Il capitolo previdenza irrompe nuovamente in Senato. Il maxi-emendamento riscritto dalla maggioranza riduce le risorse per alcune categorie
l dossier pensioni ha rischiato di bloccare l’iter della manovra 2026 in Senato. Nelle scorse ore la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato in fretta e furia a Palazzo Chigi un vertice per invitare i leader della maggioranza a “darsi una calmata“. L’esecutivo ha riscritto quindi l’emendamento omnibus su imprese e previdenza, criticato soprattutto dalla Lega. Ma il nuovo testo contiene dei tagli che potrebbero incidire sulla vita di molti lavoratori.
Tagli sui lavoratori precoci e usuranti – Il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti è andato in Senato per seguire da vicino i lavori della commissione Bilancio, presieduta dal meloniano Nicola Calandrini. “Alle dimissioni ci penso tutte le mattine, che sarebbe la cosa più bella da fare per me personalmente. Però siccome è la 29ma legge di bilancio che faccio, so perfettamente come funziona, so perfettamente che sono cose molto naturali. Alla fine a me interessa il prodotto finale, non il prodotto che presento io“, ha affermatoGiorgetti parlando con i cronisti in Senato.
L’obiettivo della maggioranza è quello di portare il testo in aula entro lunedì 22 dicembre. E il centrodestra prova ad accelerare con le votazioni sugli emendamenti. Nella riscrittura dell’emendamento omnibus del governo spunta però un ulteriore taglio, rispetto a quello già previsto, al limite di spesa per il riconoscimento del trattamento pensionistico anticipato per i lavoratori precoci, ovvero quelli che hanno almeno 12 mesi di contributi maturati prima del compimento del diciannovesimo anno di età.
In particolare si prevede che resta la riduzione di 20 milioni per il 2027, 60 milioni per il 2028,90 milioni non più a decorrere dal 2029 ma per gli anni dal 2029 al 2032 mentre per il 2033 la riduzione sarà di 140 milioni di euro e 190 milioni dal 2034. La riduzione, esplicita già nel testo della legge di bilancio messo a punto dal governo “è effettuata in considerazione dell’attività di monitoraggio prevista a legislazione vigente”, si legge nella relazione tecnica. Inoltre con l’emendamento si inserisce, relativamente alla pensione anticipata dei lavori usuranti, la riduzione a decorrere dal 2033 di 40 milioni di euro annui del fondo ad hoc, con “conseguente corrispondente decremento degli importi” previsti a copertura del decreto legislativo che disciplina l’accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.
Stop alla previdenza complementare sulle pensioni anticipate – Con il nuovo testo messo a punto dal governo salta la possibilità di cumulare la rendita dei fondi complementari per accedere alla pensione anticipata di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi. La norma, in vigore da quest’anno, consentiva di cumulare la rendita del fondo complementare per raggiungere la soglia minima dell’assegno pensionistico necessaria per accedere alla pensione di vecchiaia. Con la nuova misura immaginata dal governo viene stimato un risparmio sulla spesa pensionistica crescente da 12,6 milioni nel 2026 a 130,8 milioni nel 2035.
E all’interno della maggioranza c’è chi ha provato a motivare il dietrofront del governo sul tema. “Era un esperimento che agli occhi del famoso tecnico zelante dava origine a futuri oneri perché incrementando la previdenza complementare avrebbe portato più persone ad ottenere i requisiti secondo quel tipo di parametro e quindi se tu lo disattivi il problema non si pone più per il futuro“, ha spiegato il relatore della Legain Senato Claudio Borghi. “Non pensiamo che sia una cosa sbagliata però quel sistema là, faremo una norma ad hoc“.
La Lega denuncia una “manina” nella manovra ma nei casi peggiori anche chi aveva già fatto i conti rischia di restare al lavoro quasi quattro anni in più
Nel maxi-emendamento alla Legge di Bilancio 2026, depositato in Commissione Bilancio al Senato, il governo mette mano a tre snodi delicati del sistema previdenziale disegnando un futuro in cui uscire dal lavoro prima della vecchiaia diventa più difficile (o comunque più lento).
Oggi la pensione anticipata ordinaria si ottiene, in estrema sintesi, con un numero molto alto di contributi versati (42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne), senza un’età minima. Raggiunto quel traguardo, però, non si prende l’assegno subito: c’è una “finestra” di decorrenza, cioè un tempo di attesa prima che parta materialmente la pensione.
Il maxi-emendamento interviene proprio qui: la finestra resta di 3 mesi per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre 2031, ma poi si allunga progressivamente. Dal 2032 e 2033 diventerebbe di 4 mesi, nel 2034 di 5 mesi, e dal 2035 arriverebbe a 6 mesi. Tradotto: anche quando hai già “fatto i conti” e raggiunto i contributi necessari, potresti dover aspettare fino a mezzo anno per vedere il primo assegno.
Il riscatto della laurea vale meno – L’altra stretta riguarda il riscatto dei periodi universitari: uno strumento che permette, pagando un importo, di trasformare anni di studio in contributi utili per la pensione. La novità è che dal 2031 una parte di quei mesi riscattati non verrebbe più conteggiata solo per maturare il diritto alla pensione anticipata (non per calcolare l’importo dell’assegno).
Il taglio sarebbe progressivo: 6 mesi “sterilizzati” nel 2031, 12 mesi nel 2032, 18 mesi nel 2033, 24 mesi nel 2034 e fino a 30 mesi dal 2035. In pratica, dal 2035 un riscatto di tre anni potrebbe contare, per anticipare l’uscita, come se valesse appena sei mesi.
Quasi quattro anni in più – È questo incrocio – finestra più lunga e riscatto che pesa meno e adeguamenti legati alla speranza di vita – a far esplodere le simulazioni più dure rilanciate dai sindacati: nei casi peggiori, tra contributi “aggiuntivi” da maturare e mesi di attesa, si potrebbe restare al lavoro (o comunque senza pensione) fino a un totale vicino ai 47 anni di contributi a fronte dei 42 anni e 10 mesi previsti nel 2026. Quasi quattro anni in più.
L’effetto della manovra Meloni sulle pensioni
Si tratta di una misura retroattiva “con profili di incostituzionalità, che rompe in modo evidente il principio di affidamento – spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale – lo Stato cambia le regole a partita già giocata, penalizzando soprattutto i giovani, chi ha carriere medio-alte con ingresso tardivo nel mercato del lavoro e chi ha investito risorse significative nel riscatto della laurea”.
Tfr dei neoassunti: più spinta verso la previdenza complementare – Nel pacchetto entra anche una misura diversa, che riguarda i giovani al primo impiego: dal 1° luglio 2026, per i lavoratori del settore privato assunti per la prima volta, il Tfr maturando verrebbe destinato automaticamente a un fondo pensione individuato dai contratti collettivi, salvo rinuncia entro 60 giorni. In sostanza: se non scegli, si va verso la previdenza complementare; se vuoi tenerti il Tfr in azienda (o scegliere un altro fondo), devi comunicarlo.
Perché è una questione politica (oltre che tecnica) – Dal punto di vista del governo, l’obiettivo è contenere la spesa nel medio-lungo periodo e gestire un sistema che invecchia. Ma le opposizioni e i sindacati contestano l’impostazione: la Cgil parla di irrigidimento strutturale e solleva dubbi sulla retroattività della penalizzazione per chi ha già pagato il riscatto della laurea confidando in regole diverse.
Il calendario parlamentare è serrato: l’esame in Aula al Senato è atteso a partire dal 22 dicembre, con una corsa finale per chiudere entro fine anno. Nel frattempo, le norme restano “in discussione”: potranno essere ritoccate, riscritte o (in teoria) stralciate.
L’origine del “pasticcio” – Secondo il senatore leghista Claudio Borghi l’origine del “pasticcio” sta nella necessità di coprire i costi che potrebbero derivare dalla norma sulla previdenza complementare, contenuta sempre nell’emendamento dell’esecutivo al disegno di legge Bilancio. “L’aumento delle persone che potranno usare la previdenza complementare per usufruire dello scivolo del 64+25 aumenta e quindi lo Stato ha un’uscita di soldi. Quindi si tratta di una clausola di salvaguardia. Ma invece di andare a pescare su finestre e riscatto della laurea, si prendono coperture alternative, come l’Iva oppure l’Irap” conclude Borghi.
Natale amaro per le tute blu della Brianza. Il quadro a tinte fosche dell’industria: mille posti a rischio, calo degli ordini, cassa e delocalizzazioni
Haier ha chiuso la produzione di lavatrici Candy, l’area di Brugherio ospiterà un polo logistico. In crisi marchi storici come Peg Perego ad Arcore, e ci sono incognite sul colosso dei microchip di Agrate
Haier ha chiuso la produzione di lavatrici Candy, l’area di Brugherio ospiterà un polo logistico. In crisi marchi storici come Peg Perego ad Arcore, incognite sul colosso dei microchip di Agrate.
Monza, 5 dicembre 2025 – Natale nero per i metalmeccanici in Brianza, mille posti in stand-by su 40mila occupati fra cassa integrazione e calo degli ordini. La mappa della crisi che investe le tute blu va dal Vimercatese a Monza, al Desiano. “Una fragilità senza precedenti“, per Pietro Occhiuto, segretario della Fiom, che non risparmia nessun settore: microelettronica, elettrodomestico, prodotti per l’infanzia, automotive, manifattura e siderurgia.
Il caso Vimercatese – “La fine dell’anno è segnata da un numero crescente di crisi con ricadute pesanti su occupazione, investimenti e prospettive di sviluppo“, denuncia. “La delocalizzazione verso il Sud-Est asiatico porta con sé 9 esuberi su 25 a livello nazionale alla Vimercatesedei semiconduttori Micron – spiega Occhiuto –. Una scelta a dispetto di risultati finanziari molto positivi che conferma una strategia che indebolisce il sito in provincia e mette a rischio competenze di alto profilo“.
La mobilitazione la scorsa estate dei dipendenti della Peg Perego
Il caso Peg Perego – Mentre il calo degli ordini guasta le feste agli operai della Cbi, della Rosler, del Gruppo Confalonieri, di Cpm, Gdf e Imv Presse: “Aziende di comparti diversi, dall’auto all’arredamento, accomunate dal ricorso alla cassa integrazione con importante riduzione di reddito e ripercussioni sulla stabilità dell’occupazione“. E poi ci sono due gioielli, Peg Perego ad Arcore “alle prese con la fine degli ammortizzatori e la gestione degli esuberi“, ed Edim, la fonderia della Bosch a Villasanta, che cerca un acquirente ma non lo trova. “Il futuro dello stabilimento è molto incerto, chiediamo garanzie su investimenti e posti di lavoro“.
Il caso Staubli – “Un caso a parte è la caratese Staubli, che ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per delocalizzazione, colpendo un polo avanzato dal punto di vista tecnologico e con personale altamente specializzato“. Aria pesante anche alla Hydro di Ornago: “La chiusura della fonderia e la cassa aggravano le difficoltà di un settore già segnato da costi energetici elevati, volatilità delle materie prime e concorrenza internazionale – sottolinea il segretario della Fiom –. La perdita di capacità produttiva rischia di indebolire l’intera filiera locale dell’alluminio“.
Nuvole di crisi incombono anche sulla Hydro di Ornago
Nodi romani – Problemi anche alla Verniciatura Arcore, “a causa del drastico calo di commesse l’azienda, fornitore della filiera moto, ha fatto ricorso alla cassa. Il comparto motociclistico, altamente sensibile alle oscillazioni del mercato, trasmette in tempo reale i propri rallentamenti all’indotto“. Per Occhiuto “il quadro a tinte fosche si intreccia con due elementi centrali del contesto nazionale: il rinnovo del contratto con un aumento di 205,32 euro e lo sciopero generale del 12 dicembre contro una legge di bilancio ingiusta e sbagliata“.
