Il calcio europeo evidenzia anno dopo anno uno scenario di squilibrio, aspetto che lo differenzia da altri sport sviluppati negli USA. Ad esempio, la NFL è stata vinta negli ultimi 30 anni da 15 squadre diverse e l’NBA nello stesso periodo ne conta 30. Diverso il discorso nel calcio europeo: in questo stesso lasso di tempo la Premier League ha visto appena 6 diversi vincitori, la Bundesliga 7, in Liga c’è invece il dominio di Real e Barça che hanno vinto 24 degli ultimi 30 campionati, in Ligue1 il PSG ne conta 11 degli ultimi 13. Mentre in Serie A comandano Inter, Juventus, Milan e Napoli.
“La polarizzazione – spiega oggi Il Sole 24 Ore – nasce come diretta conseguenza (o per meglio dire, come effetto distorsivo) della crescita industriale del settore: nell’ultimo trentennio, i ricavi degli oltre 700 club delle Top Division europee sono aumentati di 10 volte (da 2,8 a 28,6 miliardi), un trend trainato prima dal boom dei diritti tv e più di recente dai proventi commerciali. Uno sviluppo, però, non omogeneo: il 75% dei ricavi in Europa è prodotto dal 10% dei club, ovvero i 96 partecipanti alle “Big 5” (Premier League, Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1). Il 3% delle società (le 20 con i maggiori ricavi) incidono per il 40% del totale, e i club nella top 10 per quasi il 30“.
Tra il 1996 e il 2024, i ricavi delle 5 Top League sono aumentati di 19 miliardi. Un dato che si è poi evoluto nel tempo. Il quotidiano finanziario ricorda che nel 1996 i ricavi del Real Madrid erano sostanzialmente in linea con quelli di Juventus, Inter e Milan (intorno ai 50/70 milioni), ma poi nel 2023-2024 sono arrivate a toccare quota 1.045 milioni. Molto più in basso le tre big italiane, che in media arrivano a 380. Discorsi simili possono essere fatti per Bayern Monaco, Barcellona, Arsenal e Liverpool, ma anche per Manchester City e PSG, “club che presentano ricavi e stipendi pari rispettivamente al doppio e al triplo di quelli dei nerazzurri, e che negli ultimi 5 anni hanno speso un miliardo a testa nel mercato trasferimenti“, ricorda Il Sole 24 Ore.
Le eccezioni sono sempre più rare, ma esistono. “La stessa Inter è riuscita a raggiungere questi traguardi senza pregiudicare il proprio equilibrio economico-finanziario, e nel 2024/25 è stato raggiunto l’utile di bilancio, un qualcosa che non si vedeva dalla Presidenza Pellegrini (anni ’90)“, conclude il quotidiano nel suo approfondimento.
La nostra regione è quella con il numero assoluto più elevato di casi
Tra gennaio e ottobre 91.719 denunce di infortunio, di cui 128 con esito mortale, e 4.181 denunce di malattia professionale
I dati diffusi dall’INAIL relativi alle denunce di infortunio e malattia professionale registrate nei primi dieci mesi del 2025 confermano un quadro nazionale che resta critico e mostrano, ancora una volta, come la Lombardia sia la regione con il numero assoluto più elevato di casi: tra gennaio e ottobre di quest’anno in Lombardia sono state registrate 91.719 denunce di infortunio, di cui 128 con esito mortale e 4.181 denunce di malattia professionale.
Milano rimane l’area con il numero più elevato di denunce (30.500 casi nei primi dieci mesi del 2025) seguita da Brescia (13.198), Bergamo (10.509) e Varese (8.240). La Lombardia è la regione che presenta anche più denunce degli studenti di ogni ordine e grado: 15.146 denunce, pari al 24% del totale nazionale, con un aumento del +7,1% rispetto al 2024 (di cui 398 in itinere e 14.748 in occasione delle attività scolastiche, queste ultime comprendenti anche infortuni avvenuti nell’ambito della “Formazione scuola-lavoro”). Due i casi mortali denunciati (uno in occasione delle attività scolastiche e uno in itinere).
“I dati che emergono dall’ultimo report INAIL – evidenzia la Segretaria Confederale UIL Lombardia Eloisa Dacquino – confermano quello che denunciamo da tempo: in Lombardia la sicurezza sul lavoro continua a essere affrontata con strumenti insufficienti e inadeguati rispetto alla complessità e alla dimensione del rischio. Non possiamo accettare che la nostra regione mantenga, mese dopo mese e anno dopo anno, il primato nazionale per numero di infortuni e malattie professionali. Non si tratta soltanto di un effetto dimensionale: gli incrementi registrati in diversi territori e in specifici settori, unitamente all’aumento dei casi tra gli studenti, è un segnale inequivocabile che qualcosa non funziona nei sistemi di prevenzione e controllo e che la responsabilità è diffusa”.
“Non possiamo accettare che i percorsi di formazione – scolastici o professionali – diventino un ulteriore ambito di rischio. La scuola deve essere un presidio di sicurezza, non un luogo in cui si aggiunge vulnerabilità”.
Si tratta di qualcosa che la segretaria confederale conferma chiamare in causa anche la qualità della valutazione dei rischi: “Persistono carenze nei sistemi di prevenzione, organizzazione del lavoro – continua Dacquino – l qualità della formazione e presenza ancora troppo diffusa di modelli produttivi che sacrificano la sicurezza sul lavoro alla logica della produttività. L’aumento delle malattie professionali, in particolare dei tumori e delle patologie muscolo-scheletriche, conferma che siamo di fronte a rischi sottovalutati, che emergono con ritardi inaccettabili nei processi di tutela e continuano a essere pagati sulla pelle di lavoratrici e lavoratori. È un tema che chiama in causa la qualità della valutazione dei rischi e l’efficacia dei controlli”.
“Di fronte a tutto questo – conclude Dacquino – la UIL Lombardia ribadisce la necessità di rafforzare le azioni di vigilanza, garantire formazione qualificata e verificabile, rendere pienamente operativi i Protocolli sottoscritti e un impegno concreto delle imprese nel garantire ambienti di lavoro sicuri. 302 denunce di infortunio al giorno nella nostra regione sono la testimonianza di un rischio ignorato, di un controllo mancato, di un diritto negato. Sono la conferma evidente che il sistema delle tutele e della prevenzione non sta funzionando e che le responsabilità troppo spesso si traducono in impunità: per questo chiediamo l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro, una Procura nazionale ad hoc e politiche pubbliche capaci di trasformare la sicurezza sul lavoro da principio dichiarato a condizione reale e quotidiana in ogni contesto lavorativo”.
Diverse compagne dei calciatori viola hanno sporto denuncia. Amanda, fidanzata di Dodò: “Aspettatevi la Polizia a casa vostra”
Si fa sempre più complicata la situazione in casa Fiorentina. La brutta sconfitta sul campo del Sassuolo, oltre a complicare ulteriormente la situazione in classifica della squadra di Vanoli, ha scatenato gli istinti più beceri di una parte della tifoseria. E, si sa, purtroppo nell‘epoca dei social la cassa di risonanza è ancora più ampia. Diverse fidanzate dei calciatori viola hanno ricevuto ripetute minacce di morte o simili messaggi. Molte hanno già sporto denuncia, alcune si sono anche esposte in prima persona come la moglie di Dodo, Amanda Ferreira, rendendo pubblici alcuni commenti sotto un suo post, in cui si augura la morte ai figli del brasiliano
Il difensore della Nazionale è stato protagonista di un episodio sul quale stanno indagando i poliziotti londinesi. Già rintracciato il soggetto incriminato (libero su cauzione): si tratterebbe di un ex giocatore poi diventato agente. Il Tottenham: “Al fianco del giocatore”
È Destiny Udogie il giocatore di Premier League minacciato con una pistola in una strada della periferia nord di Londra da un procuratore lo scorso 6 settembre. La notizia dell’incidente si è diffusa nella serata di domenica, ma il nome del difensore del Tottenham e della Nazionale è trapelato nelle ultime ore, mentre l’azzurro era impegnato nel match di Champions League degli Spurs vinto contro il Copenaghen in cui è partito titolare. L’incidente, traumatico anche se conclusosi senza spargimenti di sangue, avrebbe lasciato un segno nel 22enne difensore azzurro.
L’incidente – Secondo un comunicato della polizia di Londra, “gli agenti sono stati chiamati alle 23.14 di sabato, 6 settembre, per denunciare che un uomo di circa 20 anni era stato minacciato con un’arma di fuoco in una strada. La Polizia ha parlato con la vittima e nel corso delle indagini è emerso che lo stesso individuo aveva ricattato e minacciato un altro uomo, sempre di circa 20 anni. Lunedì 8 settembre la polizia ha eseguito l’arresto di un uomo di 31 anni accusato di possesso illegale di arma da fuoco, ricatto e guida senza patente. L’uomo è libero su cauzione mentre l’indagine continua”. La stampa britannica per legge non può fare il nome dell’agente, ma si tratterebbe di un ex giocatore che dopo una carriera stroncata da problemi di cuore aveva deciso di diventare agente, lavorando con diversi atleti emergenti di Premier Leaguefacendo base proprio a Londra, non lontano dallo stadio del Tottenham. Secondo quanto riferito dal Sun, che ha ricostruito la vicenda, le minacce a Udogie sarebbero seguite alla decisione dell’azzurro di troncare i rapporti con l’agente. “Stiamo aiutando Destiny e la sua famiglia dal momento dell’incidente e continueremo a farlo – ha fatto sapere il Tottenham in un comunicato -. Visto che l’indagine è ancora in corso, non possiamo commentare oltre”.
Il lavoratore era rimasto incastrato in un macchinario mentre lavorava alla 3A di Arborea
ArboreaCi sono volute tutte le capacità dell’equipe medica per rimediare alle conseguenze dell’incidente sul lavoro avvenuto ieri, giovedì 4 dicembre, nello stabilimento della 3A ad Arborea, dove il lavoratore di una ditta che sta gestendo delle manutenzioni aveva subito la sub-amputazione di una gamba dopo essere rimasto incastrato in un macchinario. L’emergenza, gestita in un momento di elevata attività dell’Areus di Cagliari, aveva reso necessario il trasferimento all’azienda ospedaliero-universitaria di Sassari. Il ferito è giunto al Pronto soccorso, diretto dal dottor Paolo Pinna Parpaglia, con una sub-amputazione e un devastante arrotamento dell’arto che avevano causato un’ingente perdita di sangue e l’altissimo rischio di ischemia. Dopo essere stato subito avviato in zona rossa e stabilizzato dall’equipe di rianimatori e anestesisti diretta dalla dottoressa Grazia Canu, è stata eseguita una rapida angiotac che ha confermato la necessità di un intervento immediato.
L’operazione, durata oltre tre ore e tecnicamente riuscita, è stata eseguita dall’equipe diretta dal dottor Franco Cudoni, direttore del dipartimento Emergenza-Urgenza, con i chirurghi Luca Saturno e Tonino Zirattu. L’intervento ha richiesto il riallineamento del femore fratturato in quattro punti, l’isolamento dei vasi compromessi e la riattivazione della circolazione, con il cruciale supporto dei dottori della Chirurgia plastica e ricostruttiva. Il paziente è ricoverato in Ortopedia, in condizioni stabili ma gravi, con prognosi riservata. Rimane sotto stretta osservazione per prevenire eventuali complicazioni in presenza di traumi così estesi. Il prossimo passo sarà la valutazione congiunta con i chirurghi plastici per pianificare le azioni successive. Il dottor Franco Cudoni ha commentato: «La rapidità del trasferimento, l’attivazione immediata della sala rossa e la diagnostica rapida hanno consentito di eseguire l’intervento chirurgico e di salvare l’arto al paziente. Un successo di equipe con medici che hanno dimostrato di sapere lavorare con elevata professionalità e in piena sinergia».
I febbrili momenti immediatamente dopo l’incidente del 3 ottobre 2023
L’inchiesta sulla strage del bus precipitato dal cavalcavia superiore di Mestre il 3 ottobre 2023 si è chiusa con l’iscrizione nel registro degli indagati di sette persone: si tratta di sette tecnici del Comune di Venezia, tutti appartenenti, a vario titolo, ai settori Viabilità, Lavori pubblici e Manutenzione della terraferma. La Procura della Repubblica ha ricostruito un quadro che risale indietro nel tempo, individuando nel guardrail del cavalcavia un punto critico noto da decenni e mai risolto,ritenuto elemento centrale nella dinamica dell’incidente che causò 22 morti e oltre una decina di feriti gravi nel più grave disastro stradale mai registrato nel territorio veneziano.
Le indagini erano iniziate subito dopo la tragedia, con un primo approfondimento sulla condizione dell’autista, Alberto Rizzotto, deceduto nello schianto. Le verifiche sul suo stato di salute esclusero rapidamente l’ipotesi del malore alla guida. L’attenzione si spostò quindi sulla meccanica del mezzo, un bus Yutong gestito dalla compagnia “La Linea”. Una perizia ritenne che lo sterzo si fosse bloccato poco prima dell’urto, circostanza che avrebbe impedito al conducente di correggere la traiettoria. La ricostruzione suggerì che l’autista, perfettamente lucido e consapevole, avesse tentato manovre utili ad attutire le conseguenze della perdita di controllo, rallentando la corsa e appoggiandosi al guardrail nel tentativo di proteggere i passeggeri.
Gli approfondimenti tecnici misero poi in luce che il guardrail, già compromesso e privo di un tratto di circa 2,4 metri presente dagli anni Sessanta, non avrebbe retto alla pressione del mezzo rallentato fino quasi all’arresto. Proprio quel varco divenne il punto in cui l’autobus si infilò, sbilanciandosi oltre il bordo del cavalcavia e precipitando per una decina di metri sulla strada sottostante, dove prese fuoco. Le verifiche successive su altri autobus dello stesso modello non portarono a conclusioni definitive, mentre l’attenzione investigativa si concentrò progressivamente sulle condizioni dell’infrastruttura.
La Guardia di Finanza, dopo mesi di accertamenti, ha ricostruito la storia manutentiva del cavalcavia, evidenziando come la criticità fosse nota a diversi livelli amministrativi. Secondo gli inquirenti, negli anni sarebbero state predisposte progettazioni di adeguamento e lavori di ripristino mai concretizzati. Un intervento di restauro risultava essere stato programmato proprio nei giorni precedenti alla tragedia, ma non ancora avviato sul tratto interessato.
