posto.
L’intervento immediato e le condizioni meteo hanno favorito la dispersione dei fumi, cosicchè i tecnici Appa non hanno rilevato concentrazioni di polvere a livelli di guardia.
Circa mille metri quadrati di copertura sono andati distrutti, salvati invece gli altri 13.000.
L’incidente è avvenuto nei pressi della stazione di Luoyang, nella provincia cinese di Yunnan: il gruppo di lavoratori è stato investito da un convoglio utilizzato per i test sulle apparecchiature sismiche. Ancora da accertare le cause
La stazione di Luoyang, in Cina
Undici operai morti e altri due feriti. Questo il tragico bilancio dell’incidente avvenuto nella mattina di oggi, giovedì 27 novembre,nella provincia cinese di Yunnan. Un treno ha travolto un gruppo di lavoratori che si trovava sui binari: le cause sono ancora da accertare e le autorità locali hanno già avviato un’indagine.
Cina, treno travolge un gruppo di operai: 11 morti – Come riportato dall’emittente statale Cctv, l’incidente ha coinvolto un convoglio utilizzato per i test sulle apparecchiature sismiche, che ha colpito in pieno alcuni operai edili nella stazione di Luoyang, nel capoluogo provinciale Kunming, Il gruppo si trovava sui binari quando è arrivato il treno, come confermato anche dalle delle autorità ferroviarie locali: “Il convoglio stava percorrendo normalmente una curva all’interno della stazione di Luoyang Town di Kunming quando si è verificato uno scontro con degli operai edili che erano entrati nell’area dei binari“.
I trasporti, dopo un blocco necessario per poter prestare i soccorsi, sono tornati alla normalità prima di mezzogiorno (le 5:00 in Italia). Il dipartimento dei trasporti locale ha espresso “profondo dolore per le vittime decedute e sincere condoglianze alle famiglie delle vittime e dei feriti“, mentre sono state avviate le indagini per fare chiarezza sulle cause della tragedia. I due operai feriti sono stati trasportati in ospedale e non sarebbero in pericolo di vita
A denunciare l’episodio è stata la sua compagna Dasha Lapushka, influencer e modella nata in Bielorussia in una storia su Instagram
Weekend calcistico di paura per più di un calciatore: dopoJamie Vardy, rapinato nella sua villa mentre la Cremonese affrontava la Roma in campionato, anche ad Andrea Pinamonti, attaccante del Sassuolo, è capitato un episodio molto simile. I fatti risalgono a lunedì sera, quando Pinamonti era impegnato al Mapei Stadium nella partita contro il Pisa (poi finita 2-2): in casa del calciatore a Modena c’erano i due bambini, con la babysitter, mentre la sua compagna Dasha Lapushka era allo stadio.
A denunciare l’episodio è stata la stessa Lapushka, influencer e modella nata in Bielorussia in una storia su Instagram. «Ieri sera mentre ero a guardare la partita del mio fidanzato, sono entrati ladri in casa. C’erano la baby sitter e i miei due bambini: grazie a Dio i piccoli erano giù e stanno bene ed è davvero l’unica cosa che conta. Le cose materiali si ricomprano, la serenità no», ha detto la compagna di Pinamonti.
«Chi fa del male semina solo male e prima o poi la vita presenta il conto. Spero che chi ha fatto questo venga presto individuato e fermato. Purtroppo, in Italia negli ultimi anni c’è qualcosa che non funziona: troppi furti, troppa violenza, troppi femminicidi. Forse, con punizioni più adeguate, molti ci penserebbero due volte prima di agire», ha concluso.
Da Nord a Sud si sente il peso delle correnti artiche. Fiocchi bianchi attesi anche a bassa quota. Le regioni coinvolte
Maltempo, freddo e neve. Questo è lo scenario meteo atteso in Italia per le prossime ore. Se quella di oggi, 19 novembre, si attesta come una giornata “di passaggio” quelle di giovedì 20 e venerdì 21 novembre saranno all’insegna del brutto tempo. Gli esperti di 3bmeteo spiegano che nel corso delle prossime ore “l’aria fredda associata alla saccatura artica entrerà sul Mediterraneo dal Golfo del Leone stimolando la formazione di un profondo sistema depressionario che porterà maltempo e venti forti su tutta l’Italia. Le temperature scenderanno ulteriormente e la neve potrà cadere fino a bassa quota“. Vediamo meglio le previsioni per le prossime ore.
Arriva il freddo sull’Italia: le regioni dove è attesa la neve – Secondo 3bmeteo, quella di giovedì 20 novembrea Nord sarà una giornata segnata da “nuvolosità irregolare altrove con piogge e rovesci a carattere intermittente“. Neve sulle Alpi tra 600-900 metri al mattino e 500-700 la sera, anche sotto ai 500 metri la notte. Al Centro meteo instabile con rovesci e temporali, più frequenti su Lazio e Appennino ma non esclusi anche sulla Toscana. Al Sud, veloci rovesci al mattino in Sardegna poi migliora. Peggiora invece su Campania, Molise e Puglia settentrionale con rovesci e temporali tra il pomeriggio e la sera.
Fonte 3bmeteo
Venerdì 21 ombrelli aperti in Lombardia, Triveneto ed Emilia Romagna. Neve sulle Alpi intorno 300-500 metro e localmente anche sotto ai 300. Anche al Centro e al sud il tempo sarà perturbato con piogge e temporali anche intensi.
Mario Cusimano era accusato di omicidio colposo. La sentenza del Tribunale di Prato ha chiuso il primo grado del processo
Luana D’Orazio – (Fotogramma)
È stato assolto “per non aver commesso il fatto” Mario Cusimano, il tecnico manutentore imputato per la tragica morte di Luana D’Orazio, la giovane mamma di 22 anni decedio 2021 risucchiata dall’orditoio presso un’azienda tessile di Montemurlo (Prato) dove lavorava. Lo ha deciso oggi il giudice del Tribunale di Prato, Jacopo Santinelli, al termine del processo di primo grado.
Cusimano, unico imputato nel procedimento ordinario dopo che i titolari dell’azienda, Luana Coppini e Daniele Faggi, avevano già patteggiato rispettivamente due anni e uno e mezzo di reclusione, era accusato di omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele antinfortunistiche nell’orditoio che ha stritolato la 22enne operaio. Il pubblico ministero Vincenzo Nitti aveva chiesto una condanna a due anni e otto mesi.
Accolta invece la tesi difensiva dell’avvocato Melissa Stefanacci, secondo cui il tecnico non avrebbe mai manomesso il macchinario né le sue misure di sicurezza, lasciando intendere che eventuali modifiche potessero essere state operate da altri.Emma Marrazzo, mamma di Luana, ha commentato: “Mia figlia resta un simbolo di ingiustizia“. E poi ha espresso il dolore per una sentenza che ritiene non rifletta appieno la responsabilità del dramma. La Procura attende di conoscere le motivazioni prima di valutare un eventuale ricorso contro l’aasoluzione.