Pessimismo – “In un territorio ricco di competenze e innovazione aumentano delocalizzazioni, esuberi e ricorso agli ammortizzatori sociali – tira le somme Occhiuto–. La firma del contratto dimostra che con la mobilitazione si possono ottenere risultati importanti. Ora, serve lo stesso impegno per garantire futuro all’occupazione e all’industria della nostra provincia. Il 12 dicembre saremo in piazza, a Monza, per chiedere politiche capaci di proteggere chi lavora e a sostegno dello sviluppo“
Davanti alla Prefettura blindata i lavoratori hanno strappato le grate della polizia. Alla partenza anche la sindaca Salis, in stazione il presidente Bucci. La Fiom: “Sospendete per solidarietà i consigli di Comune e Regione”. Traffico in tilt in città
È il giorno dello sciopero generale dei metalmeccanici, la mossa tentata dai sindacati (quasi) uniti per alzare il tiro della protesta e chiedere la retromarcia al governo sul piano di ridimensionamento dell’ex Ilva.
Mentre a Taranto questa mattina sonostati tolti i blocchi e lo sciopero è sospeso, a Genova, al quarto giorno di stato di agitazione, i lavoratori dello stabilimento di Cornigliano sono in corteo e sono arrivati in centro città, portando gli striscioni e quattro mezzi di fabbrica, la Prefettura è stata blindata dai mezzi della polizia fin dalle otto del mattino. In manifestazione secondo la Digos sono 4mila lavoratori, secondo i sindacati oltre 5mila. Arrivati davanti alla Prefettura si sono trovati la strada sbarrati dalle grate issate dalla polizia e hanno iniziato a sbattere gli elmetti gialli antinfortunistici contro le barriere. Poi hanno agganciato cavi alle grate e con i mezzi le hanno tirate via, mentre dalla polizia volavano lacrimogeni. “Ci dovete arrestare tutti“: così Armando Palombo (Fiom) con un megafono alle forze di polizia che stanno impedendo ai metalmeccanici l’accesso alla piazza della Prefettura. “Noi vogliamo solo lavorare“, ha detto mentre è partito il coro “lavoro, lavoro” e insulti all’indirizzo del ministro Urso .
Genova, l’assalto degli operai dell’Ilva alle barriere della polizia
Un operaio Fiom è stato ferito alla testa durante il teso confronto in atto tra manifestanti e polizia davanti alla prefettura di Genova. L’operaio ha una ferita alla testa, probabilmente è stato colpito dal lancio di un fumogeno. “Esacerbare gli animi in un momento così critico per il lavoro e nei confronti di operai che chiedono di mantenere il loro posto di lavoro è un atto gravissimo._ attacca in una nota la Cgil _ E’ necessario capire quale è stato il cortocircuito istituzionale che ha provocato questa deriva reazionaria che a Genova si è vissuta solo ai tempi del G8 quando la città era stata esautorata dalla gestione dell’ordine pubblico“.
Una volta calmatasi la situazione gli operai sono rimasti schierati davanti al cordone della polizia. Poi il corteo si è mosso per andare ad occupare i binari alla stazione di Brignole.Tutto si è fermato perchè nel frattempo è arrivata la sindaca Salis che ha incontrato i sindacalisti Fiom per aggiornarli sulle comunicazioni con il ministero.
Poi i manifestanti sono partiti alla volta di Brignole raggiunta alle 13 quando è iniziata l’occupazione. Gli operai della Fiom sono stati attenti a non occupare i binari ma sono rimasti sulle banchine dove sono poi stati raggiunti dal presidente della Regione Marco Bucci che ha parlato al megafono per illustrare i tentativi che vengono fatti in queste ore per garantire la continuazione della produzione. I lavoratori hanno occupato il piazzale davanti alla stazione che è uno snodo vitale per il traffico cittadino. Alle 14 il corteo si è rimesso in marcia verso Cornigliano.
Protesta operai Ilva, l’occupazione della stazione di Brignole
“Genova lotta per l’industria“, si legge sullo striscione in testa al fiume di tute blu, portati in piazza da Fiom, Fim e Usb. Con loro, a centinaia, gli operai di tutte le altre fabbriche del ponente genovese, da Fincantieri a Ansaldo, ma anche la sindaca Silvia Salis e Michele De Palma, segretario generale Fiom. «Così come stiamo, al momento non c’è lavoro. Equindi scioperiamo e manifestiamo».
Per la stessa Salis «essere qui è doveroso e indispensabile, ci sono sempre stata e ci sarò sempre, non è una novità e non cambierà. nel tempo. Domani andiamo a Roma a chiedere non solo le 45.000 tonnellate che ci hanno promesso per arrivare fino a fine febbraio, ma soprattutto chiederemo che questa vertenza passi a un tavolo superiore».
«Perché non abbiamo avuto le risposte di cui avevamo bisogno, c’è bisogno di risposte, soprattutto sul futuro. Lo Stato deve entrare in questa gara affinché, se dovesse andare deserta, ci sia una continuità produttiva che permetta di far rimanere attrattivi questi stabilimenti e che non diventi poi una guerra tra poli del Nord e di Taranto».
Anche perché, dice ?la sindaca, «le risposte date ieri da Urso non sono state quelle che ci aspettavamo. Non sono risposte definitive, sono risposte momentanee e noi invece abbiamo bisogno di sapere cosa succede in caso la gara andasse deserta da parte dei privati».
Il segretario della Fiom De Palma chiede intanto “alla presidente del Consiglio di convocarci al tavolo, di fermare il piano di chiusura di fatto degli impianti ex Ilva e fare la società pubblica, che noi chiediamo da tempo, per poter realizzare il piano che il governo stesso aveva preventivato per gli impianti italiani dell’ex Ilva“.
Per quanto riguarda il traffico, già interrotta la viabilità in buona parte del percorso previsto per il corteo, che da Cornigliano passerà poi per piazza Montano, via Cantore, via Buozzi, via Gramsci, la Nunziata e quindi Portello e Corvetto. La pollizia sta chiudendo le strade al passaggio del corteo, che all’arrivo in zona Matitone è stato accolto dalle fiaccole dei lavoratori del Calp in segno di solidarietà.
Il saluto dei lavoratori del Calp (foto Leoni)
“Non ci faremo derubare della nostra industria a Genova e della siderurgia in Italia da un governo vile e incapace di trovare vere soluzioni che scongiurino la chiusura dello stabilimento di Cornigliano”, si spiega dal fronte sindacale, dal quale si è sfilata ieri Uilm.
Se del resto ancora ieri alla Camera il ministro Adolfo Urso ha smentito l’esistenza “di alcun piano di chiusura di Cornigliano, è esattamente il contrario” – la risposta data alle interrogazioni parlamentari presentate dai deputati liguri Luca Pastorino (Pd), Ilaria Cavo (Noi Moderati) e Valentina Ghio(Pd) – la sostanziale incertezza sul futuro sospeso dell’intero gruppo rimane.
E dice che, almeno su Genova, i punti interrogativi ci sono sia sul nodo delle 200mila tonnellate di zincato che permetterebbero di dare ossigeno allo stabilimento almeno fino a marzo, che ad oggi nessuno riesce a garantire. Sia sui 15 milioni necessari per riavviare il lavoro da subito, sospesi per il rischio di contestazioni in Europa sugli aiuti di Stato.
Sia sul destino della linea di zincatura, legato alla ripartenza del secondo altoforno di Taranto. Il tutto, a prescindere dall’arrivo di un futuro, tutto eventuale investitore privato capace di puntare su Genova.
Il corteo (foto Leoni)
“Non si comprende cosa aspetti il ministro Urso ad andare a casa – attacca la senatrice di Italia VivaRaffaella Paita – La vicenda dell’ex ilva è ormai chiaramente sfuggita da mano al governo e sta diventando una questione sociale gravissima. Non si può pensare di rimediare a tre anni di inerzia assoluta con vuote promesse o soluzioni miracolistiche che non esistono“.
“Sono stati tre giorni intensi dove abbiamo messo in campo nuove iniziative di mobilitazione perché non siamo usciti soddisfatti dall’incontro di Roma“. Il governo “non ferma l’idea del ciclo corto e questo è pericoloso per tutto il gruppo” e c’è “il rischio concreto per lo stabilimento di Cornigliano che, se dovesse fermarsi chiuderebbe per sempre“.
Queste le parole di Christian Venzano,segretario generale Fim Cisl Liguria. “Dopo aver ottenuto la continuità produttiva della banda stagnata dall’incontro al MIMIT, con la mobilità di questi tre giorni non siamo riusciti ad ottenere la continuità produttiva anche per la banda zincata, per arrivare a marzo . Per salvare definitivamente la siderurgia bisogna tornare al piano condiviso con le organizzazioni sindacali per dare continuità produttiva ai siti del nord e prendersi la responsabilità del rilancio della siderurgia in attesa di investitori industriali e del settore con capacità economiche. Il Governo torni ad essere quello che ha promesso il rilancio della siderurgia ed esca da questa nuova posizione che rischia di portare alla chiusura“.
Ieri visita della ministra Calderone, oggi assemblea in fabbrica
Portovesme, 29 novembre-Hanno deciso di interrompere la protesta a 40 metri di altezza, che andava avanti dalla mattina di lunedì 17 novembre, e scendere dalsilo i 4 operai dell’Eurallumina di Portovesme dopo che ieri hanno ricevuto la visita della ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone. La decisione è stata presa durante l’assemblea di lavoratori e sindacati questa mattina proprio per fare il punto delle azioni di lotta all’indomani dell’incontro con la ministra che aveva dato rassicurazioni in vista del tavolo convocato per il 10 dicembre a Roma. (ANSA).
Impegnata a Cagliari in occasione di un convegno di Confindustria, ieri pomeriggio la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone si è spostata a Portovesme, nel Sulcis Iglesiente, raccogliendo l’invito degli operai in lotta. La ministra ha dato loro le rassicurazioni che si aspettavano e, in vista del tavolo convocato per il 10 dicembre a Roma, i quattro operai asserragliati a 40 metri d’altezza hanno deciso di interrompere la protesta estrema sul silo 3 dello stabilimento di Portovesme. “La protesta che state portando avanti non è nel vostro esclusivo interesse, ma nell’interesse dell’azienda, del complesso aziendale, di tutti i lavoratori e le lavoratrici di Eurallumina e dell’intero territorio“, ha detto ieri l’esponente del Governo. “Come ministra del Lavoro e come sarda credo di aver fatto solo il mio dovere venendo qui, per rappresentare non solo la mia personale vicinanza ma quella dell’intero Governo. Il ministero è a disposizione per tutti gli strumenti che servono – ha aggiunto Calderone – anche se prima di strumenti come la cassa integrazione io preferisco parlare di lavoro che ancora c’è“.
«La protesta che portano avanti è nell’interesse dell’intero territorio»
La ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha incontrato a Portovesme i lavoratori di Eurallumina in presidio da giorni. Un confronto definito “doveroso” dalla stessa ministra, che ha voluto portare la vicinanza del Governo e ribadire l’impegno istituzionale nel percorso di rilancio dell’azienda.
«La protesta che stanno portando avanti non è nel loro esclusivo interesse – ha affermato Calderone – ma nell’interesse dell’azienda, del complesso aziendale, di tutti i lavoratori e le lavoratrici di Eurallumina e dell’intero territorio. Come ministra del Lavoro e come sarda credo di aver fatto solo il mio dovere venendo qui, per rappresentare non solo la mia personale vicinanza ma quella dell’intero Governo».