Sulla base di questa ricostruzione, i pubblici ministeri hanno formulato le accuse nei confronti dei sette tecnici comunali, contestando loro, in forme diverse a seconda dei ruoli ricoperti, reati che vanno dal disastro colposo all’omicidio e alle lesioni stradali. Tra gli indagati figurano il direttore dell’area Lavori pubblici e Mobilità S.A., il responsabile del Servizio manutenzione della viabilità di terraferma A.C. e il dirigente del settore mobilità R.D.B., già coinvolti nelle prime fasi dell’inchiesta. In seguito sono stati aggiunti il responsabile del servizio ponti e viadotti G.A.S., il progettista e direttore dei lavori D.C. e due dirigenti ormai in pensione, F.F e F.P., che negli anni precedenti avevano ricoperto incarichi nel settore viabilità della terraferma.
La linea d’indagine della Procura sostiene che la presenza del varco nel guardrail fosse ampiamente nota agli uffici e che gli interventi necessari non fossero stati eseguiti nonostante le direttive ministeriali sulla manutenzione dei ponti e delle infrastrutture stradali richiedessero controlli e aggiornamenti periodici. Per gli inquirenti, tale omissione avrebbe contribuito in modo determinante all’esito mortale dell’incidente.
La posizione del presidente della compagnia “La Linea”, Massimo Fiorese, è stata invece archiviata. La Procura ha ritenuto che la società non potesse essere a conoscenza di eventuali difetti strutturali del cavalcavia né dell’esistenza del varco,elemento ritenuto estraneo alle responsabilità del vettore.
Il deposito degli atti rappresenta ora il passaggio formale che precede la possibile richiesta di rinvio a giudizio. Gli indagati avranno venti giorni per prendere visione del fascicolo, chiedere un interrogatorio o depositare memorie difensive. Le difese dei tecnici comunali hanno già contestato l’impostazione dell’inchiesta, sostenendo la correttezza dell’operato dei propri assistiti e segnalando che il varco nel guardrail fosse presente da oltre mezzo secolo. Hanno inoltre richiamato l’attenzione sulla perizia relativa alla rottura dello sterzo del bus, ritenuta una causa iniziale non adeguatamente considerata.
La Procura, guidata dal procuratore vicario, valuterà nelle prossime settimane se procedere con la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio o se archiviare alcune posizioni. La conclusione dell’indagine rappresenta un passaggio chiave in un procedimento complesso, che ha cercato di ricostruire l’intreccio di responsabilità tecniche e amministrative maturate nel corso di decenni.
Nella tragedia dell’autobus precipitato del 3 ottobre 2023 morirono 22 persone e 16 rimasero ferite, alcune in maniera molto grave.
I danni causati da un drone russo lo scorso febbraio sono severi. L’agenzia dell’Onu per l’energia atomica, che ha ispezionato il sito la scorsa settimana, ha confermato la perdita dei principali componenti di sicurezza, compresa la capacità di contenimento. I sistemi di monitoraggio non hanno invece riportato danni permanenti
I danni causati dal drone a febbraio 2025. AP Photo/Efrem Lukatsky Associated Press – LaPresse
La cupola protettiva della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, non è più sicura dopo essere stata danneggiata da un drone russolo scorso febbraio. A comunicarlo oggi è l’agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che la scorsa settimana ha effettuato un’ispezione sul sito. In sostanza, significa che lo scudo protettivo costruito sopra all’ex centrale non è più in grado di impedire la fuoriuscita di radiazioni.
L’allarme dell’Aiea – Secondo quanto rilevato, la struttura realizzata nel 2019 per contenere il materiale radioattivo dopo il disastro del 1986ha perso la capacità di svolgere la sua funzione principale a causa dei danni riportati. “L’ispezione ha confermato che la struttura ha perso i suoi componenti di sicurezza chiave, inclusa la capacità di contenimento, ma ha anche riscontrato che non sono stati causati danni permanenti ai suoi sistemi di monitoraggio“, ha dichiarato il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi.
Lo scudo, costruito nel 2016, è una grossa struttura di acciaio e cemento che copre il reattore numero 4 dell’ex centrale nucleare, quello che nel 1986 esplose causando il più grave incidente nucleare della storia e che tuttora è radioattivo e pericoloso.
Il video di Zelensky – Il 14 febbraio scorso lo scudo protettivo è stato colpito da un drone: l’Ucrainaaveva accusato la Russia, che invece aveva negato ogni responsabilità. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva pubblicato un video che mostrava l’attacco, con i danni provocati allo scudo dall’esplosione e l’incendio che era stato spento poco dopo.
Lingua originale: inglese. Traduzione diGoogle Ieri sera un drone d’attacco russo con una testata ad alto potenziale esplosivo ha colpito il rifugio che proteggeva il mondo dalle radiazioni presso la quarta unità di potenza distrutta della centrale nucleare di Chornobyl. Questo rifugio è stato costruito dall’Ucraina insieme ad altri paesi europei e del mondo, insieme all’America: tutti coloro che si impegnano per una vera sicurezza dell’umanità. L’unico paese al mondo che attacca tali siti, occupa centrali nucleari e scatena guerre senza alcun riguardo per le conseguenze è la Russia di oggi. Questa è una minaccia terroristica per il mondo intero. Il rifugio della centrale nucleare di Chernobyl è stato danneggiato da questo drone. L’incendio è stato spento. Al momento, i livelli di radiazioni non sono aumentati e vengono costantemente monitorati. Secondo le prime valutazioni, i danni al rifugio sono significativi. Ogni notte, la Russia sferra attacchi simili alle infrastrutture e alle città dell’Ucraina. La Russia continua a espandere il suo esercito e non mostra alcun cambiamento nella sua folle e disumana retorica statale. Ciò significa che Putin non si sta certamente preparando ai negoziati: si sta preparando a continuare a ingannare il mondo. Ecco perché è necessaria una pressione unitaria da parte di tutti coloro che hanno a cuore la vita: una pressione sull’aggressore. La Russia deve essere ritenuta responsabile delle sue azioni.
Last night, a Russian attack drone with a high-explosive warhead struck the shelter protecting the world from radiation at the destroyed 4th power unit of the Chornobyl Nuclear Power Plant.
This shelter was built by Ukraine together with other countries of Europe and the world,… pic.twitter.com/mLTGeDYgPT
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) February 14, 2025
In quei giorni l’Aiea aveva detto che i livelli di radiazioni erano rimasti stabili. Poi è arrivata l’ispezione della scorsa settimana. Il direttore generale dell’agenzia per l’energia atomica ha detto anche che sono già state fatte alcune riparazioni, ma che altre sono necessarie per garantire la sicurezza nucleare nel lungo periodo.
Un sopralluogo conferma i progressi, ma problemi in galleria rallentano la corsa per febbraio 2026: “Criticità legate alla complessità del cantiere. Al lavoro per garantire apertura in sicurezza”
E’ sempre più difficile immaginare la tangenziale di Tirano completata in tempo per le Olimpiadi invernali, in programma il prossimo febbraio. La conferma arriva da una nota stampa diramata da Anas nel tardo pomeriggio di giovedì 4 dicembre, nella quale si riferisce del sopralluogo effettuato dal commissario straordinario Nicola Prisco e dai vertici della società, insieme al prefetto di Sondrio Anna Pavone e all’assessore regionale agli Enti locali e montagna Massimo Sertori, lungo il cantiere della Statale 38. In quell’occasione Prisco ha illustrato lo stato dell’arte dei lavori,mettendo in evidenza alcune criticità esecutive, legate alla complessità del cantiere, sorte nei lavori in sotterraneo.
“Nonostante ciò, lungo l’intera variante è stato completato il corpo dei rilevati stradali, mentre proseguono pavimentazioni e installazione delle barriere”, spiegano da Anas, ricordando come l’intervento “stia avanzando con il massimo impegno possibile, compatibilmente con le condizioni del terreno”.
Il ponte sull’Adda di Stazzona è ormai ultimato. Per quello di Tirano, già varato, si sta completando l’armatura della soletta, con conclusione prevista entro dicembre. “Contiamo di chiudere questa fase entro la fine dell’anno”, fanno sapere i tecnici. Sono in fase finale anche il sottopasso sotto la Statale 38 e quello sotto la ferrovia Sondrio–Tirano, dove la circolazione sarà ripristinata a breve.
Questione gallerie – Avanzamenti importanti anche sulla galleria artificiale “Il Dosso 1”, con posa dell’arco rovescio e della tratta finestrata già completate. Più complessa invece la situazione nella galleria naturale “Il Dosso”: lo scavo ha raggiunto 918 metri sui 978 totali, ma quisi concentrano le difficoltà maggiori, legate alla presenza di materiale non compatto e a caratteristiche geomeccaniche sfavorevoli. “In alcuni punti il fronte di scavo ha imposto adattamenti continui, perché il materiale non rispondeva alle previsioni”, spiegano ancora da Anas.
“Per garantire la sicurezza è stato necessario ridurre gli avanzamenti e intensificare i monitoraggi per tutelare le maestranze e assicurare lavori in totale sicurezza. Le fasi esecutive di conseguenza si sono rallentate. Sono presenti sul cantiere oltre 200 maestranze, con turni di lavoro sette giorni su sette”, sottolineano dalla società del Gruppo FS Italiane.
Alla luce dei rallentamenti, e in assenza della variante, con molta probabilità il traffico olimpico attraverserà così Tirano, lungo viale Italia, come avviene da sempre. “Anas, assieme all’impresa, sta comunque procedendo con impegno massimo e notevoli sforzi produttivi per superare gli imprevisti di carattere geologico e garantire l’apertura in sicurezza dell’intera variante di Tirano”, conclude la nota facendo intendere come arrivare pronti ai Giochi resti un obiettivo sempre più difficile da raggiungere.
Un enorme incendio si è sviluppato in un edificio commerciale in un quartiere della zona di Los Angeles. Enorme la colonna di fumo nero che si è alzata in cielo. Le immagini girate dagli elicotteri della KABC hanno ripreso le fiamme dell’alto e i vigili del fuoco al lavoro. Ancora sconosciute le cause del rogo. KABC riferisce che tutti i dipendenti sono stati evacuati e che non ci sono stati feriti
102 giocatori già squalificati, 150 i direttori di gara nel mirino della Procura di Istanbul
Si allarga a macchia d’olio l’inchiesta portata avanti dalla Procura di Istanbul in merito allo scandalo scommesse venuto a galla nei mesi scorsi all’interno del movimento calcistico turco. Uno scandalo di portata enorme, che ha toccato tantissimi tesserati tra calciatori, arbitri e altri addetti ai lavori, oggetto sia di sanzioni dal punto di vista sportivo che sul piano penale. E’ notizia di questa mattina l’arresto di alcuni giocatori di spicco, tra cui figurano pure atleti di spicco di Fenerbahce e Galatasaray, i due club al momento più rappresentativi della Superlig.
IN MANETTE – Secondo quanto si apprende dalle agenzie di stampa turche, l’operazione condotta nelle scorse ore dalla Procura di Istanbul ha portato al fermo, tra gli altri, di Mert Hakan Yandas (centrocampista del Fenerbahce) e del difensore centrale del Galatasaray Metehan Baltaci. Insieme a loro, sono finiti in manette pure l’ex direttore di gara (oggi commentatore televisivo) Ahmet Cakar e l’arbitro Zorbay Kucuk. In totale, sono 46 le persone sospettare di aver commesso illeciti e oggetto di indagini da parte delle autorità, con 35 arresti che vedrebbero coinvolti anche presidenti e dirigenti di società.
INDAGINE A TAPPETO – Particolarmente inquietanti sono i numeri relativi agli arbitri coinvolti in questo scandalo senza precedenti nel calcio turco. 150 di loro sono finiti dentro l’inchiesta, mentre già nelle settimane scorse già 102 calciatori sono stati squalificati per un periodo compreso tra i 45 giorni e l’anno. Fra loro figurano il già citato Metehan Baltaci e il compagno di squadra al Galatasaray Eren Elmali.
Turchia, scandalo scommesse: in manette giocatori di Fenerbahce e Galatasaray
Tra gli arrestati il centrocampista Mert Hakan Yandas e il difensore Metehan Baltaci
La Procura di Istanbul ha emesso una serie di mandati di arresto per decine di calciatori e dirigenti in relazione allo scandalo scommesse che ha scosso la Turchia. Tra gli arrestati durante il blitz della polizia di questa mattina presto c’erano anche il centrocampista del Fenerbahce Mert Hakan Yandas e il difensore del Galatasaray Metehan Baltaci. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa DHA, anche l’ex arbitro e commentatore Ahmet Cakar e l’attuale arbitro Zorbay Kucuk sono finiti in manette. La Federcalcio turca ha dichiarato a ottobre di aver avviato un’indagine su oltre 150 arbitri per presunte scommesse su partite di calcio, che si è presto estesa a giocatori, dirigenti e commentatori televisivi. La Procura Generale di Istanbul ha emesso mandati di arresto per 46 sospettati,35 dei quali sono stati inizialmente arrestati, inclusi i presidenti di alcuni club.
I carabinieri del nucleo investigativo di Roma, a quanto apprende l’Adnkronos, hanno sequestrato diversi dispositivi, tra cui tablet, computer e telefoni agli indagati, sia a casa che negli uffici dei 5 indagati
Claudio Lotito – (Fotogramma/Ipa)
Perquisizioni sono state eseguite nei confronti di cinque persone indagate per tentata estorsione e manipolazione del mercato a danno del presidente della Lazio Claudio Lotito. I carabinieri del nucleo investigativo di Roma, a quanto apprende l’Adnkronos, hanno sequestrato diversi dispositivi, tra cui tablet, computer e telefoni agli indagati, sia a casa che negli uffici.
A delegare le perquisizioni sono stati i pm della Capitale che hanno avviato l’inchiesta dopo le denunce presentate da Lotito. In particolare ai cinque viene contestato in concorso di aver, con reiterati atti di minaccia tramite social, mail e telefonate anonime al presidente della Lazio, compiuto atti per costringere Lotito a cedere il capitale della società.