Commento:Ricordo di una giovane vita spezzata sul lavoro
Luana D’Orazio era una giovane operaia di 22 anni, madre di un bambino piccolo, morta il 3 maggio 2021 in un incidente sul lavoro a Montemurlo, nel distretto tessile di Prato. Lavorava in un’azienda tessile dove rimase trascinata e schiacciata da un macchinario di orditura che, secondo le ricostruzioni, non avrebbe dovuto essere in funzione nelle condizioni in cui si trovava.
La sua morte suscitò grande emozione in tutta Italia e riportò al centro dell’attenzione il tema, antico e purtroppo sempre attuale, della sicurezza nelle fabbriche. Il caso portò a indagini approfondite e a un processo che vide condanne per violazioni alle norme di sicurezza. La storia di Luana è diventata un simbolo della fragilità del lavoro moderno, ricordando quanto sia importante non allontanarsi mai dalle buone pratiche e dalle regole che, da sempre, proteggono chi lavora.
Nel decreto un fondo per borse studio a orfani con importi tra i 3 e i 7mila euro e stop studenti pcto in attività alto rischio
Il Consiglio dei ministri ha approvato oggi martedì 28 ottobre il decreto legge per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
“Il nostro obiettivo è prevedere tutele sempre più ampie” per le famiglie delle vittime di incidenti sul lavoro “paragonabili a quelle che vengono riconosciute a chi ha perso un familiare perché vittima di mafia”, ha detto la ministra del Lavoro, Marina Calderone, in conferenza stampa dopo il Cdm.
Il decreto “peserà 900 milioni di euro per annualità”, ha affermato ancora, sottolineando che ci saranno da “aggiungere ancora altri tasselli: non ci fermeremo qui”.
Fondo per borse studio a orfani con importi tra i 3 e i 7mila euro – Il testo, ha spiegato la ministra, istituisce, tra le altre cose, anche un fondo per le borse studio che saranno corrisposte agli orfani di chi è deceduto a causa di un incidente sul lavoro, con importi tra i 3 e i 7mila euro. “E’ un messaggio per noi importante: lo Stato si fa carico di accompagnare chi ha perso un familiare per un evento così doloroso”, ha sottolineato Calderone.
Stop studenti pcto in attività alto rischio – Con il decreto “abbiamo una serie di misure concrete che, mi piacerebbe dire, consentono di poter dire ‘mettiamo in sicurezza il futuro’”, ha detto illustrando per prime le misure a tutela degli studenti impegnati nei percorsi di alternanza scuola-lavoro. “Avevamo già previsto l’assicurazione Inail per gli infortuni in ambito scolastico, ora interveniamo per potenziarla inserendo anche, nella protezione, gli infortuni in itinere per i giovani impegnati nei Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto)”, a cui si aggiunge un ulteriore intervento “per ribadire un concetto importante: i giovani, negli accordi tra scuole e datori lavoro, non possono essere adibiti ad attività ad alto rischio”
Altre novità – Secondo la bozza del decreto circolata, tra le novità previste c’è il anche badge digitale nei cantieri, multe raddoppiate per chi non ha la patente a crediti, prevenzione delle molestie sul lavoro.
Il badge digitale – Nei cantieri arriva la tessera di riconoscimento digitale per i dipendenti, che avrà un codice univoco anticontraffazione. “Al fine di garantire la tutela della salute, della sicurezza e dei diritti dei lavoratori”, tutte le imprese edili in regime di appalto e subappalto pubblico o privato, “sono tenute a fornire ai propri dipendenti la tessera di riconoscimento – corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro che deve contenere anche la data di assunzione e, in caso di subappalto, la relativa autorizzazione – dotata di un codice univoco anticontraffazione”, si legge nel testo. La tessera, “utilizzata come badge recante gli elementi identificativi del dipendente, è resa disponibile al lavoratore, anche in modalità digitale, tramite strumenti digitali nazionali interoperabili con la piattaforma Siisl(Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa).
Senza patente a crediti cantieri multe raddoppiate – Raddoppiate le multe per chi non ha la patente a crediti per i cantieri. Lo prevede la bozza del decreto sulla sicurezza sul lavoro, che approderà domani in Consiglio dei ministri, che modifica la misura introdotta nel 2024 aumentando la sanzione da un massimo di 6mila euro ad un massimo di 12mila euro per “imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili“.
Prevenzione molestie su lavoro – Tra le misure di tutela di salute e sicurezza, anche la prevenzione delle molestie sul lavoro. La bozza modifica il decreto del 2008 aggiungendo, tra le misure generali, anche “la programmazione di misure di prevenzione di condotte violente o moleste nei confronti dei lavoratori come definiti all’articolo 2, comma 1, lettera a), nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 62”.
E ancora. Permessi retribuiti ai lavoratori per gli screening oncologici nei contratti collettivi, nuove funzioni per il medico competente, supporto alle microimprese per organizzare la sorveglianza sanitaria. Sono alcune delle misure che “rafforzano la tutela della salute nei luoghi di lavoro” contenute nel Decreto legge sulla sicurezza sul lavoro approvato in Consiglio dei ministri. “La salute nei luoghi di lavoro è una delle competenze centrali del ministero della Salute“, sottolinea in una nota ministro della Salute, Orazio Schillaci, evidenziando che “le norme inserite nel decreto vanno nella direzione di potenziare le attività dei servizi di prevenzione delle Asl e integrare la promozione della salute nella sorveglianza sanitaria dei lavoratori con particolare riguardo agli screening oncologici. Si tratta una svolta significativa per migliorare la qualità di tutte le iniziative di tutela della salute dei lavoratori“.
Commento alessandro54 : “Il decreto sicurezza varato dal governo, pur annunciato come un passo avanti, non introduce risorse nuove né un reale rafforzamento dei controlli. Si tratta di una redistribuzione di fondi già esistenti, che non incide sulle cause profonde delle troppe morti sul lavoro. Finché la sicurezza resterà solo un tema da decreto, e non una priorità concreta sul territorio, nulla potrà davvero cambiare.”
Il messaggio del capo dello Stato per la seconda edizione degli stati generali sulla salute e sicurezza sul lavoro in corso alla Camera
“Un lavoro non è vero se non è anche sicuro. La garanzia dell’attuazione di questo principio richiede l’impegno congiunto di istituzioni, imprese, lavoratori e parti sociali un’alleanza capace di superare le differenze per perseguire obiettivi condivisi, servono un’alleanza per la sicurezza sui luoghi di lavoro, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori non sono ammesse scorciatoie“. A dirlo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato alla seconda edizione degli stati generali sulla salute e sicurezza sul lavoro in corso alla Camera.
“Obiettivi – aggiunge – che devono guidare ogni scelta e ogni politica del lavoro. Auspico che da queste giornate emergano impegni concreti a questo scopo. Strategie di sviluppo e competitività del nostro paese non passano dall’allentamento delle tutele dei lavoratori“.