Eurallumina, la ministra Calderone incontra gli operai. Le sorti dell’impianto legate alle sanzioni contro la Russia
Undicesimo giorno di protesta sul silo a 40 metri. La titolare del Lavoro: “Tutti gli strumenti in campo”. Anche la commissione Industria del Consiglio regionale a Portovesme, il Cal “vicino” ai lavoratori e alle loro famiglie. Gli operai al termine dell’incontro hanno indetto un’assemblea per decidere se interrompere o meno la protesta estrema
Fari puntati sull’Eurallumina di Portovesme. Dopo undici giorni e notti sul silo a 40 metri di altezza per chiedere risposte al governo, oggi gli operai hanno incontrato la politica. La ministra Maria Elvira Calderone, titolare del Lavoro, ha fatto visita, raccogliendo il loro appello, ai lavoratori dello stabilimento che attende risposte sulla sua ripartenza. “Il ministero è a disposizione per tutti gli strumenti che servono – ha spiegato la ministra al termine dell’incontro -, anche se prima di strumenti come la cassa integrazione io preferisco parlare di lavoro che ancora c’è”. Gli operai al termine dell’incontro hanno indetto un’assemblea per domani per decidere se interrompere o meno la protesta estrema a 40 metri d’altezza.
La politica fa appello al governo Meloni – In mattinata anche la commissione industria del Consiglio regionale, presieduta da Antonio Solinas(Pd), per incontrare e portare la vicinanza ai lavoratori. E arriva anche il commento del Consiglio delle Autonomie locali: “A nome delle Autonomie locali voglio esprimere la mia vicinanza ai lavoratori dell’Eurallumina – scrive il presidente Ignazio Locci -. Siamo consapevoli che si tratta di una vertenza importante con una buona prospettiva di chiusura positiva, perciò ci auguriamo che il Governo nazionale riesca a restituire serenità ai lavoratori, costruendo un percorso duraturo per favorire la ripresa. Un ringraziamento anche alla ministra Calderone per la sensibilità dimostrata con questa visita a Portovesme”.
I sindacati: “Scongelare gli asset societari della proprietà” – Secondo i sindacati il governo nazionale dovrebbe chiedere all’Europa di togliere i sanziono ai proprietari russi che hanno il blocco delle risorse e non investono perché non hanno liquidità, che terminerà il 31 dicembre. O il governo mette risorse o lo stabilimento chiude. Il 10 dicembre a Roma è previsto un incontro con il ministro delle Imprese Adolfo Urso, “anche con il supporto di tutti noi che abbiamo competenza nella vicenda”, sottolinea la ministra, in quella sede si affronterà il nodo.
“Ci aspettiamo che da qui al 10 dicembre, data in cui è stato convocato il tavolo presso il Mimit, il Governo ci comunichi la delibera del CSF sullo scongelamento degli asset societari di Eurallumina. Senza questo passaggio non esiste alcuna soluzione strutturale possibile. Ogni giorno che passa aumenta l’incertezza per i lavoratori e per l’intero territorio del Sulcis“. Ha commentato la segretaria generale della Uiltec, Daniela Piras, oggi a Portovesme per incontrare i lavoratori di Eurallumina, in stato di agitazione e da undici giorni in cima al silo 3, a 40 metri di altezza. “La ministra Calderone, accogliendo la richiesta dei lavoratori in protesta – ha proseguito Piras – è venuta a condividere l’impegno che i Ministeri interessati stanno mettendo in campo attorno a una vertenza che merita di avere un esito positivo”.
A Portovesme con la ministra anche il direttore generale dell’Anpal nazionale Massimo Temussi,le autorità religiose del Sulcis e molti sindaci dei Comuni come quello di Iglesias Mauro Usai.
Decima notte di protesta sul silo, domani arriva la ministra
Un’altra notte di protesta, la decima, per i quattro operai dell’Eurallumina di Portovesme, da lunedì 17 asserragliati su un silo a 40 metri di altezza nonostante vento e freddo, per richiamare l’attenzione sulla vertenza dello stabilimento del Sulcis Iglesiente, di proprietà della Rusal, oggetto delle sanzioni applicate dallo Stato italiano per il conflitto tra Russia e Ucraina.
La proprietà russa ha di recente annunciato di voler interrompere i finanziamenti. “Oggi verrà qui al presidio la Commissione Industria del Consiglio regionale a dialogare con noi – dichiara all’ANSA Enrico Pulisci della Rsa Eurallumina – Inoltre rivolgiamo un appello alla ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone che domani pomeriggio verrà a trovarci. Auspichiamo che lei, come membro autorevole del governo, possa portare notizie liete che vadano a spostare tutto quanto detto da Urso e Giorgetti nell’atto di convocazione, nel colloquio avuto con la presidente della Regione Todde da parte del ministro del Mef in vista del tavolo del 10 dicembre. Questo bandolo deve essere sciolto, dobbiamo sbloccare i fondi o la revoca definitiva delle sanzioni. Dalla ministra ci aspettiamo notizie importanti per avere una speranza per noi, i lavoratori e tutto il territorio”.
La ministra sarà a Cagliari il 28, ‘venga da noi in fabbrica’
Nona notte di protesta, su un silo a 40 metri di altezza nonostante vento e freddo, degli operai della Eurallumina di Portovesme e nuovo appello alla politica. Oggi, in occasione della seduta del Consiglio regionale della Sardegna, una delegazione di lavoratori insieme coi sindacati si recherà nel palazzo di via Roma per incontrare i capigruppo dell’assemblea sarda. “Domani pomeriggio invece – annuncia dal silo Enrico Pulisci della Rsa dell’Eurallumina – è prevista la Commissione Industria del Consiglio regionale che si riunirà qui da noi.
I Comuni del territorio stanno approvando ordini del giorno a sostegno della nostra protesta.
Ora serve un impegno immediato del governo: rivolgiamo un appello alla ministra del Lavoro Calderone, che venerdì 28 sarà a Cagliari per un incontro con la Confindustria, per venire qui in fabbrica a incontrarci. Ci auguriamo che la ministra, essendo un autorevole esponente del governo, possa far sì che l’incontro fissato per il 10 dicembre sia una data importante e risolutiva e non interlocutoria. La aspettiamo, il presidio continua“, conclude Pulisci
Operai a 40 metri, ‘governo prenda di petto la vertenza’
Nel nono giorno di protesta sul silo numero 3 di Eurallumina, i quattro operai impegnati nella dura protesta a 40 metri di altezza lanciano un appello al governo: “oltre al ministro delle imprese Adolfo Urso, al tavolo del 10 dicembre deve sedersi anche il Mef con il ministro Giancarlo Giorgetti“. “Vogliamo rassicurazioni e chiediamo che quella data sia decisiva e non interlocutoria –fa sapereEnrico Pulisci della Rsa – il 28 sappiamo che il ministro Urso sarà impegnato al tavolo Ilva e non sarà in Sardegna ma a tutto il governo chiediamo che prendano di petto la soluzione per l’ Euralluumina. Ci spetta di diritto: o i fondi subito o la revoca definitiva delle sanzioni alla Rusal”.
‘Le bonifiche non possono fermarsi, a rischio l’ambiente’
Settima notte trascorsa tra gelo, pioggia e vento a 40 metri sul silo numero 3 dello stabilimento Eurallumina di Portovesme, nel Sulcis, per i quattro operai che lottano per il rilancio della fabbrica di allumina, primo passaggio nella filiera strategica dell’alluminio italiano.
Dopo una settimana all’addiaccio attendono risposte dal governo sulla riunione convocata per il 10 dicembre che – dicono – “non può essere interlocutoria“. “Chiediamo risposte e sottolineiamo anche la questione importante delle bonifiche sul sito di stoccaggio dei residui di lavorazione e l’impianto di trattamento delle acque e refluo industriale tuttora in marcia: si estraggono quotidianamente 50 metri cubi all’ora – fa sapere Enrico Pulisci della Rsa dell’Eurallumina – il ministero dell’Ambiente con Pichetto Frattin, il Mef e il Mimit sappiano che bisogna dare obbligatoriamente continuità di operatività alle bonifiche dello stabilimento dell’Eurallumina.
Noi rimaniamo qua: il presidio continua e la lotta pure. Attendiamo risposte concrete sulla data del 10 dicembre. Non ci fermiamo”. Il problema più urgente riguarda il congelamento degli asset finanziari della multinazionale proprietaria della fabbrica, l’UC Rusal, sottoposta – a causa delle sanzioni Ue contro la Russia – a un controllo dal parte del Comitato di sorveglianza finanziaria del Mef.La stessa azienda, agli inizi del mese ha comunicato ai sindacati che la disponibilità finanziaria residua consente la gestione ordinaria dello stabilimento solo fino al 31 dicembre 2025, includendo le attività operative e le bonifiche ambientali in corso. E’ quindi lotta contro il tempo per sbloccare una vertenza che vede sul piatto 300 milioni di investimenti da parte della Rusal e 1500 buste paga equivalenti.
A Mimit, incontro del 10 non sia interlocutorio ma decisivo’
Quinta notte passata a 40 metri sul silo numero 3 dello stabilimento Eurallumina di Portovesme, nel Sulcis, sfidando le forti raffiche di maestrale il gelo polare di questa notte.
Prosegue anche nel weekend la protesta in quota dei quattro lavoratori che portano avanti una battaglia per il futuro di tutti gli operai della fabbrica di allumina. “Auspichiamo che lunedì possano arrivare risposte concrete da parte del Mimit e dalle altre istituzioni nazionali con una nota più esplicativa di quella che emersa dopo l’incontro tra la governatrice Todde e il ministro Giorgetti – dice all’ANSA Enrico Pulisci della Rsa di Eurallumina -, chiediamo o che venga anticipato l’incontro del 10 dicembre o rassicurazioni che quella non sarà una riunione interlocutoria come altre ma sia decisiva.
La richiesta è sempre quella di garantire continuità finanziaria dello stabilimento o fondi ministeriali, che ripetiamo non sarebbero a fondo perduto ma dovranno essere restituito dalla Rusal, per consentire di traguardare dicembre. Sarebbe, invece, molto più auspicabile la revoca definitiva della sanzioni patrimoniali“. Questa mattina gli operai sul silo hanno ricevuto al visita dei consiglieri regionali di Sinistra Futura, dei sindaci di Masainas e Nuxis e del segretario generale della Cgil sarda, Fausto Durante.
Venerdì mattina previsto un incontro sindacale, non escluse nuove proteste
Gli operai di Eurallumina sul silos per il quinto giorno
Preoccupati ed esasperati”. – Sono i due sentimenti che stanno vivendo in queste ore i lavoratori dell’Eurallumina dopo quelle che definiscono mancate risposte da parte delle istituzioni per superare l’impasse del blocco degli asset finanziari dell’azienda Rusal,la multinazionale proprietaria dello stabilimento di Portovesme, nel Sulcis.
A 40 metri di altezza sul silo della fabbrica di allumina – primo stadio della filiera strategica dell’alluminio – i quattro operai sfidano il maestrale e il gelo di queste ore consapevoli che la notte che gli attende sarà la più dura, vista l’allerta meteo per precipitazioni anche a carattere nevoso a quota collinare. Ma senza risposte da Roma sono determinati a proseguire in questa clamorosa protesta che va avanti da lunedì mattinae.
