Il velivolo è stato visto cadere alle 8.35 in località Le Prese. Impervio il luogo dell’incidente
È precipitato in Valtellina un elicottero con quattro persone a bordo, tra queste una ragazza di 27 anni ma sarebbero state tirate fuori vive dagli operatori del 118.Il velivolo stava sorvolando la località Le Prese nel comune di Lanzada, in provincia di Sondrio quando è scattato l’allarme: alle 8.35 l’elicottero è stato visto cadere.
Subito è scattato l’intervento dei vigili del fuoco ma il luogo dell’incidente è impervio. Sul posto anche i carabinieri di Sondrio, i soccorsi di Areu 118 anche con l’eliambulanza e il soccorso alpino e speleologico. Il velivolo era impegnato nei lavori di ripristino dopo la frana del 12 novembre in Valmalenco poi avrebbe urtato uno sperone di roccia e sarebbe caduto.
E’ stata Areu a confermare che non ci sono persone decedute, ma che gli occupanti del velivolo hanno riportato solo lievi ferite: a bordo tecnici e operai che sorvolavano una zona impervia interessata da interventi di messa in sicurezza dopo una recente frana.
Valtellina, precipita elicottero con quattro persone a bordo: si cercano i passeggeri
Il velivolo è stato visto cadere alle 8.35 in località Le Prese. Impervio il luogo dell’incidente
È precipitato in Valtellina un elicottero con quattro persone a bordo, tra queste un ragazza di 27 anni.Ilvelivolo stava sorvolando la localitàLe Prese nel comune di Lanzada, in provincia di Sondrio quando è scattato l’allarme: alle 8.35 l’elicottero è stato visto cadere.
Subito è scattato l’intervento dei vigili del fuoco ma il luogo dell’incidente è impervio. Sul posto anche i carabinieri di Sondrio, i soccorsi di Areu 118 anche con l’eliambulanza e il soccorso alpino e speleologico. Nessuna notizia, al momento, delle quattro persone a bordo.
Lanzada, cade elicottero in località Le Prese: soccorsi in azione
Incidente aereo questa mattina attorno alle 8,30 a Lanzada, in località Le Prese: un elicottero di Eliossola con a bordo quattro persone è precipitato in una zona impervia, nello stesso punto dove, alcuni giorni fa, si è verificata la frana che ha spazzato via un tratto di strada.
I soccorsi – Massiccia la macchina dei soccorsi che si è messa in moto: i vigili del fuoco del Comando provinciale di Sondrio e i vigili del fuoco volontari di Chiesa in Valmalenco stanno intervenendo con più squadre.
Impegnati nelle operazioni di soccorso anche i tecnici della stazione della Valmalenco del Soccorso Alpino, il Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, diverse ambulanze, un’auto medica, i carabinieri della Compagnia di Sondrio e l’elisoccorso di Areu Sondrio. Come detto dovrebbero essere quattro le persone coinvolte nell’incidente, anche se al momento non si conoscono le loro condizioni.
Il versante dove si è verificato l’incidente è lo stesso interessato dalla frana di alcuni giorni fa
Il ricorso contro l’articolo 18 che vieta totalmente le infiorescenze. Le associazioni di categoria: “La canapa industriale è una filiera agricola che crea lavoro, investimenti e innovazione. Merita certezza del diritto, non oscillazioni ideologiche”
Il decreto Sicurezza e il suo divieto di cannabis light andranno davanti alla Consulta. Il gip di Brindisi ha infatti deciso di sollevare una questione di costituzionalità e di rimettere alla Corte costituzionale l’articolo 18 del decreto approvato lo scorso aprile (e convertito in legge a giugno) che vieta interamente le infiorescenze di canapa e i suoi derivati(dall’importazione alla detenzione, dalla lavorazione alla distribuzione, dal commercio al trasporto fino alla vendita al pubblico e al consumo). Il ricorso alla Consulta nasce da un sequestro a Brindisi di cannabis light, con una percentuale di Thc inferiore allo 0,5%, a un imprenditore agricolo che aveva prodotto in Bulgaria, importato la merce in Italia per poi rivenderla all’estero.
“È con grande soddisfazione professionale che accolgo la decisione del gip di Brindisi di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 decreto Sicurezza – spiega l’avvocato Lorenzo Simonetti, che ha seguito il caso -. La canapa industriale deve e può essere prodotta nella sua interezza: la questione di legittimità costituzionale mette un freno al recente divieto penalmente rilevante imposto dal governo italiano. Adesso l’obiettivo è fare in modo che anche altri giudici di merito e di legittimità riconoscano come il divieto penalmente rilevante sia incostituzionale e, quindi, o disapplicano la norma o sollevano la presente questione di legittimità”.