Il capo dello Stato aggiunge: “La seconda edizione degli stati generali sulla salute e sicurezza sul lavoro rappresenta l’occasione per riaffermare con rinnovata determinazione l’impegno a non arrendersi di fronte a incidenti e decessi sul lavoro. E una sequela quotidiana che ci richiama drammaticamente ogni giorno a quanto sia urgente intervenire. La tutela dei lavoratori costituisce la prima forma di giustizia nel lavoro parte integrante del diritto di ogni donna e uomo, svolgere un’attività, dignitosa e protetta, un lavoro non è vero se non è anche sicuro“.
Quattro morti nell’impatto con un tir: nelle statistiche dell’Inail saranno decessi “in itinere”, ma la loro tragedia racconta le reali condizioni di lavoro in agricoltura
Il più giovane di tutti era Singh Jaskaran, aveva 20 anni. Il più anziano, si fa per dire, si chiamava Kumar Manoj e ne aveva 34. Singh Surjit e Singh Harwinder ne avevano rispettivamente 33 e 31. Indiani, non pakistani come era stato detto in un primo momento. La loro morte verrà catalogata come “incidente in itinere” nelle fredde statistiche dell’Inail riguardo ai morti sul lavoro. Un dato che solitamente racchiude i nomi di coloro che sono vittime di un incidente stradale, ad esempio, mentre ritornano dal luogo sul quale avevano prestato la loro fatica. Alcune volte è il fato, in tanti casi colpa della stanchezza. Resta da chiarire cosa sia invece in questa circostanza, se non l’ennesimo episodio che racconta – ancora una volta – dellasicurezza sul lavoro e delle condizioni di lavoro nelle campagne italiane, cristallizzando a quali braccia e con quale grado di sfruttamento si consegni la raccolta di frutta e verdura che riempiono gli scaffali dei supermercati e poi le tavole delle famiglie.
Perché Kumar e gli altri braccianti agricoli viaggiavano con altri sei connazionali a bordo di una Renault Scenic. Un’auto che ha sette posti, eppure loro erano costretti a viaggiarci in dieci. Una situazione che ha certamente inciso sul bilancio della strage: 4 morti, sei feriti. Un’imprudenza evidentemente “necessaria”, ci si passi il termine, se il gruppo di lavoratori aveva deciso di rischiare così tanto. Si sono schiantati contro un furgone Iveco Eurostar lungo la la strada statale 598 Fondovalle dell’Agri, in territorio di Scanzano Jonico, in provincia di Matera, zona a forte vocazione agricola per l’ortofrutta. Cinque altri connazionali, feriti, sono stati trasferiti all’ospedale di Policoro, l’ultimo occupante della vettura – il più grave tra i sopravvissuti – è al San Carlo di Potenza.
Il triste peana si è alzato immediato. Il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, ha espresso il proprio cordoglio e a nome di tutta la comunità lucana “si stringe intorno alle vittime e ai loro cari”. E poi? Cosa c’è oltre la commozione e le belle parole? Quanti Singh e Kumar, oggi e domani e ancora lunedì e così via, non avranno altra scelta per tornare a lavorare nei campi, spesso sottopagati e senza tutele? La Cisl e la Fai Cisl della Basilicata hanno ricordato che esiste una necessità, di fronte all’ennesima strage sul lavoro, quello più povero e invisibile: “Davanti ad una tragedia di tale portata – hanno dichiarato i segretari generali regionaliVincenzo Cavallo e Raffaele Apetino – non possiamo limitarci al cordoglio e alla solidarietà: serve rilanciare l’impegno di tutti per affrontare con urgenza e maggiore incisività il tema degli infortuni in itinere, troppo spesso dimenticati ma purtroppo sempre più frequenti tra i lavoratori agricoli e stagionali”
Per il sindacato, che ha chiesto un tavolo specifico alle istituzioni, “è necessario e non più rinviabile investire nel rafforzamento del trasporto pubblico locale, garantendo soluzioni sicure e dignitose per le migliaia di braccianti che ogni giorno si spostano per raggiungere i luoghi di lavoro. Non è accettabile – hanno detto – che uomini e donne che quotidianamente danno un contributo fondamentale alla nostra economia debbano rischiare la vita per il lavoro. Serve responsabilità e maggiore cooperazione tra istituzioni, imprese e parti sociali per costruire una rete di sicurezza che metta al centro la vita e la dignità del lavoro, a partire da una riprogrammazione del trasporto pubblico locale”. Alice Meocci, segretaria nazionale della Uila, ha evidenziato come i lavoratori agricoli “tra i molteplici rischi cui sono esposti, affrontano anche quello di dover fare spesso centinaia di chilometri prima di raggiungere all’alba i campi e ritornare la sera a casa percorrendo strade pericolose e spesso non manutenute”. Per questo, la sindacalista ha richiesto “maggiori controlli” e che il tema dei trasporti “sia considerato centrale nelle politiche sulla sicurezza e nel contrasto allo sfruttamento della manodopera”.
Articolo di alessandro54, realizzato con l’ausilio di ChatGPT, AI di OpenAI.
Morti sul lavoro: un bilancio sempre drammatico – Ogni anno, purtroppo, numerosi lavoratori perdono la vita durante lo svolgimento delle proprie mansioni. Le cause principali sono spesso incidenti diretti, come cadute, schiacciamenti o contatti con macchinari, ma non mancano casi di malori improvvisi verificatisi sul luogo di lavoro. Si tratta di eventi che non solo colpiscono le famiglie, ma ricordano quanto sia fondamentale la sicurezza sul lavoro, il rispetto delle norme e la prevenzione. Ogni morte sul lavoro è un monito a non abbassare mai la guardia, perché dietro ogni dato statistico c’è sempre una storia personale di sacrificio e fatica.
Riflessione finale: Questa tragedia mette in evidenza un tema spesso trascurato: l’età dei lavoratori e la loro sicurezza. Un operaio di 65 anni che muore in cantiere ci ricorda quanto sia importante rispettare i limiti fisici, garantire ambienti di lavoro sicuri e valorizzare la prevenzione. Dietro ogni dato statistico c’è sempre una persona con una storia, una famiglia e un percorso di sacrificio.
Oggi in Italia si sono verificati ben tre incidenti mortali sul lavoro, una conferma del primo bilancio Inail sul trimestre che parla di un aumento dei decessi che supera l’8%
Un braccio risucchiato da un macchinario, una caduta nel vuoto da un’impalcatura, una scarica elettrica fatale: tre uomini sono morti oggi, lunedì 5 maggio sul lavoro, in tre regioni diverse, nel silenzio assordante di un Paese che continua a contare le vittime senza riuscire a fermare la strage.