“Quinto giorno di lotta dal presidio del silo. Un tempo del cavolo ma non ci intimorisce – dice Enrico Puliscidella rsa di Eurallumina – Sia chiaro che il ministero e il governo ci diano subito risposte certe sullo stanziamento dei fondi. Teniamo a precisare che in questi 16 anni la Rusal ci ha messo 24 milioni all’anno. Esclusi gli ammortizzatori sociali, non siamo sovvenzionati da contributi pubblici. Quei 10 milioni di fondi che pretendiamo dal governo, perché dovuti per legge, verranno poi addebitati alla società. Non sono a fondo perduto. È un diritto stabilito dalla legge. Chi ha sanzionato e ha creato questo deve risolvere il problema – aggiunge – In Irlanda, Germania e Svezia non ne è stato sanzionato nessuno. Solo i sardi sono i lavoratori più fessi, Vogliamo ripartire dopo 16 anni e con i 300 milioni di euro di investimenti“.
Questa mattina è fissato un confronto sindacale per esaminare la situazione e non è escluso che gli operai e i loro rappresentanti sindacali possano decidere nuove e più forti azioni di protesta.
Operai Eurallumina a 40 metri sul silo: ‘Il nostro futuro è a rischio’
Il ministero convoca un tavolo per il 10 dicembre, ma per i sindacati ‘è troppo in là’
Eurallumina, operai a 40 metri su silo ‘Mimit ci convochi ‘
Nel Sulcis Iglesiente, una delle province più povere d’Italia, si riaccende la protesta: quattro operai dell’Eurallumina, sostenuti da tutti i loro colleghi e dai sindacati, sono saliti a 40 metri di altezza su un silo per chiedere garanzie sul proprio futuro occupazionale, che passa oggi dal mantenimento degli asset finanziari dell’azienda Rusal, sottoposta – a causa delle sanzioni Ue contro la Russia – a un controllo dal parte del Comitato di sorveglianza finanziaria del Mef.
Bisogna tornare indietro al 28 febbraio 2023 per trovare una protesta così clamorosa, con i lavoratori – allora della Portovesme srl – che salirono su una ciminiera e vi restarono per cinque giorni.
Oggi, protetti da una sola tenda e dalla copertura del vano ascensore, sfidano la pioggia battente, per sollecitare il Mimit a trovare una soluzione alla vertenza dello stabilimento che produceva allumina, primo stadio della filiera strategica dell’alluminio italiano. Cgil, Cisl e Uil chiedono che Mimit, Csf, Mef e presidenza del Consiglio intervengano subito per“stanziare i fondi necessari alla continuità operativa di Eurallumina per garantire il pagamento delle utenze, dei salari e delle fatture delle imprese terziste e assicurare la prosecuzione delle bonifiche ambientali“. Per le tre sigle e la Rsa Eutrallumina, l’ultimo ostacolo in ordine di tempo alla possibilità che la Rusal possa dare avvio agli investimenti con oltre 300 milioni di euro è la “mancata revoca delle sanzioni patrimoniali disposte dal Csf“.
“Alla soluzione strettamente giuridica deve affiancarsi una soluzione tecnico-politica, necessaria per superare lo stallo e consentire la revoca delle misure – dicono i sindacati – Riteniamo paradossale la disparità di trattamento applicata all’Eurallumina rispetto ad altre aziende europee consociate della stessa UC Rusal (in Svezia, Germania, Irlanda), dove i rispettivi governi, pur aderendo al regime sanzionatorio, hanno scelto di tutelare le imprese ritenute strategiche, mantenendole operative“. Domani è previsto un incontro del gruppo di lavoro tecnico preparatorio del comitato di sicurezza finanziaria proprio su Eurallumina, mentre il Mimit, con il ministro Adolfo Urso, ha convocato per il 10 dicembre a Roma un tavolo sulla vertenza con l’obiettivo “di individuare la soluzione più idonea a consentire la piena ripresa delle attività dell’azienda“. Ma gli operai sul silo e le segreterie dei chimici del territorio, oltre alla Rsa, non ci stanno e chiedono una data più vicina. “Questa convocazione la dice lunga sull’attenzione verso una vertenza importante come quella di Eurallumina e sulla celerità per la risoluzione della vertenza e sull’attenzione verso i lavoratori barricati a 40 metri – tuonano Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec e Rsa -. Respingiamo per questo motivo tale data e chiediamo una rimodulazione in tempi rapidi della stessa; l’iniziativa intrapresa dai lavoratori continua“.
Fin dalla prima mattina lunghe code in autostrada e in città. Il ministro Urso ha convocato un tavolo a Roma per discutere del futuro dell’ex Ilva, nel frattempo nel pomeriggio è prevista una riunione in prefettura a Genova
Dopo il primo giorno di sciopero, ieri, mercoledì 19 novembre, oggi la manifestazione dei lavoratori – che hanno dormito per strada con le tende – è proseguita con un nuovo corteo. Le proteste sono estese anche ai siti ex Ilva di Novi Ligure eTaranto.
Intanto oggi comincia ad arrivare qualche risposta ai lavoratori: nel pomeriggio si terrà una riunione in prefetturaa Genova, e il ministro Urso ha convocato per il 28 untavolo sul futuro dell’ex Ilva a Roma il 28 novembre.
Convocato a Roma un incontro sul futuro dell’ex Ilva – Su richiesta dei sindacati e delle istituzioni locali, stamattina il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha convocato a Roma per venerdì 28 novembre (giornata tra l’altro già interessata dallo sciopero generale) un incontro sul futuro degli stabilimenti ex Ilva del nord Italia. Il tavolo si terrà alle 15,30 a palazzo Piacentini.
Saranno presenti i rappresentanti dei lavoratori e dei territori interessati.
Soddisfatta la sindaca Salis: “Avrei preferito che l’incontro avvenisse qui a Genova, vicino a tutti i lavoratori, ma in ogni caso chiediamo al ministro che questo vertice sia la sede per fare definitivamente chiarezza sul piano del governo per rilanciare, in tempi rapidi, lo stabilimento di Cornigliano”.
Oggi la riunione in prefettura – Nel frattempo è stata convocata una riunione in prefettura per il pomeriggio di oggi, alle 17,30: un confronto tra istituzioni, azienda e rappresentanze sindacali per cercare uno sbocco alla vertenza e valutare le prossime mosse.
“Da lì vedremo, mi auguro che ci siano buone notizie” è il commento del presidente della Regione Liguria Marco Bucci, a margine del convegno della Cisl Fp Liguria organizzato all’ospedale San Martino di Genova.
“Oggi saremo dal prefetto di Genova – commenta Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria – dove vogliamo uscire con una data, con il governo che deve dare la garanzia della continuità produttiva che è una priorità. Non siamo disponibili a negoziare qualcosa di diverso”.
La situazione del traffico oggi : Oggi, giovedì 20 novembre, il traffico è in tilt in diversi quartieri. Qui gli aggiornamenti:
Ore 12,50: la strada Guido Rossa in direzione ponente è stata riaperta unicamente verso il casello autostradale, mentre è ancora chiusa l’uscita verso piazza Savio. In autostrada Aspi segnala traffico ormai regolare.
Ore 11,45: viabilità in miglioramento a Sestri Ponente in via Borzoli, via Camera, via Arrivabene e in zona Sampierdarena in lungomare Canepa e zona San Benigno.
Ore 11,15: Autostrade comunica che sulla A10 sono terminate le code precedentemente causate dalla manifestazione (che continua però a interessare la viabilità ordinaria).
Ore 11: la coda in autostrada è diminuita. Si segnala 1 km sull’A7 in entrambe le direzioni, 3 km sull’A10 in direzione Genova e 1 in direzione Ventimiglia, e coda in entrambe le direzioni al casello di Genova Aeroporto.
Ore 10,50: viabilità tornata regolare nella zona del nodo di San Benigno in direzione varchi.
Ore 10: corteo in atto passando per via Albareto e via Siffredi, in direzione piazza Savio.
Ore 9,50: oltre alle chiusure di Cornigliano, traffico in tilt in diverse zone della città. A Sestri Ponente si registrano code in via Siffredi, via Camera, via Arrivabene. In Valpolcevera code specialmente in via Borzoli e via Ferri. A Sampierdarena code in lungomare Canepa e in direzione valichi portuali.
Ore 9,30: sull’A7 si registrano 8 km di coda tra Busalla e Genova, sull’A12 sono 5 i km di coda tra Nervi e Genova Ovest, e sull’A10 ormai si superano gli 11 km di coda in direzione Genova. Anche la A26 ne risente, con 1 km di coda tra Masone e l’allacciamento con l’A10, sempre in direzione Genova.
Ore 8,40: disagi anche sulla sopraelevata a causa del traffico congestionato e anche di una moto in avaria, poi rimossa poco dopo le 9.
Ore 8: sulla A10, tra Pra’ e l’allacciamento con l’A7, si è formata una coda di 8 km. Congestionate anche le altre autostrade: sulla A12 ci sono 2 km di coda tra Genova Est e l’allacciamento con l’A12, e sull’A7 si registrano 4 km di coda tra Sestri Levante e Genova. Tutte le code sono ovviamente in direzione capoluogo.
Per le lunghe percorrenze verso Milano o Livorno, Aspi consiglia di percorrere la A26 Genova-Gravellona Toce.
Ore 7: in autostrada è segnalata coda in A10 tra Pegli e il bivio con l’A7, in direzione Genova, e in entrambe le direzioni al casello di Genova Aeroporto. Coda anche sull’A7 in direzione Genova, e sull’A12 tra Genova Est e il bivio con l’A7, sempre verso il capoluogo.
Ore 6: a Cornigliano rimangono chiuse al transito piazza Savio (pre-filtro rotonda Albareto), la strada Guido Rossa e via Cornigliano in entrambe le direzioni di marcia.
I sindacati: “Grazie a cittadini e associazioni per il sostegno” – “Si è conclusa la prima giornata di lotta a difesa della nostra fabbrica contro il vergognoso piano di chiusura del governo, lotta alla quale hanno partecipato centinaia di lavoratori – è il commento di oggi delle Rsu di Adi e Ilva -. Oltre ai numerosi cittadini di Cornigliano che ci hanno espresso convinta vicinanza e che colgono l’importanza della nostra battaglia, vogliamo vivamente ringraziare l’associazione Sole Luna per i pasti distribuiti, Music For Peace e Croce Bianca di Cornigliano per le attrezzature forniteci, i circoli operai per tutto quello che ci hanno portato per sostenerci”. La mobilitazione oggi prosegue: “A difesa della nostra fabbrica e di 1.200 famiglie e per il futuro industriale di questa città”.
“Anche oggi lo sciopero ha coinvolto centinaia di lavoratori – spiega Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria -. L’ex Ilva merita rispetto e ancora una volta Genova ha dato una risposta forte a livello nazionale. Serve immediatamente un passo indietro del governo dopo la presentazione di un piano scellerato che non offre una prospettiva occupazionale e lascia soltanto perplessità, preoccupazioni e assoluta mancanza di chiarezza: si è generato unicamente caos dopo mesi in cui c’erano state presentate situazioni diverse, che riguardavano il rilancio del gruppo siderurgico più grande d’Europa, con investimenti per la decarbonizzazione e sulle linee a freddo. Se lo stabilimento di Cornigliano dovesse fermarsi anche solo qualche mese ci sarebbe solo una sentenza: la chiusura per sempre. Sono impianti che pagano oggi una mancanza di manutenzione che dura da anni, e adesso devono andare avanti gli investimenti”.
Le motivazioni dello sciopero – Lo sciopero – che a partire da ieri mattina ha visto corteo e un blocco stradale che ha causato disagi in tutta la città e non solo – è stato proclamato quando i sindacati, dopo ore di confronto, hanno annunciato la rottura con il governo e lo stop delle trattative sul futuro di Acciaierie d’Italia. Secondo quanto dichiarato dagli esponenti nazionali di Fim, Fiom e Uilm il piano prevede 6mila lavoratori in cassa integrazione entro gennaio (circa 1.500 in più rispetto a oggi), ricostruzione però smentita da Palazzo Chigi. Si parla, poi, anche di una possibile chiusura dello storico stabilimento genovese.