Inoltre per l’ipotesi di reato di manipolazione del mercato, ai cinque si contesta di aver, in concorso con terzi non ancora identificati, diffuso attraverso social e tramite una testata online, notizie false relative a un’imminente cessione del pacchetto di controllo da parte di Lotito, dello stato di quasi fallimento della società e anche dell’intenzione, sempre non veritiera, di far retrocedere la Lazio. Notizie diffuse per alterare il valore delle azioni della società quotata in Borsa.
Il materiale sequestrato verrà ora analizzato anche per capire se c’è una ‘regia’. Uno degli indagati avrebbe anche commissionato lo striscione ‘Lotito libera la Lazio’ appeso ad un aereo che la scorsa estate ha sorvolato il centro sportivo di Formello.
Il decreto: “Notizie false per orientare protesta tifoserie Lazio contro Lotito” – Striscioni esposti con la scritta ‘Libera la Lazio’, post ingiuriosi diffusi sui social, telefonate di minacce di morte per costringerlo a vendere la società: dopo le denunce presentate da Claudio Lotito ora cinque persone sono indagate dalla procura di Roma per fatti avvenuti dal 2024 a oggi. Si tratta di Stefano Greco, Fabio Russo, Rodolfo Bada, Lorenzo Silvestri e Renato Calcara, perquisiti oggi.
Tutti e cinque in concorso sono accusati di tentata estorsione e manipolazione del mercato, perché “agendo in concorso morale e materiale tra loro e con terzi in corso di identificazione, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con reiterati atti di minaccia di morte effettuati a mezzo social network, mediante telefonate anonime ed a mezzo mail, dirette alla persona offesa o a suoi collaboratori, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere Claudio Lotito a cedere il capitale detenuto della S.S. Lazio s.p.a. o, in almeno un caso, a procedere ad un aumento di capitale”.
Aveva 75 anni. Con ‘Gli occhi di tua madre’ arrivò terzo al Festival di Sanremo nel 1976
Sandro Giacobbe
Sandro Giacobbe, cantautore e autore di indimenticabili successi, è morto oggi all’età 75 anni nella sua casa di Cogorno (Genova) per le complicazioni di un tumore che lo affliggeva da un decennio. E’ stato autore di ‘Signora mia’, brano utilizzato come colonna sonora del film ‘Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto‘ (1974) di Lina Wertmüller, con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, e “Gli occhi di tua madre“, che gli permise di arrivare terzo al Festival di Sanremo nel 1976. E tra le sue canzoni più note, storie semplici e toccanti, ci sono anche “Sarà la nostalgia‘, ‘Il giardino proibito‘ e ‘Portami a ballare‘. E’ stato un volto popolare grazie anche alla Nazionale cantanti.
Il 16 marzo 2025 aveva raccontato a ‘Domenica In‘ su Rai 1, nel corso di un’intervista a Mara Venier, di aver perso tutti i capelli a seguito della chemioterapia e di dover utilizzare la carrozzina su ordine dei medici. ‘Sono chiuso in casa perché dovrei uscire in carrozzina e mi fotograferebbero, quindi voglio dichiarare pubblicamente la mia situazione, in modo che sia io stesso a informare tutti‘, aveva detto Giacobbe. Negli anni il cantautore si è ritrovato a affrontare momenti molto duri: il primo quando è stato colpito da meningioma, un tumore delle meningi, per il quale ha subito una delicata operazione. E dal 2015 combatteva contro il cancro alla prostata.
Sandro Giacobbe era sposato con Marina Peroni, di 27 anni più giovane di lui. Lei è stata per molti anni una delle sue coriste: stavano insieme dal 2010 e si sono sposati nell’ottobre 2022. Lascia due figli, Andrea e Alessandro, nati entrambi dal primo matrimonio.
A 16 anni il primo gruppo musicale – Nato a Genova il 14 dicembre 1949, in una famiglia operaia, da padre siciliano di Mascali, in provincia di Catania, e madre lucana di Genzano di Lucania, in provincia di Potenza, Sandro Giacobbe a 16 anni, trascurando gli studi di ragioneria, formò con alcuni amici un gruppo musicale, Giacobbe & le Allucinazioni esibendosi nei locali della Liguria. Messo sotto contratto dalla Dischi Ricordi, esordì nel 1971 con la canzone ‘Per tre minuti e poi…’, seguita l’anno successivo da ‘Scusa se ti amo‘. Passato alla Cbs, venne valorizzato come autore, pubblicando alcune sue canzoni cantate da altri artisti, tra cui ‘L’amore è una gran cosa’, interpretata da Johnny Dorelli e scelta come sigla della trasmissione radiofonica ‘Gran Varietà’.
Il primo 45 giri di successo è del 1974: ‘Signora mia‘, che dà il nome anche al suo primo album e conquistò il pubblico del Festivalbar; un’altra canzone dell’album, ‘Signora addio‘, venne interpretata anche da Gianni Nazzaro.
Seguirono l’anno dopo ‘Il giardino proibito‘ (45 giri e album) e ‘Io prigioniero‘, con cui vinse la Gondola d’Oro di Venezia.Il 1976 fu l’anno del boom con ‘Gli occhi di tua madre’, classificatasi al terzo gradino del podio sanremese, la hit estiva ‘Il mio cielo, la mia anima‘ e la partecipazione come autore allo Zecchino d’Oro con la canzone ‘Sette note per una favoletta‘. Nel 1977 incise l’album ‘Bimba’; nel 1978 ‘Lenti a contatto‘, a cui seguì la seconda partecipazione come autore allo Zecchino d’Oro con ‘E l’arca navigava‘. Nel 1979 con ‘Mi va che ci sei‘ tornò il successo popolare bissato l’anno successivo da ‘Notte senza di te‘ e soprattutto da ‘Sarà la nostalgia’ del 1982 che si affermò come una delle hit più acclamate dell’anno.
Nel 1983 fu di nuovo a Sanremo con ‘Primavera‘, mentre l’anno dopo ottenne ancora un successo con ‘Portami a ballare‘, gettonatissimo brano estivo presentato a Un disco per l’estate. Successivamente diradò l’attività discografica dedicandosi principalmente ai concerti e alle iniziative di solidarietà e sport legate alla Nazionale cantanti della quale è stato difensore centrale e in seguito promosso ad allenatore.
Nel 1985 partecipò per la terza e anche ultima volta come autore allo Zecchino d’Oro con il brano ‘Il sole e il girasole‘. Nel 1990 Giacobbe tornò in gara a Sanremo cantando ‘Io vorrei‘, che dette il titolo al nuovo disco, pubblicato dalla Carosello. Nel 2015 pubblicò il singolo ‘Ali per volare‘ interpretato insieme alla compagna Marina Peroni. Nel 2019 dedicò il suo nuovo singolo‘Solo un bacio‘ ai figli delle vittime della tragedia del ponte Morandi di Genova.
Nel 2023 ha inciso ‘Lettera al gigante‘, singolo scritto dal figlio Andrea. Il cantante ha raccontato in diverse interviste che quando era solo un bambino anche il figlio Andrea è stato faccia a faccia con il cancro. Un’esperienza che lo ha cambiato profondamente, nonchè una delle notizie più dolorose per un padre. ‘Un papà non dovrebbe mai sentire che suo figlio ha un tumore ed è in pericolo di vita’, aveva detto Sandro Giacobbe in un’intervista a ‘Domenica Live‘ con Barbara D’Urso nel 2015 a Canale 5. Con le lacrime agli occhi, il cantautore aveva detto che all’epoca si era trovato di fronte ad una scelta difficilissima, quella di far operare il figlio dopo che aveva avuto una recidiva sempre nel corso della sua infanzia. Fortunatamente il figlio ha poi goduto di ottima salute.
Sei scosse da ieri sera: quella più forte, di magnitudo 2.5, è stata registrata tra Cesena e Arezzo alle ore 3.36
Terremoto di magnitudo ML 2.5 è avvenuto nella zona: Verghereto (FC)
Uno sciame sismico è in corso da ieri sera tra Romagna e Toscana.
Alle 5.30 del mattino sono state registrate sei scosse di terremoto, a partire dalle 22:38. Di queste, la più rilevante è stata alle 3:36 ed ha avuto magnitudo 2.5.
L’epicentro degli eventi sismici è tra il comune romagnolo di Verghereto (Forlì-Cesena) e quello toscano di Chiusi della Verna.
Partita da Atene giovedì mattina, la lanterna che custodisce il fuoco dei Giochi è atterrata all’Aeroporto di Roma Fiumicino accompagnata da Giovanni Malagò e dalla campionessa Olimpica Jasmine Paolini. È stata poi consegnata nelle mani del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.
È atterrato giovedì 4 dicembre alle 17.00 all’Aeroporto “Leonardo da Vinci” di Roma Fiumicino il volo ITA Airways proveniente da Atene che ha portato la Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026 in Italia.
Custodito nella lanterna, il fuoco che accenderà i Giochi di Milano Cortina 2026 è arrivato dalla Grecia accompagnato da Giovanni Malagò, Presidente della Fondazione Milano Cortina 2026, e dalla Campionessa Olimpica Jasmine Paolini
Dalla Grecia all’Italia – Dopo la Cerimonia di Accensione che si è svolta a Olimpia lo scorso 26 novembre, come da tradizione la Fiamma ha attraversato la Grecia passando nelle mani del canottiere greco Petros Gaidatzis, medaglia di bronzo ai Giochi di Parigi 2024, degli olimpionici azzurri Stefania Belmondo e Armin Zoeggler e di oltre 450 tedofori in un percorso lungo 2.200 km fino ad arrivare alla capitale greca.
Giovedì mattina, allo Stadio Panathinaiko di Atene, si è svolta la Cerimonia di Consegna della Fiamma al Comitato Organizzatore dei Giochi Olimpici Invernali di Milano Cortina 2026 con due tedofori d’eccezione: Filippo Ganna, campione Olimpico di ciclismo, e Jasmine Paolini, oro a Parigi 2024 e icona del tennis internazionale.Jasmine Paolini ha avuto l’opportunità di portare la torcia Olimpica ad Atene grazie a Milano Cortina 2026 e a Coca-Cola, Presenting Partner del Viaggio della Fiamma Olimpica di Milano Cortina 2026.
La Cerimonia di Consegna ha avuto poi come protagonisti il Presidente del Comitato Olimpico Ellenico, Isidoros Kouvelos, e Giovanni Malagò, Presidente della Fondazione Milano Cortina 2026. A questo momento dal forte valore simbolico erano presenti anche il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, il Sindaco di Cortina d’Ampezzo Gianluca Lorenzi, il CEO della Fondazione Milano Cortina 2026 Andrea Varnier e una delegazione del Comitato Organizzatore.
La Cerimonia ha segnato il passaggio di testimone ufficiale all’Italia. Sono stati poi il Presidente della Fondazione Giovanni Malagò, insieme a Jasmine Paolini, scelta come Ambassador di Milano Cortina 2026 per riportare la Fiamma in Italia, a scendere dall’aereo all’aeroporto di Roma Fiumicino con in mano la lanterna che custodiva il fuoco che darà vita ai Giochi.
L’arrivo al Quirinale: il passaggio nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Dopo l’arrivo a Fiumicino, la Fiamma Olimpica ha raggiunto il Palazzo del Quirinale. Nella Sala Vetrata, alla presenza del Presidente della Fondazione Milano Cortina 2026 Giovanni Malagò, del Presidente del CONI Luciano Buonfiglio e del Segretario Generale del CONI Carlo Mornati, Jasmine Paolini ha consegnato ufficialmente la lanterna contenente la Fiamma Olimpica nelle mani del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella,in un momento di grande significato istituzionale ed emotivo.
La consegna della Fiamma Olimpica al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, segna l’avvio del programma di cerimonie che ci avvicinano al momento ufficiale della partenza del Viaggio della Fiamma del 6 dicembre.
La partenza del Viaggio della Fiamma – Venerdì 5 dicembre si terrà la Cerimonia di Accensione del Braciere del Viaggio della Fiamma Olimpica nel Piazzale del Quirinale. Sabato 6 dicembre, allo Stadio dei Marmi “Pietro Mennea” di Roma, si svolgerà invece la Cerimonia Inaugurale che darà il via ufficiale al Viaggio della Fiamma Olimpica in Italia.
La partenza del Viaggio della Fiamma segnerà l’inizio di un percorso lungo 12.000 km che in 60 giorni illuminerà oltre 300 Comuni, toccando tutte le 110 province italiane e portando in tutto il Paese i valori Olimpici di amicizia, rispetto ed eccellenza, con l’obiettivo di accendere l’entusiasmo in attesa della Cerimonia d’Apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Milano Cortina del 6 febbraio 2026.
Il Presidente Giovanni Malagò ha commentato l’arrivo della Fiamma Olimpica dicendo: “L’arrivo della Fiamma Olimpica in Italia e la consegna al Presidente Sergio Mattarella al Palazzo del Quirinale rappresentano momenti di grande emozione nel percorso verso Milano Cortina 2026. Nei prossimi giorni questo fuoco attraverserà il nostro Paese da nord a sud, raggiungerà città, comunità e territori diversi, ricordandoci la bellezza delle differenze che rendono l’Italia un Paese unico al mondo. Illuminerà molti siti del nostro Patrimonio UNESCO, diventando un simbolo di entusiasmo, armonia e partecipazione collettiva. Nel viaggio che accompagnerà l’Italia verso la Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici di Milano Cortina, la Fiamma Olimpica passerà nelle mani di oltre 10.000 tedofori provenienti da ogni regione, ricordandoci la capacità unica che ha lo sport di unire, ispirare e costruire futuro”.