Tre vite spezzate e tre famiglie distrutte – La prima tragedia è avvenuta a Brendola, in provincia di Vicenza, nella sede della “Aristoncavi“, azienda di punta nel settore dei cavi per applicazioni speciali. Raffaele Galano, 58 anni, capoturno con oltre trent’anni di esperienza, ha perso la vita in un incidente agghiacciante. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo sarebbe caduto vicino a un macchinario in movimento, forse a causa di un malore. Un braccio sarebbe finito nell’ingranaggio, che lo ha trascinato all’interno senza dargli scampo. I colleghi hanno tentato disperatamente di salvarlo, attivando le procedure di emergenza, ma all’arrivo del 118 per lui non c’era più nulla da fare.
“Non esistono isole felici“, ha dichiarato la Uil Veneto, ricordando come anche in aziende attente alla sicurezza, con personale esperto, l’incidente mortale sia sempre in agguato. La stessa azienda ha espresso “profondo cordoglio” e promesso piena collaborazione alle indagini.
A Frattamaggiore, in provincia di Napoli, un altro operaio edile è morto cadendo da un’impalcatura durante lavori di ristrutturazione. Anche in questo caso, nonostante l’immediato soccorso, l’uomo è deceduto in ospedale. Nella giornata di ieri aveva festeggiato 47 anni. “È un altro omicidio sul lavoro“, denunciano i sindacati locali, chiedendo una riforma radicale: il riconoscimento dell’omicidio colposo e la creazione di una Procura speciale.
Il terzo decesso si è registrato a Paliano, in provincia di Frosinone, dove un tecnico manutentore è stato ucciso da una scarica elettrica mentre lavorava su un impianto fotovoltaico. È morto sul colpo. Anche qui le autorità stanno verificando se tutte le misure di sicurezza fossero rispettate.
I dati Inail: nei primi tre mesi del 2025 oltre 200 morti sul lavoro – Secondo i dati Inail, nei primi tre mesi del 2025 sono stati denunciati 205 decessi sul lavoro, con un aumento dell’8,37% rispetto al 2024. La Uil, che parla apertamente di una “strage quotidiana”, alza la voce: “Nel primo trimestre, i morti – compresi gli infortuni in itinere e gli studenti – sono stati 210. Non vediamo una fine, è un incubo che continua“.
La segretaria confederale Ivana Veronese ha criticato duramente il governo, colpevole a suo dire di limitarsi a provvedimenti di facciata. Lo stanziamento da 1,2 miliardi di euro annunciato il Primo Maggio per la sicurezza nei luoghi di lavoro, sostiene, non sono nuovi fondi, ma semplici avanzi di bilancio dell’Inail, che sarebbero dovuti essere investiti da tempo in formazione, prevenzione, ricerca e adeguamento delle indennità.
“Siamo stanchi e arrabbiati nel dover commentare l’ennesima vittima sul lavoro. La frustrazione di dover andare avanti con slogan e proclami mentre le persone muoiono, perché questo governo pensa che sia solo un’esigenza del sindacato. L’Inail registra un aumento del 9% e c’e’ ancora chi pensa che sia tutto accidentale, che siano tragedie. Bene, non lo sono: sono omicidi! Oggi abbiamo aziende che comprano attestati di formazione sulla sicurezza da presentare a un numero sempre troppo basso di ispettori. Bisogna istituire una procura speciale, come fatto per la mafia, perché è crimine organizzato anche l’omicidio di un lavoratore che non può restare solo un numero e una percentuale” gli fa eco Filea Cgil, il sindacato dei lavori delle costruzioni della Cgil.
Rimane la tragica conta delle vittime che oggi fa registrare tre vite spezzate, tre famiglie distrutte e un’altra giornata da segnare nel tragico calendario della sicurezza mancata.
Il monito del presidente della Repubblica in occasione della Festa dei lavoratori: “L’impegno delle autorità va rafforzato”
In occasione del Primo Maggio, Sergio Mattarella, parla di lavoro e dell’annosa questione dei salari, ancora insufficienti, e delle morti bianche, che non accennano ad arrestarsi. In merito alle retribuzioni, il presidente della Repubblica spiega: “Sappiamo tutti come le questioni salariali siano fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso. Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita. Salari insufficienti sono una grande questione per l’Italia“.
“Equità per i salari dei migranti, si rispetti la Carta” – Mattarella lancia anche un monito contro il caporalato. “Il trattamento dei migranti – con salari che, secondo l’Oil, risultano inferiori di un quarto rispetto a quelli dei connazionali – se non con fenomeni scandalosi come il caporalato, va contrastato con fermezza. Il carattere della nostra società è a misura della dignità della persona che lavora, anche per rispettare l’articolo 36 della nostra Costituzione. ‘Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano’ ci ha ricordato Papa Francesco nella benedizione pasquale, il suo ultimo messaggio”.
“Intollerabile indifferenza per le morti sul lavoro” – Sulle morti sul lavoro, il Capo dello Stato sottolinea: “Sono una piaga che non accenna ad arrestarsi e che, nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione. È evidente che l’impegno per la sicurezza nel lavoro richiede di essere rafforzato. Riguarda le istituzioni, le imprese, i lavoratori. Ringrazio Cgil, Cisl e Uil per aver scelto la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro come tema di un Primo maggio unitario“.
“Il dialogo con i sindacati è un tema fondamentale” – Mattarella ricorda poi che “il confronto tra le parti sociali, il dialogo favorito dalle istituzioni, è stato nella nostra storia – con intese dal valore epocale – un volano di progresso civile, sociale, economico. Il dialogo tra imprese e sindacati ha molti ambiti in cui può svilupparsi. Conviene sempre investire nel dialogo, aiuta a raggiungere mete di progresso, come è stato con l’invenzione, nel secolo scorso, dello Stato sociale. È questo un tema fondamentale nell’agenda pubblica“.
“Rischio dazi, effetti negativi sull’Italia” – Infine, sui possibili effetti negativi della guerra commerciale, il presidente della Repubblica dice: “Si affacciano nuovi rischi, derivanti dalle prospettive di ampio ricorso ai dazi, antica forma di prove di forza, che possono ostacolare il diritto all’accesso alle cure, alla salute, per ogni popolo del mondo, specialmente i più poveri e fragili. Prospettive che, inoltre, producono effetti negativi sull’economia globale. Effetti che possono interpellare anche il nostro Paese“.
Tra il 2019 e il 2023 sono stati registrati 14 decessi per aggressioni
Aumentano molestie e violenze sul posto di lavoro. Dall’analisi degli infortuni sul lavoro riconosciuti dall’Inail emerge infatti che nel 2023 i casi di aggressioni e minacce sono stati 6.813, il dato più elevato dopo quello registrato nel 2019. Rispetto al 2022 l’incremento è pari all’8,6% e cresce fino al 14,6% per le donne, fermandosi invece al 3,8% per gli uomini. A questo tema è dedicato il nuovo numero del periodico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, che rileva comela maggior parte di questi episodi (61%) siano esercitati da persone esterne all’azienda, come nel caso di rapine e di aggressioni ad autisti o a personale sanitario, e in minor misura riconducibili a liti e incomprensioni tra colleghi.