Operai su silo ‘Auspichiamo risposte da incontro Todde-Giogetti’
Gelo e pioggia incessante.
Gli operai di Eurallumina hanno passato così la terza notte sul silo dello stabilimento di Portovesme a 40 metri di altezza, dove si sono asserragliati da lunedì per chiedere lo sblocco della vertenza e in particolare una soluzione immediata degli asset finanziari della proprietà UC Rusal, in stand by a causa delle sanzioni Ue. Ieri c’è stata la riunione del Comitato di sorveglianza finanziario del Mef ma non sono arrivate notizie da Roma, dove oggi, nel pomeriggio, la governatrice sarda, Alessandra Todde, incontrerà il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per discutere della vertenza entrate in vista della Finanziaria regionale da 10 miliardi. “Attendiamo risposte da Roma, anche se c’è un po’ di apprensione perché ci aspettavamo notizie in tempi più celeri – dice all’ANSA Enrico Pulisci della Rsa di Eurallumina – Ora auspichiamo che oggi possa arrivare una qualche notizia dall’incontro Todde-Giorgetti.
Certo, da ieri il meteo non ci aiuta: è pesante stare quassù tra la pioggia e il gelo che dovrebbe acuirsi nelle prossime ore. Resistiamo in attesa di una soluzione“
La protesta a Cornigliano dopo la rottura della trattativa a seguito del piano del governo. La Fiom: “ Chiediamo a Regione e Comune di farsi sentire e vedere”
Gli operai Ilva dopo l’assemblea interna sono usciti dalla fabbrica percorrendo la strada Guido Rossa con i mezzi diretti nel centro di Cornigliano per un presidio che viene annunciato come ad oltranza.
Alle 9 i lavoratori hanno bloccato via Cornigliano davanti alla stazione
“Il piano del governo porta alla chiusuradella fabbrica con la conseguenza che a Genova abbiamo mille posti di lavoro a rischio, mille famiglie che rischiano di perdere il loro sostentamento e la fine della siderurgia nella nostra città e nel paese”. Così Armando Palombo storico delegato Fiom Cgil della ex Ilva di Cornigliano e Stefano Bonazzi Segretario Generale Fiom Cgil Genova.
Poco tempo per intervenire – “Quel poco che si produce si vende subito a Taranto per fare cassa -spiega Palombo – Ovviamente gli stabilimenti del Nord, Genova in primis, poi Novi eccetera, non avranno più prodotto e quindi chiudono. Vuol dire che a Genova, perché adesso siamo a Genova, si perdono 1.000 posti di lavoro.E chiediamo agli enti locali, al Comune, alla Regione, di sospendere ogni attività come segno di solidarietà e di cominciare a trovare soluzioni serie a 1.000 posti di lavoro. Quindi non è più un problema del cassintegrato in più o cassintegrato in meno. Qua stanno chiudendo la siderurgia d’Italia”.
“Dal primo gennaio – proseguono Palombo e Bonazzi – saranno in 6 mila a livello nazionale a trovarsi in cassa integrazione e dal primo di marzo chiuderanno tutti gli impianti.”.
L’appello a Regione e Comune – Nicola ApicellaCoordinatore RSU Fiom CGIL: “Oggi c’è l’annuncio di 24 ore di sciopero. Noi abbiamo dichiarato l’occupazione della fabbrica. Con i nostri mezz andremo a Ponte Morigiano e aspetteremo lì. Qualcosa succederà. Chiediamo agli enti locali, Comune e Regione, non solo a solidarietà con comunicati, ma che sospendano le sedute e che si facciano vedere. E che comincino a pensare che Genova perde 1.000 posti di lavoro. Quindi, a chi annunciava piani fantasmagorici, oggi sul piatto c’è non un cassintegrato in più, ma 1.000 posti di lavoro”
L’aumento dei costi di produzione e la difficoltà di approvvigionamento dei materiali cruciali per le vetture, come i microchip, stanno spingendo la più grande casa automobilistica europea a tagliare decine di migliaia di posti di lavoro
L’industria automotive europea sta sicuramente vivendo un momento complicato, con diverse aziende costrette a rivedere il loro futuro industriale attivano un piano di licenziamenti massicci. È questa la strategia adottata anche dalla Volkswagen in Germania. L’aumento dei costi di produzione e la difficoltà di approvvigionamento dei materiali cruciali per le vetture, come i microchip, stanno spingendo la più grande casa automobilistica europea a tagliare circa 35mila posti di lavoro nelle sue dieci sedi tedesche entro il 2035.
Tagliare 20mila posti di lavoro entro il 2030 – L’indirizzo del colosso automobilistico è stato reso noto dal quotidiano tedesco “Handelsblatt”, che descrive nel dettaglio i prossimi passi della Volkswagen sulla base di dati ottenuti. Gli esuberi non avverranno tramite licenziamenti forzati, ma attraverso prepensionamenti incentivati e programmi di uscita volontaria. Le misure, frutto di un accordo raggiunto con le rappresentanze dei lavoratori, permetteranno all’azienda di raggiungere l’obiettivo prefissato di ridurre la sua forza lavoro in Germania da quasi 130mila a meno di 100mila unità. Una prima tranche di licenziamenti avverrà entro la fine del decennio, con l’eliminazione di 20mila posizioni lavorative in tutto il paese.
Le pessime performance del gruppo automobilistico – Il motivo di questi tagli si spiega guardando le pessime performance economiche del colosso automobilistico. Volkswagen ha registrato nel 2024 un calo degli utili di quasi un terzo rispetto all’anno precedente, passando da 17,8 miliardi a 12,4 miliardi di euro. Lo scorso anno, il gruppo ha venduto nove milioni di veicoli, segnando una diminuzione del 3 per cento rispetto all’anno precedente. L’utile operativo – si legge nel comunicato del gruppo –ha subito una contrazione del 15 per cento rispetto al 2023, influenzato principalmente dall’aumento dei costi fissi e dalle iniziative di ristrutturazione aziendale.
‘Stanziare subito i fondi necessari alla continuità operativa’
Assemblea permanente dei lavoratori Di Eurallumina di Portovesme nel Sulcis, che, “esasperati dall’inerzia istituzionale“, hanno deciso una clamorosa protesta: un gruppo di operai ha deciso di salire sul silo n.3, a circa 40 metri di altezza.
Cgil, Cisl e Uil sostengono questa nuova iniziativa di lotta e chiedono che Mimit, Csf, Mef e presidenza del Consiglio intervengano subito per “stanziare i fondi necessari alla continuità operativa di Eurallumina, come previsto dalla legge, per garantire il pagamento delle utenze, dei salari e delle fatture delle imprese terziste e assicurare la prosecuzione delle bonifiche ambientali“
Eurallumina, operai su un silo a 40 metri: «Il Governo intervenga»
Azione di protesta dei lavoratori: «Il Mimit ci convochi, c’è il rischio di conseguenze drastiche come liquidazione e fallimento»
Quattro operai dell’Eurallumina di Portovesme sono saliti nel silo 3, all’interno della fabbrica, a circa 40 metri di altezza. I lavoratori chiedono l’intervento immediato di Mimit, comitato di Sicurezza finanziaria, Mef e presidenza del Consiglio dei ministri, «per stanziare i fondi necessari alla continuità operativa di Eurallumina», si legge in una nota sindacale, «come previsto dalla legge, in modo da garantire il pagamento delle utenze, dei salari e della fatture delle imprese terze ad assicurare la prosecuzione delle bonifiche ambientali».
Eurallumina, operai a 40 metri su silo: “Mimit ci convochi” (Ansa)
Da due anni l’Eurallumina, di proprietà della russa Rusal, è sottoposta alle sanzioni decise dal Csf in seguito alla guerra in Ucraina: «La gestione finanziaria dello stabilimento, pari a oltre 20 milioni annui, è stata sostenuta fino a settembre dalla Rusal, mentre la normativa», sostengono i sindacati, «prevederebbe la gestione, anche finanziaria, da parte del Csf attraverso l’Agenzia del Demanio».
Ora che la Rusal ha sospeso i trasferimenti dei fondi all’Eurallumina, si attendono i fondi dal Mef per far fronte alle gestione. «C’è il rischio», dicono i sindacati, «di misure drastiche come liquidazione o fallimento».Da stamattina quattro operai stanno protestando a 40 metri di altezza, chiedendo l’intervento del Governo.
Lo fa sapere l’azienda in una nota parlando di “complessità delle condizioni del mercato italiano”. I sindacati: “I lavoratori non possono pagare scelte aziendali sbagliate”
Un piano di riorganizzazione annunciato dopo le voci di un possibile abbandono del Paese da parte dell’azienda. Carrefour Italia ha diffuso una nota in cui presenta un’operazione di riassetto della sede centrale di Milano, pronta a essere avviata. Qui, secondo il comunicato, ci sarebbero 175 esuberi.
“Complessità delle condizioni del mercato italiano” – L’obiettivo è quello di “accelerare ulteriormente il percorso di trasformazione del business, incentrato sul modello del franchising, e rilanciare la sostenibilità finanziaria e commerciale dell’azienda“, scrive la società. La riorganizzazione è una decisione legata “alla complessità delle condizioni del mercato italiano, all’interno del quale il settore della gdo si contraddistingue per una competizione intensa e frammentata, a fronte di un potere d’acquisto in diminuzione e una costante pressione sui margini, determinata da costi energetici, di logistica e aumento dei tassi di interesse“. Insomma, per la parte italiana del colosso francese le cose non vanno bene.
175 esuberi – Sono, dunque, 175 le risorse che verranno tagliate all’interno dell’head quarter, “gestite nel pieno rispetto delle normative vigenti e ricercando soluzioni che garantiscano il minore impatto sociale per i lavoratori coinvolti“, precisa Carrefour Italia.
Secondo i recenti dati, già analizzati da MilanoToday Dossier, dal 2019 al 2023 Gs (braccio operativo di Carrefour Italia) ha sopportato perdite nette cumulate di bilancio pari a 874 milioni di euro. Nel 2024 ci stati altri 93 milioni di euro di perdite.
Le reazioni dei sindacati – “La nota dell’azienda che ha annunciato l’intenzione di licenziare 175 dei circa 700 dipendenti della sede milanese, giunge inaspettata e aggrava un clima già di grande tensione delle ultime settimane“, scrivono i sindacati in risposta al gruppo francese.
“Si tratta di un licenziamento inaccettabile in un contesto di grande tensione che vede da anni Carrefour assumere scelte aziendali sbagliate nel nostro paese, secondo la denuncia di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil di Milano. Ci muoveremo immediatamente per aprire un confronto con l’azienda per tutelare i dipendenti coinvolti. Chiediamo di garantire l’occupazione e non scaricare sui dipendenti scelte aziendali sbagliate che hanno portato a uno stato di sofferenza economica che perdura ormai da anni. Senza risposte concrete alle nostre richieste, ci riserviamo ogni possibile iniziativa a tutela delle lavoratrici e lavoratori“, concludono.
Il Primo Maggio 2025 è dedicato al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. “Uniti per un lavoro sicuro”, questo lo slogan con cui in tutta Italia celebreremo la Festa delle lavoratrici e dei lavoratori, ricordando le tante conquiste del passato ma soprattutto quello che ancora dobbiamo conquistare (o continuare a difendere).
In primis la salute e sicurezza, oggetto anche di uno dei quesiti referendari su cui saremo chiamati al voto l’8 e 9 giugno. La morte nel peggiore dei casi, ma anche infortuni e malattie professionali restano una piaga del nostro tempo cui il sindacato confederale non smette di far sentire la propria voce, con aziende e istituzioni e attraverso gli rls nei posti di lavoro.