Cerimonia di consegna della Fiamma olimpica in occasione dei Giochi Olimpici Milano-Cortina 2026
Cerimonia di consegna della Fiamma olimpica in occasione dei Giochi Invernali di Milano – Cortina 2026
Palazzo del Quirinale, 04/12/2025 (II mandato)Il Presidente Sergio Mattarella riceve da Jasmine Paolini, Campionessa olimpica di tennis e addetta alla Lanterna e Giovanni Malagò, Presidente del Comitato Organizzatore Milano Cortina 2026 la Fiamma olimpica in occasione dei Giochi Olimpici Milano-Cortina 2026 – Scarica la foto
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha accolto oggi al Quirinale la Lanterna che custodisce la Fiamma Olimpica dei Giochi Invernali di Milano-Cortina 2026. Il Capo dello Stato ha posizionato la Fiamma all’interno del Palazzo del Quirinale, dove rimarrà accesa per tutta la notte. Erano presenti alla cerimonia l’addetta alla Lanterna Jasmine Paolini, il Presidente del Comitato Organizzatore Milano-Cortina 2026, Giovanni Malagò, il Presidente e il Segretario Generale del CONI, Luciano Buonfiglio e Carlo Mornati, l’Amministratore delegato di Milano Cortina, Andrea Venier, i Sindaci di Milano e Cortina, Giuseppe Sala e Gianluca Lorenzi. Domani, 5 dicembre, alle ore 11.00 sulla Piazza del Quirinale, si svolgerà la cerimonia ufficiale di inaugurazione del viaggio della Fiamma.
Palazzo del Quirinale, 04/12/2025 (II mandato)
La fiamma olimpica arriva a Lecco: chi sono i tedofori che porteranno la torcia di Milano Cortina 2026
Tre volti noti accenderanno la passione olimpica nella tappa del 1° febbraio in piazza Garibaldi
Il conto alla rovescia per le Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026 entra nel vivo. La fiamma olimpica, dopo essere stata accesa nell’antica Olimpia e aver attraversato la Grecia, è arrivata in Italia lo scorso 4 dicembre allo stadio Panatenaico di Atene. Da Roma, dove il viaggio nazionale partirà il 6 dicembre dallo stadio dei Marmi, la torcia percorrerà tutte le 20 regioni italiane in un’epopea di 63 giorni e 12.000 chilometri che culminerà con la cerimonia d’apertura dei Giochi il 6 febbraio a San Siro.
La tappa lecchese è fissata per domenica 1° febbraio 2026, quando la fiamma attraverserà il territorio lariano per giungere nel pomeriggio in piazza Garibaldi, dove verrà acceso il braciere durante la celebrazione ufficiale. Prima di arrivare a Lecco, la torcia toccherà Berbenno, Ronco, Ardenno, Morbegno e Colico, per poi scendere lungo la sponda orientale del lago attraversando Mandello del Lario, Abbadia Lariana e Varenna, proseguendo verso Menaggio e Bellagio.
I volti dei tedofori lecchesi – Tra i 10.001 ambasciatori che porteranno la fiamma olimpica attraverso l’Italia, quattro saranno protagonisti della tappa lecchese. Si tratta di persone che rappresentano diverse eccellenze del territorio: sport, cultura e intrattenimento.
Nausicaa Dell’Orto è capitana della nazionale italiana di flag football, disciplina per la quale si è impegnata attivamente affinché venisse inserita nel programma olimpico di Los Angeles 2028. L’allenamento e il talento l’hanno portata a vincere numerosi campionati nazionali e internazionali, sia negli Stati Uniti che in Italia. Oltre ai successi sul campo, Dell’Orto è nota come volto pubblico dello sport grazie alla partecipazione a eventi e alla collaborazione con emittenti sportive.
Ematoshi, nome d’arte di Emanuele Mauri, è il celebre telecronista, imitatore e host diventato una vera e propria star dei social media. Con le sue telecronache ironiche e le imitazioni che spaziano dal mondo dello sport a quello dello spettacolo, Ematoshi ha conquistato milioni di follower.
Piero Poli completa il trio dei tedofori lecchesi. Ex canottiere e medico italiano, Poli ha conquistato la medaglia d’oro nel quattro di coppia ai Giochi olimpici di Seul 1988, scrivendo una pagina indimenticabile nella storia dello sport lecchese e nazionale. Oggi è primario di Traumatologia e Ortopedia dell’Ospedale Manzoni di Lecco, dove continua a mettere la sua esperienza al servizio della comunità, unendo la carriera medica al prestigioso passato olimpico.
Un viaggio che unisce l’Italia – La staffetta della torcia olimpica vede protagonisti atleti di discipline olimpiche e paralimpiche, campioni di Giochi sia estivi che invernali, ma anche volti noti dello spettacolo e storie di ispirazione quotidiana. Ogni tedoforo porterà con sé i valori di passione, talento, energia e rispetto, simboleggiando la promessa di un futuro più inclusivo.
Il convoglio che accompagna il viaggio della fiamma in Italia è lungo quasi 200 metri e si muove a una velocità di circa quattro chilometri orari.Ogni giornata inizia alle 7.30 e termina intorno alle 19.30 con l’accensione del braciere nella città di tappa.Oltre 450 tedofori hanno già portato il fuoco sacro attraverso la Grecia, percorrendo 2.200 chilometri dall’Antica Olimpia fino ad Atene.
Olimpiadi 2026: tutti i tedofori
ROMA 6 dicembre – Achille Lauro, Matteo Berrettini, Andrea Bargnani, Massimiliano Biaggi;
VITERBO 7 dicembre – Martin Castrogiovanni, Giancarlo Peris, Martina Centofanti;
LIVIGNO 30 gennaio – Giorgio Rocca, Elisa Nakab, Federica Sosio, Daniel Pedranzini;
SONDRIO 31 gennaio – Simone Bertini, Claudio Pedrazzini;
LECCO 1 febbraio – Nausicaa Dell’Orto, Ematoshi, Piero Poli;
BERGAMO 2 febbraio – Martina Caironi, Giorgio Pasotti, Paola Magoni;
COMO 3 febbraio – Javier Zanetti, Alisha Lehmann, Riccardo Moraschini, Cesc Fàbregas;
MONZA 4 febbraio – Paolo Nespoli, Filippo Tortu, Arianna Errigo, Diana Bianchedi;
MILANO 5 febbraio – Flavia Pennetta, Francesca Schiavone, Luca Parmitano, Gianluca Torre.
Il programma in Lombardia – In Lombardiala fiamma olimpica toccherà 78 comuni e cinque siti Unesco, attraversando la regione in due fasi: dal 14 al 19 gennaio e dal 30 gennaio al 6 febbraio. Dopo la tappa lecchese del 1° febbraio, il 2 febbraio i tedofori ripartiranno verso Bergamo, con passaggi a Villa d’Almè, Ponteranica, Alzano Lombardo, Nembro e Seriate.
Il 3 febbraio la fiamma percorrerà i centri tra Adda e Brianza: Dalmine, Crespi d’Adda, Capriate San Gervasio, Trezzo sull’Adda, Paderno d’Adda, Robbiate, Merate, Vimercate, Arcore e Lesmo, per poi raggiungere Como. Il 4 febbraio la staffetta arriverà a Monza dopo aver attraversato numerosi comuni del varesotto e della Brianza.
Olimpiadi 2026: tutto il percorso della Fiamma Olimpica: Di seguito tutte le tappe del viaggio:
06 dic Roma 07 dic Viterbo 08 dic Terni 09 dic Perugia 10 dic Siena 11 dic Firenze 12 dic Livorno 13 dic Nuoro 14 dic Cagliari 15 dic Palermo 16 dic Agrigento 17 dic Siracusa 18 dic Catania 19 dic Reggio Calabria 20 dic Catanzaro 21 dic Salerno 22 dic Pompei 23 dic Napoli 24 dic Latina 27 dic Benevento 28 dic Potenza 29 dic Taranto 30 dic Lecce 31 dic Bari 01 gen Campobasso 02 gen Pescara 03 gen L’Aquila 04 gen Ancona 05 gen Rimini 06 gen Forlì 07 gen Ferrara 08 gen Parma 09 gen Genova 10 gen Aosta 11 gen Ivrea 12 gen Novara 13 gen Varese 14 gen Pavia 15 gen Piacenza 16 gen Brescia 18 gen Verona 19 gen Mantova 20 gen Vicenza 21 gen Padova 22 gen Venezia 23 gen Trieste 24 gen Udine 25 gen Belluno 26 gen Cortina d’Ampezzo 28 gen Bolzano 29 gen Cavalese 30 gen Trento 31 gen Livigno 01 feb Sondrio 01 feb Lecco 02 feb Bergamo 03 feb Como 04 feb Monza 05 feb Milano 06 feb Milano (conclusione del viaggio)
Natale amaro per le tute blu della Brianza. Il quadro a tinte fosche dell’industria: mille posti a rischio, calo degli ordini, cassa e delocalizzazioni
Haier ha chiuso la produzione di lavatrici Candy, l’area di Brugherio ospiterà un polo logistico. In crisi marchi storici come Peg Perego ad Arcore, e ci sono incognite sul colosso dei microchip di Agrate
Haier ha chiuso la produzione di lavatrici Candy, l’area di Brugherio ospiterà un polo logistico. In crisi marchi storici come Peg Perego ad Arcore, incognite sul colosso dei microchip di Agrate.
Monza, 5 dicembre 2025 – Natale nero per i metalmeccanici in Brianza, mille posti in stand-by su 40mila occupati fra cassa integrazione e calo degli ordini. La mappa della crisi che investe le tute blu va dal Vimercatese a Monza, al Desiano. “Una fragilità senza precedenti“, per Pietro Occhiuto, segretario della Fiom, che non risparmia nessun settore: microelettronica, elettrodomestico, prodotti per l’infanzia, automotive, manifattura e siderurgia.
Il caso Vimercatese – “La fine dell’anno è segnata da un numero crescente di crisi con ricadute pesanti su occupazione, investimenti e prospettive di sviluppo“, denuncia. “La delocalizzazione verso il Sud-Est asiatico porta con sé 9 esuberi su 25 a livello nazionale alla Vimercatesedei semiconduttori Micron – spiega Occhiuto –. Una scelta a dispetto di risultati finanziari molto positivi che conferma una strategia che indebolisce il sito in provincia e mette a rischio competenze di alto profilo“.
La mobilitazione la scorsa estate dei dipendenti della Peg Perego
Il caso Peg Perego – Mentre il calo degli ordini guasta le feste agli operai della Cbi, della Rosler, del Gruppo Confalonieri, di Cpm, Gdf e Imv Presse: “Aziende di comparti diversi, dall’auto all’arredamento, accomunate dal ricorso alla cassa integrazione con importante riduzione di reddito e ripercussioni sulla stabilità dell’occupazione“. E poi ci sono due gioielli, Peg Perego ad Arcore “alle prese con la fine degli ammortizzatori e la gestione degli esuberi“, ed Edim, la fonderia della Bosch a Villasanta, che cerca un acquirente ma non lo trova. “Il futuro dello stabilimento è molto incerto, chiediamo garanzie su investimenti e posti di lavoro“.
Il caso Staubli – “Un caso a parte è la caratese Staubli, che ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per delocalizzazione, colpendo un polo avanzato dal punto di vista tecnologico e con personale altamente specializzato“. Aria pesante anche alla Hydro di Ornago: “La chiusura della fonderia e la cassa aggravano le difficoltà di un settore già segnato da costi energetici elevati, volatilità delle materie prime e concorrenza internazionale – sottolinea il segretario della Fiom –. La perdita di capacità produttiva rischia di indebolire l’intera filiera locale dell’alluminio“.
Nuvole di crisi incombono anche sulla Hydro di Ornago
Nodi romani – Problemi anche alla Verniciatura Arcore, “a causa del drastico calo di commesse l’azienda, fornitore della filiera moto, ha fatto ricorso alla cassa. Il comparto motociclistico, altamente sensibile alle oscillazioni del mercato, trasmette in tempo reale i propri rallentamenti all’indotto“. Per Occhiuto “il quadro a tinte fosche si intreccia con due elementi centrali del contesto nazionale: il rinnovo del contratto con un aumento di 205,32 euro e lo sciopero generale del 12 dicembre contro una legge di bilancio ingiusta e sbagliata“.
Pessimismo – “In un territorio ricco di competenze e innovazione aumentano delocalizzazioni, esuberi e ricorso agli ammortizzatori sociali – tira le somme Occhiuto–. La firma del contratto dimostra che con la mobilitazione si possono ottenere risultati importanti. Ora, serve lo stesso impegno per garantire futuro all’occupazione e all’industria della nostra provincia. Il 12 dicembre saremo in piazza, a Monza, per chiedere politiche capaci di proteggere chi lavora e a sostegno dello sviluppo“
Considerata la più grande cestista italiana, nel 1975 fu votata dalla Fiba come miglior giocatrice del mondo
Liliana Mabèl Gracielita Bocchi (Parma, 26 maggio 1953 – San Nicola Arcella, 4 dicembre 2025) è stata una cestista e giornalista italiana.
Questa mattina è morta nella sua casa di San Nicola Arcella, in Calabria, Mabèl Bocchi, una delle più grandi atlete italiane di ogni tempo. Aveva 72 anni ed è stata stroncata in pochi mesi da una malattia crudele.
Una, due, tre, quattro vite. Mabèl Bocchi, leggenda della pallacanestro femminile, ha fatto la storia dello sport e poi è passata oltre. È morta oggi, a 72 anni, a San Nicola Arcella, in Calabria, dove stava trascorrendo il buon ritiro: guardando il mare, fumando uno dei suoi sigari, circondata dai suoi amati animali. Una grave malattia l’aveva colpita pochi mesi fa e ha avuto un epilogo purtroppo rapido.Mabèl è stata una delle giocatrici più forti di tutti i tempi: se dite la più forte, nessuno vi guarderà strano. Di atlete così se n’erano viste poche, anzi nessuna, in Italia. Ci ha lanciato nel futuro: era una lunga che ancora non esisteva. Alta, dinamica, fisicamente inarrestabile, saltava talmente tanto che l’atletica provò a strapparla al basket. Ha dominato gli anni ’70 in Italia e in Europa. Dici Bocchi, dici Geas. È stata la protagonista di uno dei cicli più vincenti del basket: dal 1970 al 1978 le rossonere vinsero otto scudetti e la prima storica Coppa dei Campioni dell’intero sport femminile italiano. “Io c’ero”. Ancora oggi, a Sesto, se parlate del Geas, vi diranno: “Certo, Bocchi e compagne. C’ero anche io a Nizza nel 1978”. 30 maggio 1978: quella finale che ha segnato la storia di una città e dello sport. Nata a Parma e cresciuta ad Avellino, la mamma Carmensita era argentina: da qui il nome Mabèl (rigorosamente con l’accento sulla e). Poi Milano: fu portata a Sesto a 18 anni da Maumary, l’imprenditore artefice di quella squadra.Chiuse la carriera a Torino, ormai tormentata dagli infortuni: sul parquet aveva lasciato tutto.