Nel quinquennio 2019-2023 poco meno del 45% degli infortuni per violenze e aggressioni ha riguardato le lavoratrici, percentuale che sale al 48% se si considera solo l’ultimo anno. Le infortunate hanno un’età media più elevata rispetto agli uomini: quattro su 10, infatti, hanno dai 50 anni in su, con un differenziale di circa otto punti rispetto ai coetanei.
La quasi totalità dei casi (mediamente il 90%) riguarda la gestione assicurativa dell’industria e servizi, mentre il resto coinvolge i dipendenti della gestione del conto Stato (9%) e l’agricoltura (1%). Il 43% delle vittime dell’industria e servizi opera nel settore della sanità e assistenza sociale, il 15% nel trasporto e magazzinaggio e il 10% nel noleggio e servizi di supporto alle imprese. Per le lavoratrici, in particolare, l’incidenza è particolarmente elevata nella Sanità e assistenza sociale, in cui si concentra il 70% di tutte le aggressioni alle donne.
14 decessi per violenze e molestie sul lavoro – Tra il 2019 e il 2023 sono stati registrati 14 decessi per violenze e molestie sul lavoro. Le conseguenze di questa tipologia di infortuni per la stragrande maggioranza (oltre il 90%) sono senza postumi invalidanti permanenti.
Considerando postumi di inabilità superiori all’1%, il grado medio è del 5%. Per il 56% dei casi la diagnosi è una contusione, senza differenze significative per genere. Seguono la lussazione con il 19% (22% per le donne) e le fratture con l’11% (13% per gli uomini). La principale sede del corpo coinvolta nelle violenze è la testa, con poco più del 30% del totale e pochissime differenze tra uomini e donne, mentre un caso su quattro interessa gli arti superiori. I decessi riconosciuti dall’Inail in occasione di lavoro nel quinquennio analizzato sono stati complessivamente 14, due dei quali hanno riguardato lavoratrici.
Oltre 2.000 denunce per disturbi psichici e comportamentali – Aumentano anche le denunce di patologie professionali da disturbi psichici e comportamentali, si legge nel focus Inail dedicato alle malattie mentali in ambito lavorativo, nel quinquennio 2019-2023 sono state più di 2.000, con una media di 400 all’anno confermata anche dai dati provvisori del 2024.
Anche se rappresentano solo lo 0,7% del totale delle tecnopatie denunciate nel nostro Paese, lo stress, l’ansia e la depressione sono i problemi di salute lavoro-correlati più comuni per i lavoratori e le lavoratrici italiani ed europei.
Ambienti di lavoro stressanti e ostili, carichi di lavoro eccessivi, ma anche discriminazione e molestie psicologiche e sessuali possono comportare, in mancanza di consulenza e supporto psicologico, gravi rischi per la salute mentale. Già nel 2020 l’Oms dichiarava che la depressione stava diventando la malattia mentale più diffusa al mondo e, in generale, la seconda malattia dopo le patologie cardiovascolari.
Maxi multe fino a 90mila euro: denunciati 15 datori di lavoro e sospese due aziende
Nelle ultime settimane i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro hanno condotto un’intensa attività ispettiva nella provincia diVenezia, riscontrando diverse irregolarità che hanno portato a diverse sanzioni.
Indagini e sanzioni – Le indagini si sono concentrate in diversi settori lavorativi, riscontrando diverse lacune in materia di sicurezza sul lavoro. Le verifiche hanno interessato: cantieri edili, esercizi commerciali, attività di ristorazione e imprese di trasporto. Nelle attività irregolari sono state riscontrate “gravi inadempienze” che hanno portato alla denuncia di 15 datori di lavoro e alla sospensione di due aziende. Inoltre, l’operazione dei Carabinieri ha portato a sanzioni amministrative per 15mila euro e all’elevazione di ammende per un totale di 75mila euro.
Uno dei motivi della sospensione delle due imprese sarebbe anche l’assenza del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) e la presenza di lavoratori non regolarmente assunti. Per quanto riguarda i 15 imprenditori, sono scattate le sanzioni per violazioni in materia disicurezza sul lavoro, tra cui l’omissione di visite mediche obbligatorie, la mancata formazione dei lavoratori e la carenza di misure di prevenzione contro i rischi professionali.
Nei cantieri edili, in particolare a Campagna Lupia e Camponogara, i Carabinieri hanno riscontrato diverse carenze nelle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra cui l’assenza di dispositivi di protezione individuale e di un’adeguata formazione per i lavoratori. Inoltre, hanno scoperto tre lavoratori in nero, di cui uno irregolare sul territorio italiano.
Nel settore della ristorazione, i controlli effettuati a Venezia, Portogruaro e Chioggia hanno portato alla scoperta di impianti di videosorveglianza non regolarmente autorizzati, la mancata formazione del personale in materia di primo soccorso e prevenzione degli incendi.
I controlli sul territorio di San Michele al Tagliamento, concentrati nel settore dell’autotrasporto, hanno riscontrato la mancanza degli estintori e delle cassette di primo soccorso a bordo dei mezzi, entrambi obbligatori per legge.
l rogo nella notte in un’azienda di Rho. Tre operai in ospedale
L’intervento dei pompieri
Lo scoppio e le fiamme. Incendio nella notte tra giovedì e venerdì in un’azienda di Rho, la “Itelyum”, specializzata nel confezionamento di solventi chimici. Pochi attimi prima delle due, per cause ancora in corso di accertamento, un rogo si è sviluppato all’interno del capannone della ditta, al civico 12 di via Sesia. Stando alle prime informazioni finora apprese, le fiamme sarebbero divampate dopo l’esplosione di un fusto che gli operai stavano riempendo.
Sul posto sono arrivati sette mezzi dei vigili del fuoco, che hanno lavorato fino all’alba per domare l’incendio. Intervenuti anche gli esperti del nucleo “Nbcr” per valutare eventuali contaminazioni. Tre gli operai finiti in ospedale: un 32enne italiano trasportato al pronto soccorso del Niguarda e due peruviani di 35 e 49 anni, entrambi accompagnati all’ospedale di Rho. I tre hanno riportato ustioni e ferite al volto e hanno inalato i fumi causati dallo scoppio, ma fortunatamente non sono in pericolo di vita.
L’area, dopo essere stata bonificata e messa in sicurezza, è stata posta sotto sequestro dall’Ats. Sono in corso le indagini per stabilire le cause dell’incidente.