Nel 2024, nell’area metropolitana milanese, si sono verificati 44 incidenti mortali (1 ogni 8 giorni) e si sono contate 36.464 denunce di infortunio (10 al giorno) e 670 denunce di malattia professionale (2 al giorno).
Il corteo del Primo Maggio a Milano – A Milano l’appuntamento è in corso Venezia (altezza via Palestro), alle ore 9.30, per la partenza del corteo che proseguirà verso piazza San Babila, corso Matteotti, piazza Meda, via Case Rotte per arrivare in piazza della Scala, dove si terranno gli interventi dei delegati e delle delegate e dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Luca Stanzione, Giovanni Abimelech, Enrico Vizza.
Gli interventi sul palco saranno moderati da Nicoletta Prandi, giornalista di Radio Lombardia.
Alle ore 12 chiuderà la festa un concerto dei Matrioska.
L’8 e 9 giugno 2025 le cittadine e cittadini saranno chiamati a votare per 5 Referendum. La Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili i 4 quesiti referendari sul lavoro, per i quali sono state raccolte oltre 4 milioni di firme, e il referendum sulla cittadinanza, depositato in Cassazione con 637 mila firme.
QUALI SONO I REFERENDUM?
I REFERENDUM SUL LAVORO
1. Stop ai licenziamenti illegittimi
Quesito:«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»
Il PRIMO dei quattro referendum sul lavoro chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Sono oltre 3 milioni e 500mila ad oggi e aumenteranno nei prossimi anni le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Abroghiamo questa norma, diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo.
2. Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese
Quesito:«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»
Il SECONDO riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. In quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione. Obiettivo è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia la/il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite.
3. Riduzione del lavoro precario
Quesito:«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»
Il TERZO punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato. In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato.
4. Più sicurezza sul lavoro
Quesito:«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»
Il QUARTO interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1000 i morti, che vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratrici o lavoratori muoiono sul lavoro. Modifichiamo le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro.
REFERENDUM CITTADINANZA ITALIANA
5. Più integrazione con la cittadinanza italiana
Quesito:«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»
Il QUINTO referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Nel dettaglio si va a modificare l’articolo 9 della legge n. 91/1992 con cui si è innalzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni.
Il referendum sulla Cittadinanza Italiana non va a modificare gli altri requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza quali: la conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un consistente reddito, l’incensuratezza penale, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano e lavorano. Allineiamo l’Italia ai maggiori Paesi Europei, che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantisca ricchezza e crescita per l’intero Paese.
Il monito del presidente della Repubblica in occasione della Festa dei lavoratori: “L’impegno delle autorità va rafforzato”
In occasione del Primo Maggio, Sergio Mattarella, parla di lavoro e dell’annosa questione dei salari, ancora insufficienti, e delle morti bianche, che non accennano ad arrestarsi. In merito alle retribuzioni, il presidente della Repubblica spiega: “Sappiamo tutti come le questioni salariali siano fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso. Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita. Salari insufficienti sono una grande questione per l’Italia“.
“Equità per i salari dei migranti, si rispetti la Carta” – Mattarella lancia anche un monito contro il caporalato. “Il trattamento dei migranti – con salari che, secondo l’Oil, risultano inferiori di un quarto rispetto a quelli dei connazionali – se non con fenomeni scandalosi come il caporalato, va contrastato con fermezza. Il carattere della nostra società è a misura della dignità della persona che lavora, anche per rispettare l’articolo 36 della nostra Costituzione. ‘Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano’ ci ha ricordato Papa Francesco nella benedizione pasquale, il suo ultimo messaggio”.
“Intollerabile indifferenza per le morti sul lavoro” – Sulle morti sul lavoro, il Capo dello Stato sottolinea: “Sono una piaga che non accenna ad arrestarsi e che, nel nostro Paese ha già mietuto, in questi primi mesi, centinaia di vite, con altrettante famiglie consegnate alla disperazione. Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione. È evidente che l’impegno per la sicurezza nel lavoro richiede di essere rafforzato. Riguarda le istituzioni, le imprese, i lavoratori. Ringrazio Cgil, Cisl e Uil per aver scelto la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro come tema di un Primo maggio unitario“.
“Il dialogo con i sindacati è un tema fondamentale” – Mattarella ricorda poi che “il confronto tra le parti sociali, il dialogo favorito dalle istituzioni, è stato nella nostra storia – con intese dal valore epocale – un volano di progresso civile, sociale, economico. Il dialogo tra imprese e sindacati ha molti ambiti in cui può svilupparsi. Conviene sempre investire nel dialogo, aiuta a raggiungere mete di progresso, come è stato con l’invenzione, nel secolo scorso, dello Stato sociale. È questo un tema fondamentale nell’agenda pubblica“.
“Rischio dazi, effetti negativi sull’Italia” – Infine, sui possibili effetti negativi della guerra commerciale, il presidente della Repubblica dice: “Si affacciano nuovi rischi, derivanti dalle prospettive di ampio ricorso ai dazi, antica forma di prove di forza, che possono ostacolare il diritto all’accesso alle cure, alla salute, per ogni popolo del mondo, specialmente i più poveri e fragili. Prospettive che, inoltre, producono effetti negativi sull’economia globale. Effetti che possono interpellare anche il nostro Paese“.
La Hiab ha definitivamente deciso di chiudere il proprio stabilimento a Statte, in provincia di Taranto
Stabilimento Hiab di Statte (Foto TarantoToday)
Dopo una lunga agonia la Hiabha definitivamente deciso di chiudere il proprio stabilimento a Statte, in provincia di Taranto, quello in cui si producono gru e che conta oltre 100 dipendenti. A dare la notizia Ubaldo Pagano, deputato pugliese del Partito democratico a margine di una riunione plenaria tenuta sulla vertenza presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit).
Le opzioni – A farne le spese saranno i lavoratori dell’azienda. Per una trentina è arrivata una proposta di trasferimento presso lo stabilimento di Minerbio, in provincia di Bologna, a 800 chilometri di distanza da casa, che “vorrebbe dire stravolgere la serenità e la sostenibilità economica di intere famiglie“. Una proposta che “difficilmente potrebbe essere presa in considerazione da qualcuno dei lavoratori coinvolti“. L’altra opzione è l’utilizzo fino a esaurimento della cassa integrazione, che si tradurrebbe dopo 12 mesi nel ricorso all’indennità di disoccupazione, la cosiddetta Naspi.
Alla base della chiusura dello stabilimento di Statte non ci sarebbero “problemi di produzione o crisi aziendali di qualsiasi altro tipo – spiega Pagano -. Una decisione ancora più incomprensibile se si pensa al rifiuto dell’azienda di attivare per tempo il contratto di solidarietà grazie agli incentivi messi in campo dalla regione Puglia. Una soluzione che avrebbe consentito di contare su un tempo maggiore per la reindustrializzazione del sito e reimpiegare, così, tutti i lavoratori coinvolti, come suggerito proprio dalla regione“.
La soppressione della decontribuzione Sud – Cosa può aver spinto allora la Hiab alla delocalizzazione? Secondo il deputato dem dietro questa scelta “potrebbero esserci le recenti decisioni del governo Meloni e, in particolare, la soppressione della ‘decontribuzione Sud’ che ha rappresentato per diverso tempo un forte incentivo economico per investire nel Mezzogiorno. Se è d’obbligo manifestare tutta la mia solidarietà ai lavoratori coinvolti – conclude Pagano – dall’altra parte è improrogabile che il governo Meloni prenda atto delle devastanti conseguenze delle politiche economiche per il Sud“.
Indetta una manifestazione per domenica pomeriggio
“Ieri notte intorno alle 2, davanti alla fabbrica, un presidio sindacale di lavoratori che stanno protestando per ottenere contratti regolari di otto ore è stata aggredito da cinque persone arrivate con spranghe di ferro. Un fatto grave, ma che non ci stupisce perché abbiamo purtroppo già assistito a dinamiche del genere nel distretto. Abbiamo indetto una manifestazione per domenica e facciamo appello al territorio, ai comitati, alla società civile e al mondo dell’associazionismo per manifestare e reagire uniti a quest’aggressione squadrista e mafiosa”. È Francesca Ciuffi, rappresentante sindacale Sudd Cobas Prato Firenze, a fare il punto della situazione in merito allo sciopero che diversi operai pakistani stanno portando avanti da giorni dinanzi ad una fabbrica a conduzione cinese di Seano. La richiesta resta quella di ridurre l’orario di lavoro attuale (che per molti degli scioperanti sarebbe di dodici ore sette giorni su sette, stando a quanto fatto presente dai sindacalisti) ad otto ore giornaliere per cinque giorni a settimana.
Nelle ore successive all’aggressione che ha visto cinque manifestanti finire in ospedale per ricevere le cure del caso e il conseguente corteo improvvisato in centro a Prato, il gruppo è tornato a presidiare lo spazio dinanzi all’azienda di via Galilei (nella frazione del Comune di Carmignano) ma le trattative con la proprietà non sarebbero ancora decollate, ad oggi. Il sindacato ha intanto indetto per le 17:30 di domenica una “manifestazione antimafia” sempre nella zona industriale di via Galilei. Ma la situazione è in continua evoluzione.
Il Pd di Prato attacca il governo Meloni: “Tavolo sindacale aspetta risposte” – “Siamo di fronte a comportamenti barbari: non riuscendo a piegare i lavoratori alle logiche del profitto, si passa alla violenza per intimorire chi fa sciopero. Non solo dobbiamo pretendere dalle autorità competenti che intervengano e verifichino quanto denunciano i manifestanti, ma servono fatti. Il tavolo con i sindacati confederali aspetta ancora risposte dal governo per una prospettiva di sviluppo diversa – ha detto Aksel Fazio, responsabile lavoro del PD Prato – senza interventi lo sfruttamento dilagherà ancora. Dobbiamo rilanciare la centralità della responsabilità dei committenti, sanzioni penali per gli sfruttatori, il protocollo lavoro sicuro. E dobbiamo vedere il fenomeno per quello che è: un tema strutturale, che come tale va aggredito. I recenti episodi di violenza a Prato non sono fatti isolati, ma l’espressione di un sistema che genera profitti sullo sfruttamento dei lavoratori. Serve un cambio di rotta radicale, con un patto sociale contro lo sfruttamento che metta al centro la dignità del lavoro, e lanci il distretto in nuove prospettive di sviluppo. Prato può diventare sperimentazione per nuove modalità di contrasto sistemiche, fondate sulla responsabilità solidale e l’impatto sociale. Non solo solidarietà, ma fatti a tutela degli invisibili“.
La solidarietà del sindaco di Carmignano – Ieri nel pomeriggio i manifestanti hanno ricevuto la visita del sindaco di Carmignano, Edoardo Prestanti, che ha manifestato loro solidarietà anticipando l’intenzione di chiedere al prefetto di Prato la convocazione del tavolo sulla sicurezza. “Non si può stare in silenzio di fronte a questo modo di sfruttare il lavoro. Così come non si può assistere ad aggressioni squadristiche nei confronti di lavoratori che vogliono solo testimoniare le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Lo Stato tutto deve fare la sua parte – ha detto – c’è ormai una tendenza a comprimere i diritti dei lavoratori e rendere sempre più precario il mondo del lavoro. Chiederò al Prefetto di convocare a Carmignano il tavolo sulla sicurezza, è necessario che si provveda con azioni di verifica sullo sfruttamento nel mondo del lavoro. C’è bisogno di controlli, controlli, controlli e ancora controlli”.