Di carattere – Grintosa e irriducibile, in campo e fuori, ha sempre difeso le sue idee con ardore e orgoglio. Non ha mai sopportato le ingiustizie.Da sindacalista-giocatrice lottò per i pari diritti nello sport femminile che in quegli anni abbandonava la sua dimensione pionieristica e cominciava a imporsi. La diaria uguale tra uomini e donne, il medico anche per la squadra femminile. Se oggi ci sembra scandaloso il contrario, è anche merito suo, che si prese pure una squalifica. In Nazionale ha giocato 113 partite, segnando oltre mille punti. Dopo quei faticosissimi raduni a Cortina, correndo in montagna, su e giù, lei e la sua amica di sempre, il playmaker Rosi Bozzolo, ogni tanto di nascosto, si concedevano l’autostop per tornare in albergo. In azzurro vinse il bronzo europeo del 1974 e ai Mondiali di Cali, nel 1975, in Colombia — dove di fatto è l’mvp — arrivò la consacrazione.
Pioniera – Gli schemi non li ha rotti solo nel paradigma sportivo. Si era laureata all’Isef a 21 anni (quella che ora è la facoltà di Scienze Motorie), diventando subito dopo una giovanissima docente universitaria. Dopo la pallacanestro, la sua nuova vita è cominciata ancora da protagonista: presentò la Domenica Sportiva, divenne un volto popolare in tv. Per tanti anni è stata preziosa collaboratrice della Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera. È stata consigliera comunale e membro della Giunta di Sesto San Giovanni, pittrice, artista materica, e il suo amore per gli animali era sconfinato. Le sue mille acconciature parlavano di lei: le piaceva cambiare, i suoi capelli seguivano il suo umore. E gli amori, come lei, sempre liberi: “Sono sempre stata un’avventuriera, ribelle, la vita borghese non mi piace”, raccontava alla Gazzetta dello Sport. Si è fidanzata anche con un guerriero masai: un’esperienza, ma che le fece scoprire l’Africa. Verrebbe voglia di prendere il sigaro e ascoltarle tutte queste storie, che raccontava ridendo di gusto. Qualche anno fa si era ritirata in Calabria dove vive la sorella Ambra, che lascia insieme al fratello Norberto e ai nipoti. Non si perdeva un match di Sinner: il tennis l’aveva conquistata. Così come la pace del suo giardino e quella vista, dalla casa sulla collina: l’azzurro del mar Tirreno la sagoma dell’Isola di Dino. Riposa in pace, cara Mabèl.
La polizia spagnola ha smantellato una rete dedita al traffico di esseri umani che sfruttava i braccianti nelle aziende agricole del Paese. Per la maggior parte nepalesi, vivevano in alloggi fatiscenti
Diritti d’autore Policía Nacional
Più di 300 lavoratori stranieri portati inSpagnacon false promesse sono finiti al centro di un’indagine che ha portato la polizia spagnola a smantellare una rete dedita al traffico illegale di esseri umani, composta per lo più da immigrati provenienti dal Nepal.
L’organizzazione faceva entrare i lavoratori nel Paese e li inviava clandestinamente alle aziende agricole della Spagna centrale e orientale.
Nel corso dell’operazione, gli agenti hanno arrestato 11 sospetti e stanno indagando su altri due. Tra le vittime sono stati identificati 322 migranti, quasi tutti nepalesi. Di questi, 294 non avevano i documenti per risiedere o lavorare legalmente in Spagna.
Secondo le autorità, molti sono entrati nel territorio europeo con visti turistici, talvolta rilasciati da altri Stati dell’area Schengen, che comprende la maggior parte dei Paesi dell’Unione europea insieme a Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
Una volta in Spagna, i braccianti sono stati reclutati e trasferiti in diverse aree, dove sono stati privati dei diritti di base. Un video diffuso dalla Polizia nazionale su X mostra decine di persone stipate su materassi in una stanza oscura e fatiscente.
🚩Desarticulada una organización criminal internacional que introducía #migrantes de manera irregular y empleaba laboralmente
👮♂️La organización criminal introducía de manera irregular en #España 🇪🇸 a ciudadanos de diferentes nacionalidades y los empleaba en diferentes fincas… pic.twitter.com/h7vy3joqtJ
L’organizzazione criminale aveva allestito per loro una sistemazione precaria ad Albacete, nel sud-est della Spagna: stanze non ventilate, servizi insufficienti e un ambiente che le autorità hanno definito “indegno e disumano“.
Da lì, i lavoratori venivano trasportati ogni giorno in furgoni, alcuni dei quali privi delle minime condizioni di sicurezza, verso le aziende agricole in cui lavoravano. Durante uno dei viaggi, un cittadino nepalese è morto in un incidente stradale.
Gli investigatori sostengono che molti sono rimasti per mesi senza retribuzione e sono sopravvissuti con razioni di cibo molto semplici. La Banca Mondiale stima che oltre il 20 per cento della popolazione delNepal, un Paese di circa 30 milioni di persone, viva in condizioni di povertà.
Entrato all’85’ ieri a Napoli in Coppa Italia, si era fermato proprio negli ultimissimi istanti del match. Nonostante il problema, aveva battuto un rigore
Mattia Felici – (Foto credit: Cagliari Calcio)
Bruttissime notizie per il Cagliari e per Mattia Felici. Purtroppo gli esami a cui si è sottoposto oggi il fantasista (uscito dolorante dopo la gara di Coppa Italia persa ai rigori con il Napoli 10-9 dopo l’1-1 ai tempi regolamentari) hanno evidenziato la rottura del legamento crociato del ginocchio interessato
L’operazione sarà effettuata nelle prossime ore, con tempi di recupero stimati in almeno almeno 6 mesi. Tuttavia domani sono previsti ulteriori accertamenti prima dell’intervento.
La sua gara ieri – Entrato all’85’ per Deiola, si era fermato proprio negli ultimissimi istanti del match. Nonostante il problema, era riuscito a presentarsi dal dischetto e calciare il suo rigore sulla traversa.
Due gol a segno in campionato : L’esterno in questa stagione in Serie A aveva segnato due reti, le stesse di Belotti.
Nelle ultime ore del mercato estivo stava per andare al Venezia : Il fantasista era stato a un passo dal trasferimento ai lagunari, con qualche rumor (non confermato) che lo dava ancora in orbita arancioneroverde per il mercato di gennaio.
Davanti alla Prefettura blindata i lavoratori hanno strappato le grate della polizia. Alla partenza anche la sindaca Salis, in stazione il presidente Bucci. La Fiom: “Sospendete per solidarietà i consigli di Comune e Regione”. Traffico in tilt in città
È il giorno dello sciopero generale dei metalmeccanici, la mossa tentata dai sindacati (quasi) uniti per alzare il tiro della protesta e chiedere la retromarcia al governo sul piano di ridimensionamento dell’ex Ilva.
Mentre a Taranto questa mattina sonostati tolti i blocchi e lo sciopero è sospeso, a Genova, al quarto giorno di stato di agitazione, i lavoratori dello stabilimento di Cornigliano sono in corteo e sono arrivati in centro città, portando gli striscioni e quattro mezzi di fabbrica, la Prefettura è stata blindata dai mezzi della polizia fin dalle otto del mattino. In manifestazione secondo la Digos sono 4mila lavoratori, secondo i sindacati oltre 5mila. Arrivati davanti alla Prefettura si sono trovati la strada sbarrati dalle grate issate dalla polizia e hanno iniziato a sbattere gli elmetti gialli antinfortunistici contro le barriere. Poi hanno agganciato cavi alle grate e con i mezzi le hanno tirate via, mentre dalla polizia volavano lacrimogeni. “Ci dovete arrestare tutti“: così Armando Palombo (Fiom) con un megafono alle forze di polizia che stanno impedendo ai metalmeccanici l’accesso alla piazza della Prefettura. “Noi vogliamo solo lavorare“, ha detto mentre è partito il coro “lavoro, lavoro” e insulti all’indirizzo del ministro Urso .
Genova, l’assalto degli operai dell’Ilva alle barriere della polizia
Un operaio Fiom è stato ferito alla testa durante il teso confronto in atto tra manifestanti e polizia davanti alla prefettura di Genova. L’operaio ha una ferita alla testa, probabilmente è stato colpito dal lancio di un fumogeno. “Esacerbare gli animi in un momento così critico per il lavoro e nei confronti di operai che chiedono di mantenere il loro posto di lavoro è un atto gravissimo._ attacca in una nota la Cgil _ E’ necessario capire quale è stato il cortocircuito istituzionale che ha provocato questa deriva reazionaria che a Genova si è vissuta solo ai tempi del G8 quando la città era stata esautorata dalla gestione dell’ordine pubblico“.
Una volta calmatasi la situazione gli operai sono rimasti schierati davanti al cordone della polizia. Poi il corteo si è mosso per andare ad occupare i binari alla stazione di Brignole.Tutto si è fermato perchè nel frattempo è arrivata la sindaca Salis che ha incontrato i sindacalisti Fiom per aggiornarli sulle comunicazioni con il ministero.
Poi i manifestanti sono partiti alla volta di Brignole raggiunta alle 13 quando è iniziata l’occupazione. Gli operai della Fiom sono stati attenti a non occupare i binari ma sono rimasti sulle banchine dove sono poi stati raggiunti dal presidente della Regione Marco Bucci che ha parlato al megafono per illustrare i tentativi che vengono fatti in queste ore per garantire la continuazione della produzione. I lavoratori hanno occupato il piazzale davanti alla stazione che è uno snodo vitale per il traffico cittadino. Alle 14 il corteo si è rimesso in marcia verso Cornigliano.
Protesta operai Ilva, l’occupazione della stazione di Brignole
“Genova lotta per l’industria“, si legge sullo striscione in testa al fiume di tute blu, portati in piazza da Fiom, Fim e Usb. Con loro, a centinaia, gli operai di tutte le altre fabbriche del ponente genovese, da Fincantieri a Ansaldo, ma anche la sindaca Silvia Salis e Michele De Palma, segretario generale Fiom. «Così come stiamo, al momento non c’è lavoro. Equindi scioperiamo e manifestiamo».
Per la stessa Salis «essere qui è doveroso e indispensabile, ci sono sempre stata e ci sarò sempre, non è una novità e non cambierà. nel tempo. Domani andiamo a Roma a chiedere non solo le 45.000 tonnellate che ci hanno promesso per arrivare fino a fine febbraio, ma soprattutto chiederemo che questa vertenza passi a un tavolo superiore».
«Perché non abbiamo avuto le risposte di cui avevamo bisogno, c’è bisogno di risposte, soprattutto sul futuro. Lo Stato deve entrare in questa gara affinché, se dovesse andare deserta, ci sia una continuità produttiva che permetta di far rimanere attrattivi questi stabilimenti e che non diventi poi una guerra tra poli del Nord e di Taranto».
Anche perché, dice ?la sindaca, «le risposte date ieri da Urso non sono state quelle che ci aspettavamo. Non sono risposte definitive, sono risposte momentanee e noi invece abbiamo bisogno di sapere cosa succede in caso la gara andasse deserta da parte dei privati».
Il segretario della Fiom De Palma chiede intanto “alla presidente del Consiglio di convocarci al tavolo, di fermare il piano di chiusura di fatto degli impianti ex Ilva e fare la società pubblica, che noi chiediamo da tempo, per poter realizzare il piano che il governo stesso aveva preventivato per gli impianti italiani dell’ex Ilva“.
Per quanto riguarda il traffico, già interrotta la viabilità in buona parte del percorso previsto per il corteo, che da Cornigliano passerà poi per piazza Montano, via Cantore, via Buozzi, via Gramsci, la Nunziata e quindi Portello e Corvetto. La pollizia sta chiudendo le strade al passaggio del corteo, che all’arrivo in zona Matitone è stato accolto dalle fiaccole dei lavoratori del Calp in segno di solidarietà.
Il saluto dei lavoratori del Calp (foto Leoni)
“Non ci faremo derubare della nostra industria a Genova e della siderurgia in Italia da un governo vile e incapace di trovare vere soluzioni che scongiurino la chiusura dello stabilimento di Cornigliano”, si spiega dal fronte sindacale, dal quale si è sfilata ieri Uilm.
Se del resto ancora ieri alla Camera il ministro Adolfo Urso ha smentito l’esistenza “di alcun piano di chiusura di Cornigliano, è esattamente il contrario” – la risposta data alle interrogazioni parlamentari presentate dai deputati liguri Luca Pastorino (Pd), Ilaria Cavo (Noi Moderati) e Valentina Ghio(Pd) – la sostanziale incertezza sul futuro sospeso dell’intero gruppo rimane.
E dice che, almeno su Genova, i punti interrogativi ci sono sia sul nodo delle 200mila tonnellate di zincato che permetterebbero di dare ossigeno allo stabilimento almeno fino a marzo, che ad oggi nessuno riesce a garantire. Sia sui 15 milioni necessari per riavviare il lavoro da subito, sospesi per il rischio di contestazioni in Europa sugli aiuti di Stato.
Sia sul destino della linea di zincatura, legato alla ripartenza del secondo altoforno di Taranto. Il tutto, a prescindere dall’arrivo di un futuro, tutto eventuale investitore privato capace di puntare su Genova.
Il corteo (foto Leoni)
“Non si comprende cosa aspetti il ministro Urso ad andare a casa – attacca la senatrice di Italia VivaRaffaella Paita – La vicenda dell’ex ilva è ormai chiaramente sfuggita da mano al governo e sta diventando una questione sociale gravissima. Non si può pensare di rimediare a tre anni di inerzia assoluta con vuote promesse o soluzioni miracolistiche che non esistono“.
“Sono stati tre giorni intensi dove abbiamo messo in campo nuove iniziative di mobilitazione perché non siamo usciti soddisfatti dall’incontro di Roma“. Il governo “non ferma l’idea del ciclo corto e questo è pericoloso per tutto il gruppo” e c’è “il rischio concreto per lo stabilimento di Cornigliano che, se dovesse fermarsi chiuderebbe per sempre“.