Esplosione e incendio in un’azienda di Rho, l’intervento dei pompieri
L’impianto Eni di Calenzano (LaPresse).Nel riquadro da sinistra: Martinelli, Pepe, Corso, Cirelli e Baronti
Tutte le vittime lavoravano come autotrasportatori e si trovavano nell’area del deposito Eni dove si è innescato lo scoppio. Le ipotesi
Nell’aria c’è ancora l’odore acre del fumo, chi era presente ha impresse nella mente scene che nessuno avrebbe mai voluto vedere: distruzione, morte, il dolore dei parenti delle vittime e dei dispersi. Calenzano (Firenze) è sotto choc dopo l’esplosione di ieri, 9 dicembre, aldeposito Eni. Il bilancio è cambiato col passare delle ore. Dalle due vittime accertate nell’immediatezza dei fatti, si è passati nella mattinata di oggi – 10 dicembre – a quattro morti, un disperso e 26 feriti. Intorno alle 12,40 il nuovo e drammatico aggiornamento: in totale i cadaveri recuperati sono cinque. Chi era dato per disperso è stato trovato morto.
Quella di Calenzano rischia di essere ricordata come la strage degli autotrasportatori. Questo era il lavoro dei lavoratori coinvolti. Sulla vicenda la procura di Prato ha aperto un’inchiesta “per appurare eventuali responsabilità” e alcuni testimoni che erano sul posto vengono ascoltati in queste ore.
Esplosione al deposito Eni: chi sono le cinque vittime – Il primo corpo a essere recuperato e identificato è stato quello di Vincenzo Martinelli, 51 anni. Era residente a Prato, ma era originario di Napoli. Aveva due figlie ed era autista di autocisterne. Esattamente come gli altri lavoratori coinvolti. La potenza dell’esplosione è stata tale da dilaniare i corpi. Anche il riconoscimento presenta non poche difficoltà.
Gli altri lavoratori coinvolti sono Carmelo Corso, 57enne catanese ma anche lui residente a Prato; Franco Cirelli, 45enne di Matera; Gerardo Pepe, anche lui 45enne, italiano ma nato in Germania, e Davide Baronti, novarese di 49 anni.La loro identificazione ufficiale ci sarà solo con l’esame del dna.
Esplosione al deposito Eni, oltre 20 feriti – “In questo momento abbiamo quattordici persone in ospedale, delle quali sette all’ospedale fiorentino di Careggi, cinque a Prato e due in condizioni critiche al centro grandi ustioni di Cisanello a Pisa. Ho parlato con alcuni dei feriti, sono ovviamente molto scossi. Ma almeno le condizioni dei sette a Careggi e dei cinque a Prato appaiono senza pericolo di vita“, ha detto il governatore della Toscana, Eugenio Giani, intervistato questa mattina a ReStart su Rai3. I due feriti gravi sono un operaio livornese di 51 anni, Emiliano B., che ha ustioni sul 70% del corpo ed è ricoverato nel reparto di grandi ustionati a Cisanello, e un collega di 47 anni che è stato intubato.
L’incidente ha messo in pericolo migliaia di persone, non solo i lavoratori Eni. L’onda d’urto è stata tale da danneggiare anche abitazioni ed edifici presenti nella zona. Alcuni dei feriti, quelli che si sono presentati in ospedale da soli, erano di altre aziende limitrofe. Almeno 15 siti nei dintorni sono stati evacuati a scopo cautelativo e hanno subito danni. Evacuati da parte del Comune anche una piscina e il palazzetto dello sport, che sono non molto distanti dal luogo dell’incidente.
L’esplosione al deposito Eni, cosa è successo – Nello stabilimento Eni di Calenzano si svolgeva attività di ricezione, deposito e spedizione di benzina, gasolio e petrolio. L’ipotesi è che una perdita di benzina, o forse la fuoriuscita di vapori, abbia provocato lo scoppio che ha fatto saltare in aria gli autocarri, incendiando la pensilina dell’intera struttura e facendo crollare parte dell’edificio del centro direzionale adiacente.
“La pensilina di carico si è divelta e riversata sopra. Mi hanno raccontato gli autisti che quello che è avvenuto è chiaramente un difetto nelle modalità di carico delle autocisterne. Cosa ha determinato questo è da vedere – le parole di Giani-. Abbiamo avuto questo disastro terribile, ma nessuna delle torri di deposito dei carburanti è stata toccata, poteva avere delle dimensioni molto maggiori. Se la catena dell’incendio dalla pensilina di carico si trasferiva alle torri di deposito, non so cosa poteva succedere“.
“Ho visto una scena impressionante – ha detto il sindaco – Giuseppe Carovani, c’è una distruzione totale. Immagino chi era lì a lavorare ed era lì vicino o sotto le infrastrutture di ricarica, quello dev’essere apparso come un inferno. La situazione è indescrivibile”.
Il racconto dei feriti: “Sembrava fosse esplosa una bomba” – “Non ho mai visto niente del genere nella mia vita, sembrava ci avesse attraversato un tuono. L’esplosione – racconta uno dei feriti – è stata così forte da farci saltare per diversi metri all’interno del nostro ufficio, i vetri si sono sfondati e ci hanno ferito. Sono ancora stordito“. E un altro testimone aggiunge: “Il mio furgone si è alzato di due metri da terra e per il boato ora sento poco“. Mentre altri operai che erano sul posto paragonano quanto è successo allo scoppio di “una bomba, come in una guerra“.
Polemiche sulla sicurezza: “Deposito Eni in luogo inappropriato” – Intanto è polemica anche sulla presenza di un impianto come il deposito Eni non lontano dal centro abitato. La struttura si trova in via Erbosa, in una zona vicino alla linea ferroviaria che conduce a Prato e all’autostrada. Nell’immediato un tratto della vicina autostrada A1 è stato chiuso per ore come è stata sospesa la circolazione ferroviaria di alcune linee. Il dipartimento della Protezione civile ha attivato un alert per un raggio di cinque chilometri chiedendo di “tenere chiuse le finestre e di non avvicinarsi alla zona“. Per il forte odore dovuto alla combustione di idrocarburi nell’area sono state anche distribuite mascherine.
Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina democratica, nel 2020 aveva lanciato l’allarme per i potenziali pericoli del sito Eni. Oggi dice: “È pacifico che si è verificata una perdita di combustibile (in forma gassosa e/o liquida) in quantità considerevole che poi è stata innescata da qualcosa (banalmente anche da un impianto elettrico o una fiamma di qualunque genere) probabilmente nel corso del carico di autobotti, fase particolarmente delicata. Su quest’ultimo aspetto sarà fondamentale valutare la tipologia di carico per valutare le necessarie misure per evitare la formazione di atmosfere esplosive e il relativo innesco”. In Italia, evidenzia, “gli impianti soggetti alla normativa Seveso sono ben 974 (in Toscana 54) l’impianto Eni è tra quelli a maggior rilevanza per il tipo e la quantità di sostanze infiammabili gestite. Tutti questi siti sono delle potenziali bombe se non è correttamente gestita sia la fase di realizzazione sia quella di manutenzione degli impianti“.