Il consigliere di Giani scrive al prefetto – Valerio Fabiani, consigliere del presidente Eugenio Giani per lavoro e crisi aziendali, ha scritto al prefetto di Prato, Michela Savina La Iacona. “Occorre presidiare la situazione sul territorio a favore di un controllo di osservanza di norme e obblighi. In particolare, ritengo fermamente che debba essere tutelata la mobilitazione sindacale e che i lavoratori debbano essere messi in condizione di esercitare il proprio diritto costituzionale di sciopero in piena sicurezza”.
L’ex-candidato alla presidenza della Regione Toscana Tommaso Fattori: “Nel cuore del distretto della moda le “spranghe del made in Italy” hanno fracassato alcuni operai in sciopero e il sindacalista Luca Toscano. L’unica colpa degli operai delle pelletterie è chiedere di lavorare otto ore al giorno invece di dodici per cinque giorni la settimana invece di sette. “La prossima volta vi spariamo”, hanno aggiunto i cinque sgherri – tutti italiani – in pieno stile mafioso. Mentre le istituzioni balbettano, s’ingigantisce un’economia fatta di rapina e sfruttamento schiavistico a pochi chilometri dalle nostre case. I lavoratori in sciopero, ed è significativo che scioperino ancora una volta di domenica hanno indetto una manifestazione importantissima: “Rompiamo il silenzio, mettiamo la solidarietà contro l’omertà, accendiamo i riflettori sulle zone d’ombra, difendiamo insieme il diritto di lottare per lavorare 40 ore alla settimana e non più 84”.
Sudd Cobas: “Basta aggressioni mafiose verso chi sciopera”
Un’aggressione ai danni degli operai pakistani e dei sindacalisti che stavano protestando in via Galilei, a Seano, per chiedere migliori condizioni di lavoro. È quel che i rappresentanti di Sudd Cobas Prato Firenze hanno denunciato nelle scorse ore, facendo presente come ignoti armati di spranghe abbiano aggredito nella notte il picchetto di guardia dinanzi ad una delle imprese cinesi davanti alle quali era in atto la protesta “8×5 Strike Day”. Il bilancio parla a quanto pare di quattro feriti.
“Gli aggressori mentre si dileguavano hanno urlato “la prossima volta vi spariamo”. Questa volta gli aggressori erano italiani. Persone assoldate da un sistema che controlla il distretto e cerca di mettere a tacere i lavoratori e il sindacato che li organizza – hanno commentato i sindacalisti Cobas – lavoratori che lottano per il diritto di lavorare con dignità 40 ore a settimana invece che dodici ore al giorno sette giorni su sette. Appena avuto la notizia dell’assalto al picchetto e dei compagni in ospedale, i lavoratori delle Acca di Seano e di altre ditte sono entrate in sciopero per tutto il turno notturno”. A seguito dell’accaduto, la rimostranza si è spostata temporaneamente a Prato in centro storico, con un corteo improvvisato per le vie del centro. “Prato si deve svegliare: a essere aggrediti sono gli operai, sono gli invisibili che lavorano dodici ore al giorno nei capannoni – hanno concluso i sindacalisti – svegliamo la questura, la prefettura, il Comune. Basta aggressioni mafiose contro chi sciopera”.
I motivi della protesta – Le proteste riguardavano in origine almeno quattro imprese orientali: in quasi tutte queste ditte, fanno sapere i Cobas, nell’ultimo anno c’è stato almeno un controllo dell’ispettorato del lavoro che si è tuttavia risolto con sanzioni irrisorie o la stabilizzazione di alcuni lavoratori con contratti part-time (ai quali poi sarebbe stato imposto di lavorare tuttavia dodici ore al giorno, tutti i giorni). Ma con due di queste si è arrivati proprio nella tarda giornata di ieri ad un principio di intesa: la “Stireria Tang” di Prato (“Un pronto moda dove lavorano tre lavoratori che dopo anni di lavoro nero hanno avuto un contratto part time a seguito di un controllo dell’ispettorato del lavoro, ma che sono stati costretti a continuare a lavorare dodici ore al giorno per sette giorni, non hanno mai ricevuto una busta paga”, fanno sapere i sindacalisti) avrebbe accolto le proteste dei manifestanti. Obiettivo (quasi) raggiunto, sempre a Prato, anche per quanto riguarda la “Desy3” (“Una piccola logistica del tessile con lavoratori che lavorano da anni senza contratto, sempre lavorando dodici ore sette giorni”, secondo i Cobas): dopo trentasei ore di blocco totale, l’azienda avrebbe aperti alla trattativa per la regolarizzazione dei contratti. Ieri è arrivata un’intesa anche con la fabbrica “Zipper”, con la proprietà che ha accolto la richiesta “8×5”. L’ultimo “fronte” aperto resta quello di via Galilei Seano, dinanzi alla “Confezione Lin Weidong”.
Le reazioni della politica – Sull’argomento sono intanto intervenuti gli esponenti di Sinistra Progetto Comune Dimitrj Palagi ed Antonella Bundu, manifestando la propria solidarietà agli aggrediti. “C’è un intero ambito di criminalità ignorato o sottovalutato dal sistema politico e istituzionale – hanno detto – si tratta di chi agisce con violenza per garantire sfruttamento e lesione della dignità umana. Il tema non riguarda solo il comparto moda, ma è evidente la necessità di una scomoda riflessione sulla sostenibilità del nostro tessuto produttivo e sulle condizioni su cui si fonda, almeno in parte”.
Vasta operazione di vigilanza straordinaria nel settore agricolo del Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro insieme all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e l’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (Inps): l’operazione ha interessanto le province di Mantova, Modena, Latina, Caserta e Foggia. Sono state ispezionate complessivamente 109 aziende agricole di cui 62 presentavano delle irregolarità, mentre su 505 lavoratori controllati, 236 sono risultati irregolari, di cui 3 minorenni e 136 cittadini extracomunitari. Ventisette i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale. Comminate sanzioni per un importo complessivo pari a poco meno di 476.000 euro. Sono state inoltre deferite a vario titolo all’Autorità Giudiziaria 56 persone, di cui 3 per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, 46 per violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, 6 per violazione delle disposizioni del Testo Unico sull’Immigrazione ed una per furto di energia elettrica.
La società operativa del ramo italiano della maison di Lvmh è destinataria di una misura di prevenzione per presunto sfruttamento del lavoro di alcuni suoi fornitori. Nell’inchiesta, identificati 32 lavoratori irregolari
Una campagna Dior (courtesy Dior)
Una nuova inchiesta della procura di Milano coinvolge la catena produttiva fashion. Dopo Alviero Martini spa e Giorgio Armani operations, a finire commissariata è ora Manufactures Dior, la società operativa del ramo italiano della maison di Lvmh, attiva con 709 dipendenti nella fabbricazione di articoli da viaggio, borse e pelletteria con hub produttivi a Scandicci (Firenze) e Fossò (Venezia).
I carabinieri del Nil-Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno dato esecuzione a un decreto di amministrazione giudiziaria emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano nei confronti dell’azienda. Nell’inchiesta dei pubblici ministeri Paolo Storarie Luisa Baima Bollone, che hanno chiesto l’emissione della misura, il ramo produttivo della società è ritenuto «incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo» e di non aver messo in atto misure per prevenire il caporalato nelle aziende produttrici.
Stando agli atti dell’inchiesta sulla filiera di appalti di Dior, che MFF ha avuto modo di visionare, i militari del Nil hanno accertato, a partire da marzo 2024, l’esistenza di quattro opifici nelle province di Milano, Monza e Brianza in cui sono stati identificati 32 lavoratori irregolari di cui sette in nero e due clandestini. La produzione avveniva in «condizioni di sfruttamento» con paghe «sotto soglia», «orario di lavoro non conforme» e «ambienti di lavoro insalubri» oltre a «gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro».
Nello specifico, prosegue il documento, «è stata riscontrata la rimozione dei dispositivi di sicurezza che hanno lo scopo di impedire che il lavoratore, durante l’utilizzo delle stesse, possa entrare in contatto con i meccanismi mossi elettricamente o che pezzi del prodotto smerigliato possano essere proiettati negli occhi dell’operatore». In particolare, le informative dei carabinieri hanno rilevato le irregolarità in una società appaltatrice di Opera, nel milanese, gestita da una donna cinese e dal compagno colombiano, dove il 21 marzo scorso sono stati trovati 23 lavoratori, anche irregolari o in nero, all’intero di «camere da letto» sopra ai «laboratori produttivi».
Dagli atti si apprende inoltre che un modello di borsa acquistato da Dior a un «prezzo pari a 53 euro» da opifici cinesi veniva rivenduto «al dettaglio a 2.600 euro». Gli operai degli opifici clandestini che lavorano nella filiera di Dior sarebbero stati inoltre «preparati a dichiarare, in caso di controlli, di non essere impiegati nell’azienda, adducendo le più disparate ed inverosimili motivazioni circa la loro presenza all’interno dei locali della pelletteria», fanno sapere i pm. Alcuni lavoratori, tutti stranieri per lo più cinesi o asiatici, hanno infatti dichiarato di trovarsi nei dormitori abusivi per «effettuare un colloquio di lavoro» oppure un altro di «essere arrivato a Milano da Cesena il 10 marzo scorso e di dormire presso l’azienda perché conosce il titolare, ma non di lavorare in azienda».
«Nessun lavoratore», si legge nelle 34 pagine del decreto di amministrazione giudiziaria disposta per Manufactures Dior, «ha dato una spiegazione plausibile del perché dormisse in azienda». Le dichiarazioni, inoltre, «risultano in contrasto» con quelle rese da altri lavoratori e dipendenti delle società intermediarie tra gli opifici cinesi e il brand che «hanno affermato di aver visto i cittadini cinesi che, nella mattinata dell’ispezione, si trovavano al piano superiore dell’azienda, lavorare nel reparto produzione alla cucitura ed incollaggio delle pelli».
Alla fine l’Europa avrà una legge per tutelare i diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali, a partire dai rider. Iministri del Lavoro dell’Ue hanno dato il via libera alla direttiva proposta dalla Commissione europea dopo che Francia e Germania si sono a lungo opposte al testo concordato da Stati membri e Parlamento Ue.
Le nuove regole, che secondo le stime di Bruxelles dovrebbero riguardare 43 milioni di lavoratori entro il 2025, mirano a contrastare il fenomeno delle false partite Iva. Secondo diverse stime, citate dalla stessa Commissione Ue, i finti autonomi sarebbero 5,5 milioni sui 28 milioni di occupati totali nel settore nel 2022. Chi fa appello alla giustizia per far riconoscere il proprio status reale e i diritti connessi, si scontra spesso con normative poco chiare. Da qui, la necessità di fissare norme e criteri validi per tutta l’Europa.
Stop alle false partite Iva – Proprio su questo punto, l’iter della direttiva si era arenato per via dell’opposizione di alcuni governi, in particolare quello francese. La Commissione europea aveva proposto una serie di criteri validi per tutti i Paesi Ue in base ai quali è possibile stabilire se un lavoratore è dipendente o meno. L’ultima versione del testo prevedeva 5 criteri (dai limiti massimi sulla quantità di denaro che i lavoratori possono ricevere, alle restrizioni alla libertà di organizzare il lavoro e norme su aspetto o comportamento). Se almeno due di questi criteri erano soddisfatti, allora il rapporto lavorativo poteva essere classificato come subordinato.
Le pressioni di Francia e Germania hanno eliminato questi criteri fissi: saranno i singoli Stati a stabilire i propri criteri sulla base della “normativa nazionale” e dei “contratti collettivi vigenti“. Chiaramente, le scelte dei Paesi devono essere in linea con la “giurisprudenza della Corte di giustizia europea“, spiega in una nota il Parlamento Ue.