Queste le parole di Christian Venzano,segretario generale Fim Cisl Liguria. “Dopo aver ottenuto la continuità produttiva della banda stagnata dall’incontro al MIMIT, con la mobilità di questi tre giorni non siamo riusciti ad ottenere la continuità produttiva anche per la banda zincata, per arrivare a marzo . Per salvare definitivamente la siderurgia bisogna tornare al piano condiviso con le organizzazioni sindacali per dare continuità produttiva ai siti del nord e prendersi la responsabilità del rilancio della siderurgia in attesa di investitori industriali e del settore con capacità economiche. Il Governo torni ad essere quello che ha promesso il rilancio della siderurgia ed esca da questa nuova posizione che rischia di portare alla chiusura“.
articolo: Articolo redatto da Alessandro per alessandro54.com, con il supporto di ChatGPT (OpenAI).
Diciotto anni dopo la tragedia della ThyssenKrupp di Torino, il ricordo dei sette operai morti in fabbrica resta vivo ma la lezione è rimasta inascoltata. In Italia si continua a morire di lavoro, tra silenzi, indifferenza e assenza delle istituzioni.
Sette operai morti, sentenze definitive ma un Paese che continua a morire di lavoro
Torino, 7 dicembre 2025 –Diciotto anni dopo il disastro della ThyssenKrupp, il ricordo di quella notte resta una ferita aperta nella storia del lavoro italiano. Era la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 quando, nello stabilimento siderurgico di Torino, un violento incendio si sviluppò lungo una linea di produzione. In pochi istanti, le fiamme e l’olio bollente travolsero gli operai impegnati nel turno di notte.
Sette nomi da non dimenticare : In quel rogo persero la vita sette lavoratori:
Antonio Schiavone 36 anni, deceduto il 06 dicembre
Roberto Scola 32 anni, deceduto il 07 dicembre
Angelo Laurino 43 anni, deceduto il 07 dicembre
Bruno Santino 26 anni, deceduto il07 dicembtre
Rocco Marzo 54 anni, deceduto il 16 dicembre,
Rosario Rodinò 26 annideceduto il 19 dicembre,
Giuseppe Demasi 26 anni deceduto il 30 dicembre
Sette uomini, sette famiglie distrutte, vittime di un sistema che troppo spesso antepone la produzione alla sicurezza.
⚠️Le sentenze e i processi
2011 – Corte d’Assise di Torino (Primo grado): condanne per omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato Harald Espenhahn e altri dirigenti; TKAST responsabile civile.
2013 – Corte d’Assise d’Appello di Torino: rideterminazione delle pene, Espenhahn a 10 anni, gli altri dirigenti a pene tra 7 e 9 anni; conferma responsabilità civile per l’azienda.
2014 – Appello bis: conferma condanne per omicidio colposo e incendio colposo; TKAST sanzionata con 1 milione di euro e misure interdittive.
2016 – Corte Suprema di Cassazione: conferma delle condanne, escluso il dolo eventuale; sentenza di grande rilevanza giuridica sul tema della colpa cosciente.
⚠️Le sentenze
Nome
Ruolo/Posizione
Pena definitiva
Harald Espenhahn
Amministratore delegato (tedesco)
9 anni e 8 mesi
Gerald Priegnitz
Dirigente tedesco
6 anni e 10 mesi.
Marco Pucci
Dirigente italiano
6 anni e 10 mesi
Daniele Moroni
Dirigente italiano
7 anni e 6 mesi
Raffaele Salerno
Direttore (italiano) dello stabilimento di Torino
7 anni e 2 mesi
Cosimo Cafueri
Responsabile (italiano) della sicurezza
6 anni e 8 mesi
🔎 Sintesi
👉 I due dirigenti tedeschi (Espenhahn e Priegnitz) hanno scontato la pena in Germania, con modalità diverse rispetto agli italiani.
👉Gerald Priegnitz – condanna italiana: 6 anni e 10 mesi → scontata in Germania, scarcerato nel 2022 per buona condotta.
👉 Questi quattro dirigenti Italiani hanno iniziato a scontare la pena in Italia, senza riduzioni sostanziali.
Un Paese che continua a morire di lavoro: A 18 anni di distanza, la lezione non è servita. In Italia si continua a morire di lavoro, ogni giorno, tra l’indifferenza generale e l’assenza delle istituzioni. Le statistiche parlano chiaro: le morti bianche restano una costante, un bollettino silenzioso che accompagna la nostra economia e la nostra indifferenza.
La tragedia della ThyssenKrupp avrebbe dovuto rappresentare una svolta, un punto di non ritorno. Invece, è rimasta un simbolo di memoria e impotenza, ricordata solo nelle ricorrenze, dimenticata nella quotidianità.
📅 Anniversario: 7 dicembre 2025 🏭 Luogo:Torino – Stabilimento ThyssenKrupp ⚖️ Sentenza definitiva:Cassazione, 2016 – condanne confermate per i vertici aziendali
Categorie consigliate: Cronaca, Lavoro, Memoria Tag suggeriti: ThyssenKrupp, morti sul lavoro, sicurezza, Torino, anniversari, giustizia
🛠️Commento alessandro54
Si continua a parlare di nuove leggi sulla sicurezza, e proprio in questi giorni ne è stata approvata un’altra. Ma il problema non è creare norme nuove: il problema è far funzionare davvero quelle che già abbiamo. Da anni mancano controlli, personale e investimenti. Prima di aggiungere ulteriori regole, sarebbe stato più utile rafforzare quelle esistenti, che sulla carta sono già più che sufficienti.
La sicurezza non migliora con altra burocrazia – come la patente a punti per i cantieri – ma con ispettori, corsi di formazione, manutenzione degli impianti e responsabilità chiare, con pene certe per chi sbaglia. Ogni riforma che non parte da qui rischia di diventare una perdita di tempo e di risorse, mentre nei luoghi di lavoro si continua a morire come in passato.
E lo dimostrano casi come la tragica morte di Luana D’Orazio, una ragazza di 22 anni. È morta perché i dispositivi di sicurezza del macchinario erano stati manomessi e disattivati per aumentare la produzione. Conseguenze legali: i proprietari dell’azienda sono stati condannati a pene detentive con sospensione della pena per omicidio colposo, mentre il capo manutentore è stato assolto.
Un esito che lascia l’amaro in bocca e ci ricorda, ancora una volta, quanto sia urgente mettere davvero al centro la vita di chi lavora.
Cosa prevedono i cinque articoli presenti nella bozza del testo
Operai al lavoro – Fotogramma
Via libera alla riforma dell’edilizia. A quanto si apprende il Consiglio dei ministri in corso ha infatti approvato la riforma del Codice dell’edilizia e delle costruzioni.
La bozza del testo – Cinque articoli in tutto per la delega che tra i principi prevede la “razionalizzazione, semplificazione e riordino, all’interno di un testo normativo omogeneo, di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di edilizia e di disciplina tecnica delle costruzioni, anche in raccordo con la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche, di resistenza, stabilità, affidabilità e sostenibilità ambientale delle costruzioni”, si legge nella bozza del testo.
L’adeguamento della normativa“in materia urbanistica strettamente afferente alla disciplina edilizia e coordinamento delle modifiche apportate in materia di edilizia e costruzioni con la normativa in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici, sanitaria e fiscale nonché con quella di settore avente comunque incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia“. Il “superamento della frammentazione della normativa in materia di edilizia e costruzioni, assicurando la risoluzione delle duplicazioni, sovrapposizioni, incongruenze e antinomie esistenti e promuovendo la completezza, l’esaustività e l’immediata applicabilità” delle norme, si legge nella bozza.
Sulle semplificazioni in particolare la riforma intende “individuare, in un’ottica di semplificazione e definizione di univoci standard minimi procedimentali, le regole minime inderogabili attinenti ai regimi amministrativi di realizzazione delle diverse categorie di interventi edilizi“, si legge nella bozza.
Il tutto al fine di “definire a livello nazionale una comune classificazione delle tipologie di difformità dal titolo abilitativo edilizio“, ma anche individuare le “difformità edilizie che, in ragione della relativa natura ed entità, nonché dell’epoca di realizzazione dell’abuso ovvero di ottenimento del titolo abilitativo, possono essere sanate, nei limiti di quanto già previsto a legislazione vigente, e il relativo titolo in sanatoria“.
Sul fronte degli abusi storici, la delega ha lo scopo “di semplificare e razionalizzare i procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio o alla formazione dei titoli in sanatoria “definendo i termini perentori per la presentazione delle relative istanze, comunque antecedenti all’irrogazione delle sanzioni amministrative, individuando procedure semplificate per la regolarizzazione degli abusi realizzati prima dell’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967“.
Sul fronte delle sanzioni, si punta a razionalizzare i regimi sanzionatoripropedeutici al rilascio dei relativi titoli in sanatoria, commisurandoli all’entità della trasformazione edilizia o urbanistica, alla gravità della difformità ovvero al valore delle opere realizzate, tenuto conto anche della disciplina dei beni sottoposti a tutela; a razionalizzare il regime sanzionatorio delle difformità edilizieche non consentono il rilascio di titoli in sanatoria, individuando in tali ipotesi procedure di riduzione in pristino degli interventi fondati sulponsabilizzazione del soggetto proprietario o dell’avente titolo, finalizzati a semplificare gli adempimenti e gli oneri a carico dell’ente territorialmente competente.
Fari anche sulle agevolazioni. La delega prevede di riordinare le disposizioni sulla concessione e sull’erogazione di agevolazioni fiscali, contributi e altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici per la realizzazione di interventi su opere che presentano difformità edilizie, al fine di escludere tassativamente il rilascio di agevolazioni, contributi e provvidenze ove necessario.
Commento alessandro54
Riforma edilizia, tra sanatorie e burocrazia: restano più dubbi che certezze
Norme annunciate come semplificazioni, ma che rischiano di aumentare confusione e incertezze per cittadini e Comuni.
Ancora una volta si fa una riforma che sembra aiutare la chiarezza, ma in realtà complica le regole e lascia molti margini di confusione. Prima di parlare di sanatorie sarebbe meglio puntare su controlli seri e sul rispetto pieno delle norme, come si è sempre fatto quando si voleva costruire con ordine e responsabilità.
Non risultano feriti o intossicati. Il rogo è sotto controllo. Danni ingenti alla struttura. Gli accertamenti di Arpa Lombardia: “Non sono state riscontrate criticità di carattere ambientale”
L’impressionante colonna di fumo sopra lo stabilimento di Lomagna
Lomagna (Lecco), 4 dicembre 2025 – È sotto controllo l’incendio divampato questa mattina in uno stabilimento di Lomagna. I vigili del fuoco intervenuti in forze sono riusciti a circoscriverlo e a impedire che si propagasse ulteriormente, raggiungendo magari le altre aziende vicine. Le fiamme però non sono ancora domate. Ci vorranno probabilmente le ore per estinguerle completamente.
Danni ingenti allo stabilimento – Il rogo è divampato intorno all’ora di pranzo, alla RoncaLab, dove si producono pizze e pinse. La zona dove è scoppiato è quella dove era in funzione la linea forno per la cottura. Sono subito scattate le procedure di sicurezza previste. Quanti si trovavano al lavoro sono stati evacuati, come sono stati evacuati quanti si trovavano nella stessa area industriale. “Al momento non è possibile stimare l’entità dei danni, che sarà valutata solo dopo il completo spegnimento del focolaio e l’accesso all’area da parte dei tecnici”, spiegano dalla RoncaLad. Si presume siano però molto ingenti. Il fuoco ha devastato infatti sia la linea produttiva, sia parte del capannone e del tetto del capannone in cui è impiantata l’attività.
Incendio a Lomagna (Lecco)
L’intervento dei vigili del fuoc – Per arginare e risolvere l’emergenzasono stati mobilitati tutti i vigili del fuococon i mezzi disponibili, sia dal comando provinciale di Leccoe daldistaccamento di volontari di Merate, siadal comando provinciale di Monza: autopompe, autobotti serbatoio, due autoscaleper poter aggredire l’incendio dall’alto. In posto pure i sanitari di Areu per il timore di intossicati o ustionati. Nessuno fortunatamente è invece rimasto ferito, contrariamente a quanto temuto all’inizio. Sono intervenuti inoltre i carabinieri e gli agenti della Polizia locale, che hanno cinturato l’area per consentire ai soccorritori di operare senza intralcio. “L’intervento è stato reso complesso dalla presenza di materiale combustibile”, spiegano i vigili del fuoco.
Gli accertamenti di Arpa Lombardia – Presenti pure i tecnici di Arpa Lombardia, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente per il timore di conseguenze per la salute dei residenti della zona, oltre che dell’ambiente. “Per la tipologia della colonna di fumo verticale sprigionata dal rogo, che ha favorito la dispersione in forma gassosa degli inquinanti in atmosfera e per la durata dell’episodio, non si sono rese necessarie misurazioni sulle concentrazioni di inquinanti nell’aria – spiegano da Arpa -. Verificata anche la gestione delle acque di spegnimento: non sono state riscontrate criticità di carattere ambientale”. Paradossalmente quindil’alta colonna di fumo che si è sviluppata per oltre 160 metri di altezza, visibile da decine di chilometri di distanza, ha evitato ricadute nocive.
Un indicatore economico potrebbe chiudere le operazioni a gennaio di tante squadre
Il nostro è un tempo precario, instabile e incerto, avrebbe detto Zygmunt Bauman, il sociologo che teorizzò la liquid society. Non a caso, fino a poco fa andava parecchio di moda l’indice che di questa liquidità portava il nome, un paletto finanziario in grado di misurare la capacità di un club di far fronte ai propri debiti a breve termine. La sua logica tende all’equilibrio finanziario: più ci si avvicina a quota 1 (tanto incasso, tanto devo), più si manifesta una certa salute aziendale. Quando la Figc ha alzato il paletto da 0,5 (ho in cassa 1, spendo 2…) a 0,6, la Lega Serie A, allora guidata dal dimenticabile Casini, portòGravina in tribunale. La federazione ha sempre voluto l’indice ammissivo per stabilire chi potesse o meno iscriversi al campionato, le società indebitate invece hanno contestato a lungo questa visione, fino a scendere a compromessi accettando altri due indicatori, quello di indebitamento e quello legato al costo del lavoro allargato (CLA), pur di smontare la ghigliottina della liquidità. Il lavoro allargato, cioè il rapporto tra costo del lavoro (inclusi ammortamenti e stipendi) e ricavi (diritti tv, sponsor, biglietteria), è il parametro più impattante perché a gennaio è in grado di limitare il mercato ed è stato ispirato alla “squad cost rule” dell’Uefa, che fissa al 70% le spese di stipendi, commissioni e ammortamenti per chi partecipa alle coppe. Nyon ha preso da tempo questa strada: la soglia era al 90% nel 2023-24.