Lo stesso Giani adesso ammette: “Quel luogo è inappropriato per le funzioni che lì vengono svolte. Capisco che c’è perché quando fu realizzato alla fine degli anni ’50 si prevedeva lì l’uscita e l’entrata dell’autostrada, era tutta aperta campagna, e si presentava appropriato, ma oggi no. Oggi quella è un’area densamente popolata, sia sul piano industriale sia anche di residenza perché ha una distanza di ragionevole pericolo con una conurbazione urbana densamente popolata. Ma questo appartiene al lavoro che dovremo fare dopo l’inchiesta della magistratura. Noi potremo agire con provvedimenti quando l’indagine darà conto di quello che effettivamente è accaduto, quindi sulle caratteristiche preventive perché non accada mai più che dovremo mettere in atto, anche con strumenti urbanistici, su quell’area“.
Le indagini sull’esplosione al deposito Eni – Sull’incidente al deposito Eni è stata aperta un’indagine. Si deve chiarire cosa è successo e soprattutto se ci siano responsabilità. Il procuratore Luca Tescaroli ha subito fatto un lungo sopralluogo sul luogo dell’esplosione: “Allo stato è possibile evidenziare che al momento dell’esplosione erano presenti diverse autobotti parcheggiate all’altezza degli stalli di approvvigionamento del carburante”.
La Procura ha coinvolto nelle indagini i carabinieri del comando provinciale di Firenze ed ha nominato alcuni medici legali e tre consulenti tecnici per accertare le cause dell’esplosione: “Abbiamo richiesto l’intervento dell’Arpat e dell’Asl Toscana Centro per evidenziare i profili di possibile responsabilità sul luogo teatro dell’esplosione“, ha aggiunto Tescaroli.
Dopo l’incidente al deposito Eni scatta lo sciopero – Mercoledì 11 dicembre sarà giornata di lutto regionale in Toscana. Il Comune di Calenzano ha proclamato due giorni di lutto.
Sempre per mercoledì Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato uno sciopero generale provinciale di 4 ore con manifestazione a Calenzano. “Siamo di fronte all’ennesima tragedia sul lavoro con dimensioni e risvolti ancora da capire su vari fronti – dicono i sindacalisti -. Quello che è successo è inaccettabile, attendiamo il lavoro degli inquirenti per fare luce sulle modalità di quanto accaduto. Senza sicurezza non c’è lavoro, non c’è dignità, non c’è vita“.
Martedì, 10 dicembre 2024
Esplosione di Calenzano, sale a 4 il numero delle vittime. Si cerca ancora un disperso
Ci sono anche 27 feriti. Proseguono le indagini della procura
Sale drammaticamente il numero dei morti a causa dell’esplosione del deposito Eni di Calenzano per cui ancora si sta cercando di capire le cause. Due delle persone date per disperse, sono state trovate senza vita, facendo salire a 4 il numero delle persone decedute. Insieme ai 27 feriti – di cui 9 ricoverati a causa di ustioni tra Careggi e Cisanello – si fanno largo le prime ipotesi. Oltre alla paura di chi è sopravvissuto.
La vittima accertata – La prima accertata per ora è Vincenzo Martinelli, 51enne nativo di Napoli ma residente a Prato dal 1998. Separato, ha lasciato due figlie. Il suo corpo è stato letteralmente arso dalle fiamme e nelle prossime ore è atteso l’esame del dna ai fini di indagine. Divorate dalle fiamme anche le cabine della autocisterne, letteralmente distrutte.
Chi erano i dispersi – Per quanto riguarda i dispersi invece, ne sono stati trovati due mentre uno manca ancora all’appello. Si è in attesa di conoscere i nomi delle vittime, anche loro erano a bordo delle loro autocisterne nel momento dell’esplosione. Le persone che erano state date per disperse sono Fabio Cirelli, 45enne nativo di Matera, Gerardo Pepe, anche lui 45enne, italiano ma nato in Germania, e Davide Baronti, nato e residente ad Angera in provincia di Varese, di 49 anni. Tra le potenziali vittime, anche Carmelo Corso, 57enne catanese.
10:30 – Esplosione Calenzano, aperto fascicolo per omicidio colposo plurimo – In merito all’esplosione del deposito Eni di Calenzano che fin qui ha già causato 4 vittime, il procuratore di Prato Luca Tescaroli ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo. Tra le ipotesi, anche quelle di lesioni colpose aggravati dalla violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro e disastro colposo.
Esplosione Calenzano, Giani: “Avvenuta per difetto di carico” – Il presidente della regione Toscana ha parlato ai microfoni di Radio24
Stando a quanto riferito ai microfoni di Radio24 dal presidente della regione Toscana, Eugenio Giani,ci sarebbe una possibile causa per l’esplosione del deposito Eni di Calenzano avvenuta il 9 dicembre.
“Gli autisti che stavano per approssimarsi alla pensilina per il carico mi hanno raccontato che quanto avvenuto – ha detto Giani – è successo per il difetto di modalità di carico di una delle autocisterne. Cosa ha determinato questo è da vedersi. Noi abbiamo avuto questo disastro terribile ma nessuna delle torri di deposito del carburante è stata toccata, perche’ senno’ non so cosa sarebbe potuto succedere“.
L’incidente avvenuto nello stabilimento in provincia di Firenze: allertati tutti gli ospedali della zona. Il Comune: “Non avvicinatevi all’area dell’esplosione, chiudete porte e finestre”. Stop ai treni, chiusa l’uscita dell’A1
Una violenta esplosione si è verificata in una raffineria di Calenzano, in provincia di Firenze. Il forte boato, sentito in tutta la zona, poco dopo le 10 di oggi, lunedì 9 dicembre: una fitta colonna di fumo si è alzata sopra lo stabilimento ed è visibile anche dai comuni vicini. Il bilancio, ancora in evoluzione, è di due morti,nove feriti e tre dispersi.
Esplosione a Calenzano: (Firenze): il boato, poi la nube di fumo – L’allarme è scattato intorno alle 10:20, con il numero di emergenza che è stato tempestato di chiamate da parte dei cittadini allarmati. Da quanto si apprende dai vigili del fuoco, l’esplosione sarebbe avvenuta nel deposito Eni in via Gattinella e avrebbe provocato nelle vicinanze la rottura dei vetri di alcuni edifici industriali. La zona interessata sarebbe quella definita punto di carico dove le autobotti effettuano il rifornimento di carburante. Sul posto, come confermato dal presidente della Toscana Giani, sono intervenuti i sanitari, i vigili del fuoco e le forze dell’ordine: “Allertati tutti gli ospedali e pronto soccorso del territorio a seguito dell’esplosione avvenuta nello stabilimento Eni a Calenzano“. Il primo bilancio è di un morto e sette feriti, come confermato dal governatore sui social: “Al momento la situazione dei feriti trasportati nei nostri ospedali, in continua evoluzione: 2 codici verdi a Careggi, 1 codice rosso ustionato a Careggi, 1 codice giallo per trauma cranico a Careggi, 1 codice rosso al Centro Grandi Ustioni di Pisa, 2 codici gialli all’ospedale di Prato“.