Al termine dei negoziati finali, resta però immutato il principio della “presunzione legale“: i governi dei 27 Stati Ue dovranno “stabilire una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale, con l’obiettivo di correggere lo squilibrio di potere tra la piattaforma e la persona che svolge il lavoro tramite piattaforma“. Se un contratto viene qualificato dalle autorità nazionali come subordinato (o se il lavoratore fa ricorso), spetterà all’azienda l’onere della prova, ossia di dimostrare che il rapporto contrattuale non è da lavoratore dipendente.
Algoritmi – La direttiva non si ferma ai contratti, ma affronta anche la questione degli algoritmi usati dalle piattaforme per monitorare i lavoratori e compiere delle scelte sul loro utilizzo. Le nuove norme obbligano le aziende a prevedere una “supervisione umana dei sistemi automatizzati per garantirne la conformità alle condizioni di lavoro” e danno ai lavoratori “il diritto di contestare le decisioni automatizzate, come la chiusura o la sospensione degli account“.
Inoltre, le piattaforme non potranno trattare dati sullo stato emotivo o psicologico di qualcuno o utilizzare strumenti di intelligenza artificiale per prevedere, ad esempio, se i lavoratori intendono aderire a un sindacato o scioperare. Le persone che lavorano attraverso le piattaforme manterranno il diritto di trasferire i propri dati da una piattaforma all’altra, garantendo la portabilità dei dati e la possibilità di spostarsi senza problemi tra le piattaforme.
Le reazioni – Dal governo italiano al Pd, passando per i sindacati, il via libera alla direttiva è stato accolto come un successo. “Un accordo storico quello raggiunto dal Consiglio Ue dei ministri del lavoro sui lavoratori delle piattaforme. Questo accordo va nella direzione della giustizia sociale e delle tutele per oltre 30 milioni di lavoratori“, ha detto Elisabetta Gualmini, europarlamentare dei democratici e relatrice per il Parlamenteo europeo della direttiva. Non condivide lo stesso entusiasmo il Movimento 5 stelle: “La direttiva europea sulla piattaforma dei lavoratori, così come emersa da un lungo ed estenuante braccio di ferro europeo, ne esce decisamente ammaccata se non monca – dice l’eurodeputata Tiziana Beghin – Il settore dei taxi viene incredibilmente esentato e sono stati stralciati i cinque criteri che affermavano il rapporto di subordinazione. Francia e Germania hanno voltato le spalle a milioni di lavoratori e in particolare ha sorpreso molto e in negativo la posizione del governo tedesco a guida socialista“, conclude Beghin.
Per due giorni – sabato 10 e domenica 11 giugno – l’edizione cartacea del Corriere della Sera non sarà in edicola; quella digitale non sarà aggiornata venerdì 9 e sabato 10 giugno: ecco le motivazioni del Comitato di redazione, e la risposta dell’editore.
L’assemblea dei giornalisti del Corriere della Sera ha bocciato l’ipotesi di accordo raggiunta dal Cdr dopo una trattativa con l’azienda per portare avanti le istanze della redazione e dopo la proclamazione di due giorni di sciopero. Uno sciopero che era stato deciso all’unanimità di fronte al rinnovato e reiterato peggioramento delle relazioni sindacali. Dopo mesi di confronto, infatti, l’azienda non aveva dato risposte alle nostre istanze: il rinnovo dell’accordo di smart working, il premio di risultato e l’aggiornamento professionale, messo in discussione dopo oltre vent’anni. Il tavolo si stava chiudendo con la proroga dello smart working per 12 mesi, un premio di risultato per il 2023 e una rimodulazione dell’aggiornamento professionale. Le risposte arrivate alla fine della trattativa tra Cdr e azienda, però, non hanno convinto l’assemblea che ha deciso, nella sua sovranità, di confermare i due giorni di sciopero dalle 00.01 di venerdì alla mezzanotte di sabato. Il Cdr ha presentato a maggioranza le dimissioni e, quindi, decade. – Il Cdr
Abbiamo trattato con il Comitato di Redazione (CdR) che è l’organismo delegato dall’assemblea per le relazioni sindacali. Abbiamo trovato un accordo con il Comitato di Redazione che non è stato successivamente approvato dall’assemblea. Ricordiamo che l’editoria è in un momento di grande trasformazione aggravato dall’aumento dei costi delle materie prime. In un momento come questo sarebbe fondamentale lavorare uniti con l’apporto delle migliori energie della redazione. Speriamo che i lettori capiscano la decisione assunta dall’assemblea. – L’Editore
Le forze dell’ordine hanno caricato i manifestanti che da 5 giorni chiedevano aumenti salariali fuori dal magazzino di Pieve Emanuele, in provincia di Milano
Si è concluso con 5 operai feriti il picchetto dei lavoratori della logistica del magazzino Coop di Pieve Emanuele, in provincia di Milano, che da 5 giorni manifestavano per chiedere aumenti salariali. I dimostranti, riuniti sotto le bandiere di Cisl e Sì Cobas, sono stati caricati dagli agenti della polizia di stato nel tentativo di allontanarli dall’ingresso dello stabilimento. Sul posto sono intervenuti i soccorritori della croce rossa, che hanno medicato i 5 contusi.
Milano, tensione ai cancelli dei magazzini Coop di Pieve: sgomberato picchetto Si Cobas – Il Fatto Quotidiano
Il Concerto del Primo Maggio è il più grande evento gratuito di musica dal vivo in Europa. Nato nel 1990, l’evento è promosso da CGIL, CISL e UIL e viene organizzato annualmente a Roma richiamando centinaia di migliaia di spettatori. Il Concerto viene anche trasmesso integralmente in diretta da RAI 3 e RAI Radio 2.
Una maratona musicale, un programma televisivo e un evento di piazzaallo stesso tempo, con la pretesa di accontentare tutti pur mantenendo alta la qualità e con uno sfondo di contenuti sociali sempre presente e vivido.
Trasversalità, coraggio e follia: Primo Maggio Roma
La particolarità del binomio Tv /Piazzaè in assoluto l’aspetto più affascinante di un evento che, forte di ben tre decenni di storia a tratti leggendaria, abbraccia ancora oggi un target di pubblico incredibilmente vasto e variegato.
La trasversalità artistica si traduce quindi in una varietà di pubblico che non ha eguali negli eventi musicali italiani, un format che riesce nell’impresa di coinvolgere tanto l’adolescente che balla sotto il palco, quanto lo spettatore più adulto comodamente seduto davanti alla televisione di casa.
È questa la vera forza e l’assoluta peculiarità del Concerto del Primo Maggio di Roma.
DA SAPERE – il concerto è a ingresso gratuito – inizio evento ore 15:00 – l’accesso in piazza è libero e consentito fino ad esaurimento posti – per accedere al Concerto del Primo Maggio 2023 non è richiesta prenotazione
La mappa di Statista mostra una panoramica dello stato dei diritti dei lavoratori nel mondo, utilizzando i dati compilato dalla Confederazione internazionale dei sindacati (ITUC).
Secondo la loro analisi, il Bangladeshè stato classificato nella categoria più bassa per i diritti dei lavoratori dalla Confederazione internazionale dei sindacati (ad eccezione dei luoghi in cui è stata identificata una rottura generale dello stato di diritto). L’organizzazione ha anche affermato che altri Paesi come Bielorussia, Brasile, Colombia, Egitto, Swaziland, Filippine, Guatemala, Myanmar e Turchia non hanno un adeguato livello di diritti dei lavoratori.
L’ITUC ha classificato 148 nazioni in base al diritto alla libertà di associazione, al diritto alla contrattazione collettiva e al diritto di sciopero, assegnando a ciascuna nazione un punteggio da 1 a 5+, dove 1 sta per sporadiche violazioni dei diritti e 5+ sta per nessuna garanzia di diritti dovuti al crollo dello stato di diritto.
Come mostra questa infografica, solo pochi Paesi selezionati hanno ricevuto il marchio verde di approvazione, tutti in Europa. Il resto del mondo mostra un quadro meno promettente, con l’87% dei Paesi che ha violato il diritto di sciopero dei propri lavoratori nel 2022, rispetto al 63% del 2014. Secondo il rapporto, lo scorso anno i sindacalisti sono stati assassinati in 13 Nazioni, con la Colombia maglia nera.
Lo scorso anno, il Medio Oriente e il Nord Africa hanno ricevuto il peggior punteggio delle regioni nel Global Rights Index con una media di 4,53. Seguono l’Asia-Pacifico con 4,22, l’Africa con 3,76, le Americhe con 3,52 e l’Europa con 2,49. La regione Asia-Pacifico ha visto il suo rating medio peggiorare leggermente nel 2021 da 4,17 a 4,22 l’anno successivo.
Secondo il rapporto, i lavoratori hanno subito violenze nel 43% dei Paesi della regione Asia-Pacifico, rispetto al 35% nel 2021. In Bangladesh, gli scioperi dei lavoratori sono stati accolti con brutalità dalle autorità, con almeno cinque morti, mentre i tentativi di formare i sindacati sono stati chiusi.
Anche l’India e ilPakistanhanno assistito alla brutalità della polizia contro i lavoratori, mentre le autorità di Hong Kong hanno represso i sindacati e le organizzazioni a favore della democrazia e le violazioni dei diritti umani sono continuate inMyanmar. In Cina, le minoranze perseguitate sono state arrestate dalle autorità e costrette ai lavori forzati per alimentare l’industria dell’abbigliamento.
L’ITUC invia questionari ai sindacati nazionali di tutto il mondo per denunciare le violazioni dei diritti dei lavoratori. Questi vengono registrati ogni anno da aprile a marzo e verificati. Ogni nazione viene quindi analizzata rispetto a 97 indicatori basati sulle convenzioni e sulla giurisprudenza dell’ILO per creare un indice che rifletta le violazioni dei diritti dei lavoratori nella legge e nella prassi.
La clamorosa protesta è stata messa in atto per il caro energia e per la chiusura di quasi tutti gli impianti della Portovesme srl che metterebbe a rischio 1300 dipendenti
Quattro lavoratori della Portovesme srl, nel Sulcis, si sono asserragliati sulla ciminiera dell’impianto Kss a 100 metri di altezza. La clamorosa protesta, corredata da un comunicato, è stata messa in atto per porre in modo forte il tema del caro energia e della fermata di quasi tutti gli impianti della Portovesme srl che metterebbe a rischio 1300 buste paga.
Nel frattempo da ieri i lavoratori degli appalti sono in assemblea permanente, nel piazzale della Portovesme srl, con presidio nella portineria degli appalti, dove sono state anche piazzate alcune tende.
«Questo non è un colpo di testa, ma è un’azione a sostegno delle vertenze e delle iniziative messe in atto sino a ora dalle Rsu e dai sindacati. Noi a questo punto abbiamo la necessità di avere un incontro urgente al ministero per aprire un confronto nazionale con tutti gli interlocutori seduti allo stesso tavolo e trovare una soluzione subito sul fronte energia. Non bastano le rassicurazioni, ma per farci scendere servono impegni seri e forti», commentano i lavoratori .
I sindacati. «Solidarietà ai lavoratori che hanno intrapreso questa iniziativa a difesa del lavoro. È evidente che il tema da risolvere è quello dell’energia, purtroppo registriamo nessun passo avanti delle istituzioni. Condividendo il documento dei lavoratori chiediamo con la massima urgenza un incontro con il ministro competente», dicono Emanuele Madeddu Filctem-Cgil, Vincenzo Lai Femca Cisl e Pierluigi Loi Uiltec Uil.