Tante squadre a rischio – Almeno 6 o 7 squadre del campionato potrebbero non essere in regola con il CLA, fissato allo 0,8. La Lazio e il Napoli in primis, per ragioni molto diverse: da una parte la riduzione dei ricavi, dall’altra l’aumento della spesa per i cartellini e gli ammortamenti. Anche alcune medio-piccole sono esposte. Le società hanno consegnato entro il 1° dicembre la documentazione alla nuova commissione voluta dai ministri Abodi e Giorgetti e presieduta da Atelli; la struttura che ha mandato in pensione la Covisoc si occuperà di spulciare i conti e fare la lista dei promossi e dei rimandati. Entro la metà di dicembre il responso: chi ha i parametri fuori misura riceverà il cosiddetto blocco “soft”, cioè quello che permette di fare comunque delle operazioni ma chiudendo la sessione a saldo zero. Nell’ultima misurazione di settembre sarebbero risultate più o meno a rischio, tra le tante, anche Sassuolo, Genoa, Pisa, Torino, Roma e Fiorentina; diverse società – come la Roma, ma non solo lei – dovrebbero essere rientrate grazie all’impegno diretto delle proprietà. Altre rischiano di inciampare. Plusvalenze e aumenti di capitale sono infatti l’antidoto. Gravina lo ha spiegato nell’intervista di ieri al nostro giornale: “Valore della produzione e costo del lavoro devono andare d’accordo. Non vuol dire che non puoi spendere, ma che si può fare mettendo delle risorse“. L’ultima parola toccherà alla commissione. A marzo 2024 il piano economico di Gravina con i tre parametri non ammissivi è stato approvato anche dalla Serie A. Ora i club rischiano di essere vittime della loro scelta. Bisogna infatti rientrare nella soglia dello 0,8: spendendo 100 milioni tra ingaggi e cartellini, ne serviranno 125 di ricavi. Dall’estate, nonostante la contrarietà di molti presidenti, si scenderà a 0,7. Con gli stessi 100 milioni di spesa, i ricavi dovranno salire a 145.
Da giorni ci sono enormi manifestazioni per chiedere le dimissioni del governo e criticare problemi sistemici come la corruzione
Manifestanti durante una protesta a Sofia, il 1° dicembre 2025 (AP/Valentina Petrova)
Da oltre una settimana in Bulgaria ci sono enormi proteste,descritte da vari media come le più grandi e partecipate degli ultimi decenni. Sono iniziate come critica ad alcune norme relative al bilancio dello Stato, che tra le altre cose aumentavano le tasse sul settore privato per finanziare un aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici, considerati dal governo un’importante riserva di voti. Lunedì sera decine di migliaia di personesi sono riunitenella capitale Sofia e in altre città del paese, e mercoledì il parlamento bulgaro ha ritirato le norme contestate. Le proteste però non si sono fermate. La stessa sera decine di migliaia di persone hanno manifestato nuovamente a Sofia, questa volta per chiedere le dimissioni del governo, e nuove proteste sono previste per i prossimi giorni.
Il presidente Rumen Radev ha chiesto al governo di dimettersi, sostenendo che siano necessarie elezioni anticipate. Il governo però si sta rifiutando.
Alle proteste stanno partecipando molti bulgari tra i 20 e i 30 anni. Sono almeno in parte organizzate e sostenute da due partiti di opposizione, Bulgaria Democratica e Continuiamo il Cambiamento, di orientamento liberale e filoeuropeo. Le proteste però hanno attirato anche moltissime persone che non necessariamente aderiscono ai due partiti e che criticano problemi sistemici in Bulgaria, come la corruzione e l’immobilismo della politica.
La protesta del 1° dicembre davanti al parlamento di Sofia (Reuters/Spasiyana Sergieva)
Il governo bulgaro è sostenuto da una coalizione di minoranza con l’appoggio esterno di alcuni partiti. La coalizione è formata dal partito di centrodestra Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria, il Partito Socialista Bulgaro, di orientamento filorusso, e il partito nazionalista C’è un tale popolo, guidato da un potente uomo d’affari e deputato, Delyan Peevski.
Proprio Peevski è uno dei politici più criticati dai manifestanti. Pur non avendo nessun ruolo formale nel governo, è un politico molto influente e una delle persone più potenti del paese: secondo molti bulgari incarna i problemi della classe politica. Da anni è sottoposto a sanzioni dai governi degli Stati Uniti e del Regno Unito per corruzione, anche se non è mai stato condannato.
Una manifestazione a Sofia, il 1° dicembre (AP/Valentina Petrova)
La Bulgaria è uno dei paesi più poveri dell’Unione Europea. Il prossimo 1° gennaio adotterà l’euro nonostante la contrarietà di molti bulgari, secondo cui il cambio di valuta farà aumentare il livello dei prezzi. La legge di bilancio in discussione in queste settimane sarà la prima in euro. Il paese fa i conti anche con una situazione politica instabile e complicata. Il parlamento è frammentato: negli ultimi anni ci sono stati diversi governi, tutti molto fragili e di breve durata. In tre anni ci sono state sette elezioni, le ultime a ottobre del 2024, dopo le quali la formazione di un governo aveva richiesto trattative lunghe e complicate.
L’opposizione ha detto che presenterà una nuova mozione di sfiducia venerdì. Secondo molti osservatori, è probabile che nei prossimi mesi ci saranno nuove elezioni.
Il velivolo è stato visto cadere alle 8.35 in località Le Prese. Impervio il luogo dell’incidente
È precipitato in Valtellina un elicottero con quattro persone a bordo, tra queste una ragazza di 27 anni ma sarebbero state tirate fuori vive dagli operatori del 118.Il velivolo stava sorvolando la località Le Prese nel comune di Lanzada, in provincia di Sondrio quando è scattato l’allarme: alle 8.35 l’elicottero è stato visto cadere.
Subito è scattato l’intervento dei vigili del fuoco ma il luogo dell’incidente è impervio. Sul posto anche i carabinieri di Sondrio, i soccorsi di Areu 118 anche con l’eliambulanza e il soccorso alpino e speleologico. Il velivolo era impegnato nei lavori di ripristino dopo la frana del 12 novembre in Valmalenco poi avrebbe urtato uno sperone di roccia e sarebbe caduto.
E’ stata Areu a confermare che non ci sono persone decedute, ma che gli occupanti del velivolo hanno riportato solo lievi ferite: a bordo tecnici e operai che sorvolavano una zona impervia interessata da interventi di messa in sicurezza dopo una recente frana.
Valtellina, precipita elicottero con quattro persone a bordo: si cercano i passeggeri
Il velivolo è stato visto cadere alle 8.35 in località Le Prese. Impervio il luogo dell’incidente
È precipitato in Valtellina un elicottero con quattro persone a bordo, tra queste un ragazza di 27 anni.Ilvelivolo stava sorvolando la localitàLe Prese nel comune di Lanzada, in provincia di Sondrio quando è scattato l’allarme: alle 8.35 l’elicottero è stato visto cadere.
Subito è scattato l’intervento dei vigili del fuoco ma il luogo dell’incidente è impervio. Sul posto anche i carabinieri di Sondrio, i soccorsi di Areu 118 anche con l’eliambulanza e il soccorso alpino e speleologico. Nessuna notizia, al momento, delle quattro persone a bordo.
Lanzada, cade elicottero in località Le Prese: soccorsi in azione
Incidente aereo questa mattina attorno alle 8,30 a Lanzada, in località Le Prese: un elicottero di Eliossola con a bordo quattro persone è precipitato in una zona impervia, nello stesso punto dove, alcuni giorni fa, si è verificata la frana che ha spazzato via un tratto di strada.
I soccorsi – Massiccia la macchina dei soccorsi che si è messa in moto: i vigili del fuoco del Comando provinciale di Sondrio e i vigili del fuoco volontari di Chiesa in Valmalenco stanno intervenendo con più squadre.
Impegnati nelle operazioni di soccorso anche i tecnici della stazione della Valmalenco del Soccorso Alpino, il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, diverse ambulanze, un’auto medica, i carabinieri della Compagnia di Sondrio e l’elisoccorso di Areu Sondrio. Come detto dovrebbero essere quattro le persone coinvolte nell’incidente, anche se al momento non si conoscono le loro condizioni.
Il versante dove si è verificato l’incidente è lo stesso interessato dalla frana di alcuni giorni fa
Il ricorso contro l’articolo 18 che vieta totalmente le infiorescenze. Le associazioni di categoria: “La canapa industriale è una filiera agricola che crea lavoro, investimenti e innovazione. Merita certezza del diritto, non oscillazioni ideologiche”
Il decreto Sicurezza e il suo divieto di cannabis light andranno davanti alla Consulta. Il gip di Brindisi ha infatti deciso di sollevare una questione di costituzionalità e di rimettere alla Corte costituzionale l’articolo 18 del decreto approvato lo scorso aprile (e convertito in legge a giugno) che vieta interamente le infiorescenze di canapa e i suoi derivati(dall’importazione alla detenzione, dalla lavorazione alla distribuzione, dal commercio al trasporto fino alla vendita al pubblico e al consumo). Il ricorso alla Consulta nasce da un sequestro a Brindisi di cannabis light, con una percentuale di Thc inferiore allo 0,5%, a un imprenditore agricolo che aveva prodotto in Bulgaria, importato la merce in Italia per poi rivenderla all’estero.
“È con grande soddisfazione professionale che accolgo la decisione del gip di Brindisi di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 decreto Sicurezza – spiega l’avvocato Lorenzo Simonetti, che ha seguito il caso -. La canapa industriale deve e può essere prodotta nella sua interezza: la questione di legittimità costituzionale mette un freno al recente divieto penalmente rilevante imposto dal governo italiano. Adesso l’obiettivo è fare in modo che anche altri giudici di merito e di legittimità riconoscano come il divieto penalmente rilevante sia incostituzionale e, quindi, o disapplicano la norma o sollevano la presente questione di legittimità”.
Quello brindisino è solo l’ultimo caso di messa in discussione di uno dei punti più contestati del pacchetto securitario fortemente voluto dal governo Meloni – ma l’ultima parola, per la prima volta in questi mesi, spetterà ai giudici costituzionali – dopo una serie di pronunce, quando in più di un occasione i tribunali hanno spesso disposto scarcerazioni e restituzione della merce sequestrata. Parallelamente, il Consiglio di Stato ha già rinviato alle Sezioni europee le tabelle e il divieto sulle infiorescenze, rimettendo quindi alla Corte di giustizia dell’Unione europea la compatibilità del divieto italiano con le norme europee.
Soddisfatte le associazioni di categoria, in attesa della pronuncia della Consulta: “Il messaggio giurisprudenziale è coerente con numerose decisioni recenti: la coltivazione di canapa industriale resta lecita e l’eventuale intervento penale deve rispettare offensività, proporzionalità e base tecnico-scientifica. In una parola: o la canapa industriale è legale, oppure il divieto generalizzato è incostituzionale o in contrasto con l’ordinamento europeo. Ciò che diciamo da anni, oggi, lo dicono i giudici.. Richiediamo – proseguono – una posizione limpida, non chiediamo ‘zone franche’: chiediamo regole chiare, applicabili e controllabili, fondate su evidenze e rispettose dei principi costituzionali. Chiediamo – aggiungono – una moratoria operativa su sequestri, distruzioni e confische automatiche finché pende il giudizio di costituzionalità; un tavolo tecnico interministeriale con filiera e comunità scientifica per definire parametri, tracciabilità, etichettatura e controlli; linee guida uniche per forze dell’ordine e procure, per evitare prassi disomogenee che paralizzano attività lecite e generano contenziosi inutili. La canapa industriale è una filiera agricola che crea lavoro, investimenti e innovazione: merita certezza del diritto, non oscillazioni ideologiche. Continueremo a fare la nostra parte con rigore tecnico, dialogo istituzionale e responsabilità, perché regolare bene è sempre meglio che vietare male”.
Le case di moda compaiono nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini come committenti che affidano la produzione ad appaltatori e subappaltatori che operano violando le leggi sul lavoro e sulla sicurezza
Da Versace a Gucci, da Prada a Dolce&Gabbana, salgono a 13 i brand della moda di lusso coinvolti a vario titolo nelle inchieste della Procura di Milano sul caporalato lungo le filiere del made in Italy. Dall’alba fino alla sera di mercoledì il pubblico ministero Paolo Storari, con i carabinieri del Nucleoispettorato del lavoro, ha notificato ordini di consegna documenti a Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating. Le case di moda compaiono nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini come committenti che affidano la produzione ad appaltatori e subappaltatori che operano violando le leggi sul lavoro e sulla sicurezza.
In ciascun atto la Procura indica i fornitori critici già individuati nella filiera del singolo brand, il numero di lavoratori trovati in condizioni di sfruttamento e stato di bisogno e gli articoli del marchio sequestrati negli opifici, stoccati e pronti a tornare alla casa madre per essere immessi sul mercato. Agli stessi marchi viene chiesto, per ora su base volontaria, di consegnare i propri modelli organizzativi di prevenzione e gli audit interni o commissionati ad advisor e consulenti, strumenti che sulla carta dovrebbero impedire la commissione dei reati. È una formula “light” che concede tempo alle aziende per eliminare i caporali dalle linee di produzione e ristrutturare la catena di appalti e subappalti, evitando per il momento le pesanti misure di amministrazione giudiziaria.
Questo approccio più morbido arriva dopo le polemiche delle scorse settimane con Tod’seDiego Della Valle, nel mirino di un’inchiesta in cui Tod’s spa è indagata con l’accusa di aver agito nella piena consapevolezza propria e dei propri manager che certificano le linee di produzione degli appaltatori. Davanti al giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro, per la richiesta di interdittiva pubblicitaria, Tod’s e Della Valle si sono detti disponibili a collaborare con l’autorità giudiziaria per la “dignità” di tutti i lavoratori. Ma la linea della Procura potrebbe irrigidirsi con richieste di commissariamento e interdittive qualora i marchi non modificassero l’attuale assetto degli appalti e un’organizzazione del lavoro ritenuta illegale.