“Eni conferma che questa mattina è divampato un incendio presso il deposito di carburanti a Calenzano (Firenze)– si legge in una nota – e che i Vigili del Fuoco stanno operando per domare le fiamme che sono confinate alla zona pensiline di carico e non interessano in alcun modo il parco serbatoi. Sono in corso di immediata verifica gli impatti e le cause“. Dopo il forte boato si è subito levata una nuvola di fumo altissima sulla città. Anche l’aeroporto di Peretola è stato sovrastato da una densissima nuvola di fumo nera. Intanto il policlinico di Careggi ha attivato il piano di massiccio afflusso, in caso di arrivo di numerosi feriti. Il piano, come si apprende dall’Aou, comporta il blocco dell’attività ordinaria dell’ospedale e spazi riservati al pronto soccorso.
“Non avvicinatevi all’area dell’esplosione, chiudete porte e finestre“
Anche il Comune di Calenzano ha pubblicato sui social un messaggio rivolto alla popolazione: “Si è verificata un’esplosione nell’area Eni nei pressi del campo sportivo (via del Pescinale). L’area dell’incidente è circoscritta. Al momento sono in corso le verifiche del caso. Invitiamo la popolazione a non avvicinarsi all’area interessata. Ai residenti in zona raccomandiamo di tenere chiuse porte e finestre e spegnere eventuali impianti di climatizzazione“.
Anche la sindaca di Firenze, Sara Funaro, sta seguendo la situazione in prima persona:” È avvenuta un’esplosione in un deposito a Calenzano (Firenze). La colonna di fumo è visibile anche dai comuni vicini. Sul posto il sistema regionale di emergenza sanitaria, i vigili del fuoco e le forze dell’ordine. Monitoriamo la situazione insieme alla Città Metropolitana“.
Chiusa l’uscita dell’A1 – L’uscita di Calenzano dell’A1 è chiusa in entrambe le direzioni a causa dell’incendio che si è sviluppato nella raffineria. Autostrade sul proprio sito invita ad utilizzare i caselli di Scandicci o di Barberino del Mugello per uscire dall’A1. Anche la circolazione ferroviaria è sospesa sulle linee convenzionale Firenze-Bologna e Firenze-Prato-Pistoia per l’intervento dei Vigili del Fuoco e delle Forze dell’Ordine a seguito dell’esplosione avvenuta al di fuori della sede ferroviaria in località Calenzano. Lo rende noto il sito Infomobilità di Rfi: i treni subiranno limitazioni e cancellazioni.
Antonio schiavone 36 anni, Roberto Scola 32 anni, Angelo Laurino 43 anni,Bruno Santino 26 anni, Rocco Marzo 54 anni,Rosario Rodinò 26 anni, Giuseppe Demani 26 anni
Torino, i familiari delle vittime della strage alla Thyssenkrupp: “Per noi giustizia non è stata fatta”
(LaPresse) Commemorazione al cimitero Monumentale di Torino per i 17 anni dalla tragedia della ThyssenKrupp, l’incendio nello stabilimento torinese dell’azienda tedesca che il 6 dicembre 2007 costò la vita a sette operai. Sul posto i familiari delle vittime che chiedono ancora giustizia: dopo una lunga, vicenda processuale, l’allora amministratore delegato Herald Hespenahn venne condannato a poco più di 9 anni per omicidio volontario con dolo eventuale e altri dirigenti per omicidio ed incendio colposi. Ma la pena per Espenhahn ha iniziato a essere scontata solo lo scorso anno e il dirigente resta in regime di semilibertà. “Per noi giustizia non è stata fatta, dicono che la legge è uguale per tutti ma non è vero“, dice Rosina Platì, la madre di una delle vittime.
Venerdì, 06 dicembre 2024
Strage alla Thyssen, i parenti dei 7 operai morti: “Abbandonati dallo Stato, siamo pieni di rabbia e dolore”
La commemorazione della strage del lavoro a Torino: «Le condanne ci sono state ma non sono mai state eseguite. Se le morti sul lavoro non si fermano è anche perché la giustizia non funziona»
La commemorazione stamane per la strage del lavoro – foto di Alberto Giachino (Ag. Reporters)
«Siamo ancora pieni di rabbia e dolore: i nostri cari ci mancano immensamente, mentre i maledetti assassini sono liberi». Questa mattina, al cimitero Monumentale, si è tenutala cerimonia di commemorazione delle vittime della strage della ThyssenKrupp, avvenuta 17 anni fa. A nome dei familiari dei sette operai morti nel rogo dell’acciaieriatorinese ha parlato Laura Rodinò, sorella di Rosario. «Lo Stato ci ha abbandonato, ma noi vogliamo giustizia – ha aggiunto – Continuiamo a vedere morti sul lavoro: chi toglie la vita deve andare in galera, le leggi vanno rispettate».
A perdere la vita, in seguito all’incidente del 6 dicembre 2007, erano stati Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rosario Rodinó, Giuseppe Demasi e Rocco Marzo. I loro corpi erano stati straziati dalle fiamme mentre lavoravano in acciaieria.
I parenti – «Siamo molto arrabbiati – afferma Rosina Platì, mamma di Giuseppe Demasi –Le condanne ci sono state ma, di fatto, non sono mai state eseguite. Se le morti sul lavoro non si fermano è anche perché la giustizia non funziona».
«Si era detto ‘mai più Thyssen’ e invece si continua a morire sul lavoro – dice Tony Boccuzzi, l’operaio che quella tragica notte si era salvato – Sono passati 17 anni e parliamo sempre di una giustizia che non verrà più: i responsabili dell’incidente sono già fuori dal carcere».
La procuratrice – Alla cerimonia anche la neo procuratrice generale del Piemonte, Lucia Musti: «Nella nostra Repubblica le principali fonti di morte sono tre: il carcere, gli omicidi di genere e le morti sul lavoro. Si tratta di una macabra gara di morte». Per i reati in materia di lavoro, secondo la procuratrice, «una questione fondamentale è la prevenzione, l’accesso ai luoghi di lavoro di chi deve controllare e far sentire il fiato sul collo dello Stato. E le imprese che risparmiano sulle cautele: anche questo è indecente». Contano i risultati, ha aggiunto, e «lo Stato li ottiene quando la pena viene eseguita o quando si confiscano i beni». Ha concluso: «Proprio stamattina ho chiesto al mio ufficio di aggiornarmi sulle pene dei due cittadini tedeschi condannati per la ThyssenKrupp: mi dicono che in Germania sono in corso di esecuzione».
L’assessora – Per il Comune di Torino è intervenuta l’assessora ai Cimiteri, Chiara Foglietta. “Che le morti non siano vane è un monito che ci portiamo dietro perché non ci siano più pagine così drammatiche nella nostra storia, sapendo però che i morti sul lavoro continuano ad esserci e che tanta è la strada ancora da fare – ha detto – . Il lavoro continua a perdere la dignità che dovrebbe avere: cadono le sicurezze, aumentano a dismisura gli orari si perde il senso di quello che facciamo nel nome di una ricerca incessante di un benessere che non c’è“.