La scelta di usare lo strumento delle misure di prevenzione non è nuova: dal marzo 2024 il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufacture Dior, Valentino Bags LabeLoro Piana di Louis Vuitton, società non indagate ma ritenute avere agevolato in modo colposo e inconsapevole lo sfruttamento. Il quadro si è poi aggravato con il caso Tod’s, dove l’accusa ipotizza invece una piena consapevolezza del sistema degli appalti. Che i casi scoperti non fossero isolati era chiaro fin dal primo commissariamento di Alviero Martini, in un’indagine partita da un fornitore cinese di Trezzano sul Naviglio (Milano), la Crocolux, dovenel 2023 un ventiseienne del Bangladesh è morto nel suo primo (presunto) giorno di lavoro, mentre i datori tentavano di regolarizzarlo presso l’Inps dopo l’incidente letale.
Secondo quanto messo a verbale nel 2024 dal direttore del prodotto di Alviero Martini, Crocolux sarebbe stata “appaltatrice anche di numerosi marchi del lusso mondiale”. Nelle tre ultime ispezioni condotte a novembre 2025 dai carabinieri in tre opifici toscani al servizio della produzione anche di Tod’s, dove sono stati rinvenuti fino a sette livelli di sub-appalto, sono state sequestrate borse dei marchi Madbag, Zegna, Saint Laurent, Cuoieria Fiorentina e Prada. Il cuore del sistema resta la compressione estrema di costi e diritti: dagli atti emerge come la merce di pregio venga prodotta a poche decine di euro e rivenduta al dettaglio a diverse migliaia, con ricarichi fino al 10.000%.
Le testimonianze raccolte in un anno e mezzo di indagini mostrano la portata trasversale del fenomeno lungo le filiere globali della moda. Un lavoratore ha dichiarato che l’azienda in cui era impiegato assemblava cinture per marchi comeZara, Diesel, Hugo Boss, Hugo Boss Orange, Trussardi, Versace, Tommy Hilfiger, Gucci, Gianfranco Ferré, Dolce & Gabbana, Marlboro, Marlboro Classic, Replay, Levis “e altre che al momento mi sfuggono”. Alcuni di questi brand risultano oggi tra i destinatari delle richieste di esibire documentazione da parte del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia milanese.
Già dal 2015, e con maggiore intensità dal 2017, i carabinieri per la tutela del lavoro segnalavano ai giudici anomalie sempre più gravi: all’interno di laboratori-dormitorio abusivi a gestione cinese, dove vengono sistematicamente violate le regole su igiene, sicurezza, retribuzioni, buste paga e orari, compariva sempre più spesso merce di grandi marchi internazionali. Fino alle più recenti inchieste sulla moda e alle misure di prevenzione adottate in base al codice antimafia, nessun magistrato aveva però “riavvolto il filo” risalendo alla committenza finale del prodotto. È proprio questa inversione di prospettiva che Paolo Storari definisce, nei convegni e nelle audizioni pubbliche, una scelta di “politica giudiziaria”: riportare al centro della responsabilità l’intera filiera del lusso, dai capannoni clandestini fino alle vetrine delle boutique.
La piccola squadra di Chapecó, segnata dal tragico incidente aereo del 2016 che costò la vita a 71 persone, è tornata nella Serie A brasiliana dopo anni di dolore, ricostruzione e anonimato
La festa della Chapecoense
Tenersi alla larga dalle fiabe aiuta. Soprattutto nello sport. Però anche crederci un po’ spinge a ricostruire. Furacão do Oeste, l’Uragano dell’Ovest, la chiamavano così la piccola squadra arrivata in alto. Chapecó è un centro agroindustriale nel profondo entroterra del Brasile, a sud, nello stato di Santa Catarina. Nemmeno duecentomila abitanti, il contrario di una megalopoli. E una squadra di calcio, la Chapecoense detta Chape, non famosissima, anzi Cenerentola del futebol, salita per la prima volta in serie A nel 2014 e che due anni dopo si trovò a vivere la sua favola. Anzi a giocarla. La finale della Copa Sudamericana, l’equivalente dell’Europa League. Un successo avrebbe significato la fama e l’accesso diretto alla ancor più prestigiosa Copa Libertadores.
Lingua originale: portoghese. Traduzione di Google Una settimana fa, Chapecó ha giocato insieme dall’inizio alla fine e il nostro sogno è diventato REALTÀ!
Há uma semana, Chapecó jogou junto do início ao fim e o nosso sonho se tornou RE🅰️LIDADE! 💚🇳🇬
La squadra s’imbarcò la sera del 28 novembre 2016 da San Paolo in Brasile con destinazione Medellín, Colombia, per affrontare l’Atlético Nacional. Sull’aereo c’erano anche tecnici, dirigenti, giornalisti e accompagnatori. Euforici per la loro prima finale. In tutto 68 passeggeri e 9 membri dell’equipaggio. Il volo 2933 era della compagnia boliviana LaMia (Línea Aérea Mérida Internacional de Aviación). Su quello stesso quadrimotore aveva volato pochi giorni prima la nazionale argentina di Leo Messi. All’appello mancava il portiere Nivaldo, bandiera del club, 299 presenze. A 42 anni preferiva festeggiare quota 300 partite davanti al suo pubblico, pochi giorni dopo avrebbero giocato contro l’Atlético Mineiro in campionato. Dette forfait all’ultimo momento anche Edmundo, O Animal, ex giocatore della Fiorentina e del Napoli, commentatore della tv brasiliana. Perse il volo Matheus Saroli, figlio dell’allenatore della Chapecoense, che aveva dimenticato il passaporto. Il padre, Luis Carlos Saroli, noto come Caio Júnior, invece quell’aereo lo prese dopo aver rilasciato un’ultima dichiarazione: «Se morissi oggi sarei un uomo felice». Con lui c’era anche il difensore Felipe Machado, 32 anni, che aveva giocato in Italia, nella Salernitana in B.
Il volo è tranquillo. Mancano 18 chilometri all’arrivo quando si spengono le luci. «Allacciatevi le cinture, stiamo per atterrare». Alle 21.49 il comandante avvisa la torre di controllo: «Ho problemi con il carburante, chiedo priorità per la discesa». Alle 21.52 dichiara l’emergenza, i serbatoi sono vuoti. Alle 21.55 il velivolo scompare dai radar. Alle 21.59 l’aereo sbatte contro la vetta del Cerro Gordo (2.600 metri). Buio, pioggia, nebbia. I soccorsi sarebbero arrivati dopo ore via terra.
Visitatori sul luogo dell’incidente a La Union, 50 km a sud di Medellin
«Mi sono svegliato nel bosco, ho aperto gli occhi ma era tutto nero. Faceva freddo e sentivo le persone chiedere aiuto. L’ho fatto anche io, non avevo idea di dove fossi, non ricordavo nulla. Ho supplicato: non voglio morire». Jakson Follmann ha 24 anni, vede una torcia, sente le voci della polizia colombiana. Un sergente gli tiene la mano e lo rassicura. Jakson si qualifica: «Sono il portiere della Chapecoense». Nell’impatto ha perso il piede destro e il sinistro è rimasto attaccato solo per i tendini. È scosso, soprattutto si meraviglia che i suoi compagni non urlino più.Le vittime sono 71, i sopravvissuti 6. Tre calciatori, un tecnico di volo, una hostess e un giornalista. Il portiere Marcos Danilo, 31 anni, morirà in ospedale. Un fotografo della Reuters testimonia: «L’aereo è spezzato in due, solo il muso e le ali sono riconoscibili».
Alan Ruschel
Alan Ruschel si salva per un cambio di posto. Mezz’ora prima dell’incidente il suo amico Follmann aveva insistito perché dal fondo si spostasse accanto a lui e all’altro difensore, Hélio Zampier Neto. Al centro dell’aereo. Sono i soli tre sopravvissuti della squadra. Jakson si risveglia tre giorni dopo all’ospedale: ha una gamba amputata, l’altra è seriamente danneggiata. Ruschel ha una frattura alla decima vertebra e una lesione spinale. Non ricorda niente e pensa alla finale, convinto che si debba giocare il giorno dopo. Neto ha lesioni al cranio, al torace, alla gamba destra. Lo portano all’ospedale in stato di shock. Quando riemerge dal coma chiede: com’è finita la partita e chi è stato a farmi così male?Lui l’incidente l’aveva sognato alcune notti prima: c’erano le luci che si spegnevano, la pioggia, il bosco. Si era agitato e ne aveva parlato alla moglie, la madre dei suoi gemelli di dieci anni. «Mi sono portato quell’incubo dentro l’aereo».
I resti dell’aereo della Chapecoense
A lui e a Follmann i medici per un po’ nascondono la verità. Quando lo viene a sapere Jakson riesce solo a dire: «Me li ricorderò sempre felici e sorridenti, sono contento di non aver visto i miei amici morire». A Chapecó, fuori dallo stadio Arena Condá si radunano centinaia di tifosi. Piangono e pregano per la fine di un sogno: la loro Chapecoense non c’è più. A ventiquattr’ore da una partita che molti avrebbero raccontato per anni ai figli, ai nipoti e a tutti coloro che volevano sapere di quella volta che la loro piccola squadra era arrivata a giocarsi il successo nel secondo trofeo più importante del continente. La Chape conta 48 vittime tra tecnici, giocatori e accompagnatori. L’attaccante Tiaguinho, 22 anni, aveva appena saputo che sarebbe diventato padre. Per dirgli della gravidanza sua moglie gli aveva fatto consegnare dai compagni una scatola con due scarpette. Altro che Cent’anni di solitudine.
Allo stadio di Medellín, il giorno della finale, i giocatori e gli uomini della Chape ci arrivano da morti.Le loro bare vengono posizionate in campo. Sugli spalti tutti sono vestiti di bianco, in molti hanno una candela. I tifosi dell’Atlético Nacional cantano per la squadra che quella sera avrebbe dovuto essere avversaria. Vengono liberate in cielo 71 colombe, bambini con la divisa della Chape lasciano andare palloncini bianchi, il mondo del calcio si ferma per un minuto di silenzio. Dice basta anche il portiere Nivaldo, rinuncia a giocare la sua trecentesima partita. «Non conta più». La Copa Sudamericana 2016 viene assegnata d’ufficio alla Chapecoense. Per una volta è giusto così.
Nel Novecento del calcio c’era stata Superga (1949), i Busby Babies del Manchester United (1958) e la nazionale dello Zambia (1993). Nel Duemila ci sono i ragazzi della Chape. La squadra sconosciuta diventata grande nella tragedia. Tutti vogliono aiutarla, iscriversi al club, prestarle giocatori. Da Pelé e Maradona a Vladimir Putin: #ForçaChape. L’accesso alla Libertadores 2017 è simbolicamente forte, ma l’esperienza si conclude già nel girone. Da terza classificata la Chape va a giocare gli ottavi della Copa Sudamericana, viene eliminata dal Flamengo, ma in campo c’è Alan Ruschel, per la prima volta titolare a dieci mesi dall’incidente. Dopo aver rischiato la paralisi.
Terremoto oggi in Emilia-Romagna, scosse nella notte nel Parmense
articolo:
Sisma avvertito dalla popolazione: si è verificato a una profondità di 9 km con epicentro a Corniglio, in Appennino. Magnitudo 3.2 e 2.5
L’epicentro della scossa di terremoto in Emilia del 2 novembre 2025 (foto Ingv, Openstreetmap)
Lievi scosse di terremoto, di magnitudo 3.2 e 2.5, sono state rilevate poco dopo la mezzanotte dall’Ingv, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, in Emilia Romagna, in provincia di Parma.
L’epicentro delle scosse del 2 novembre 2025 – L’epicentro si trova nel paese di Corniglio, un centro montano medioevale con poco più di 1700 abitanti, a 43 chilometri dalle città di Parma e di Carrara.
Il sisma di magnitudo più elevata si è verificato a una profondità di 9 Km, riporta l’Ingv, a 7 Km da Monchio delle Corti, a 9 Km da Berceto e a 10 Km da Palanzano.
Diversi utenti sui social dichiarano di aver avvertito la scossa più forte, che è stata di breve durata.
Lo sciame sismico di febbraio 2024 in Appennino – Uno sciame sismico importante aveva interessato l’Appennino in provincia di Parma nell’inverno dell’anno scorso, nella zona tra Langhirano, Calestano e Frassinoro (intorno alla faglia del Monte Bosso) e dovuto ai movimenti della catena montuosa verso nord-est.
Il dramma nella struttura Brucoverde: il piccolo avrebbe avuto un arresto cardiaco durante il riposo pomeridiano. Il sindaco Guerra: “Siamo sconvolti”. Indagini in corso
Un bimbo di tredici mesi è morto, nel pomeriggio, in un asilo nido di Parma, il Brucoverde, nel quartiere San Leonardo. A quanto si apprende il piccolo avrebbe avuto un arresto cardiocircolatorio durante il riposo pomeridiano. Dopo i primi tentativi di rianimarlo, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale dove è stato constatato il decesso. Sul caso sono in corso indagini per comprendere i contorni della vicenda.
La tragedia è avvenuta intorno alle 15.30. Secondo quanto ricostruito finora il piccolo faticava a respirare: il malessere è apparso subito gravissimo, le maestre sono accorse ed è stato chiamato il 118. I sanitari hanno cercato di rianimare il bimbo per quasi un’ora, poi è stato intubato e portato al Maggiore di Parma dove ha cessato di vivere quindi minuti dopo il ricovero.
“Siamo sconvolti da quanto accaduto. Una giovane vita spezzata così d’improvviso spezza il cuore e lascia senza parole“, dice il sindaco di Parma Michele Guerra. “Ci stringiamo intorno alla famiglia – prosegue il sindaco – in questo momento di dolore enorme e siamo vicini al personale del nido e alle famiglie del Brucoverde in questo momento terribile“. L’assessora ai Servizi educativi del Comune, Caterina Bonetti, si è recata personalmente nella struttura: “È un dolore enorme per la nostra comunità. Ci stringiamo alla famiglia”. Sul posto anche pattuglie della Questura e della polizia locale.