Quello brindisino è solo l’ultimo caso di messa in discussione di uno dei punti più contestati del pacchetto securitario fortemente voluto dal governo Meloni – ma l’ultima parola, per la prima volta in questi mesi, spetterà ai giudici costituzionali – dopo una serie di pronunce, quando in più di un occasione i tribunali hanno spesso disposto scarcerazioni e restituzione della merce sequestrata. Parallelamente, il Consiglio di Stato ha già rinviato alle Sezioni europee le tabelle e il divieto sulle infiorescenze, rimettendo quindi alla Corte di giustizia dell’Unione europea la compatibilità del divieto italiano con le norme europee.
Soddisfatte le associazioni di categoria, in attesa della pronuncia della Consulta: “Il messaggio giurisprudenziale è coerente con numerose decisioni recenti: la coltivazione di canapa industriale resta lecita e l’eventuale intervento penale deve rispettare offensività, proporzionalità e base tecnico-scientifica. In una parola: o la canapa industriale è legale, oppure il divieto generalizzato è incostituzionale o in contrasto con l’ordinamento europeo. Ciò che diciamo da anni, oggi, lo dicono i giudici.. Richiediamo – proseguono – una posizione limpida, non chiediamo ‘zone franche’: chiediamo regole chiare, applicabili e controllabili, fondate su evidenze e rispettose dei principi costituzionali. Chiediamo – aggiungono – una moratoria operativa su sequestri, distruzioni e confische automatiche finché pende il giudizio di costituzionalità; un tavolo tecnico interministeriale con filiera e comunità scientifica per definire parametri, tracciabilità, etichettatura e controlli; linee guida uniche per forze dell’ordine e procure, per evitare prassi disomogenee che paralizzano attività lecite e generano contenziosi inutili. La canapa industriale è una filiera agricola che crea lavoro, investimenti e innovazione: merita certezza del diritto, non oscillazioni ideologiche. Continueremo a fare la nostra parte con rigore tecnico, dialogo istituzionale e responsabilità, perché regolare bene è sempre meglio che vietare male”.
Le case di moda compaiono nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini come committenti che affidano la produzione ad appaltatori e subappaltatori che operano violando le leggi sul lavoro e sulla sicurezza
Da Versace a Gucci, da Prada a Dolce&Gabbana, salgono a 13 i brand della moda di lusso coinvolti a vario titolo nelle inchieste della Procura di Milano sul caporalato lungo le filiere del made in Italy. Dall’alba fino alla sera di mercoledì il pubblico ministero Paolo Storari, con i carabinieri del Nucleoispettorato del lavoro, ha notificato ordini di consegna documenti a Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating. Le case di moda compaiono nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini come committenti che affidano la produzione ad appaltatori e subappaltatori che operano violando le leggi sul lavoro e sulla sicurezza.
In ciascun atto la Procura indica i fornitori critici già individuati nella filiera del singolo brand, il numero di lavoratori trovati in condizioni di sfruttamento e stato di bisogno e gli articoli del marchio sequestrati negli opifici, stoccati e pronti a tornare alla casa madre per essere immessi sul mercato. Agli stessi marchi viene chiesto, per ora su base volontaria, di consegnare i propri modelli organizzativi di prevenzione e gli audit interni o commissionati ad advisor e consulenti, strumenti che sulla carta dovrebbero impedire la commissione dei reati. È una formula “light” che concede tempo alle aziende per eliminare i caporali dalle linee di produzione e ristrutturare la catena di appalti e subappalti, evitando per il momento le pesanti misure di amministrazione giudiziaria.
Questo approccio più morbido arriva dopo le polemiche delle scorse settimane con Tod’seDiego Della Valle, nel mirino di un’inchiesta in cui Tod’s spa è indagata con l’accusa di aver agito nella piena consapevolezza propria e dei propri manager che certificano le linee di produzione degli appaltatori. Davanti al giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro, per la richiesta di interdittiva pubblicitaria, Tod’s e Della Valle si sono detti disponibili a collaborare con l’autorità giudiziaria per la “dignità” di tutti i lavoratori. Ma la linea della Procura potrebbe irrigidirsi con richieste di commissariamento e interdittive qualora i marchi non modificassero l’attuale assetto degli appalti e un’organizzazione del lavoro ritenuta illegale.
La scelta di usare lo strumento delle misure di prevenzione non è nuova: dal marzo 2024 il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per Alviero Martini spa, Armani Operation, Manufacture Dior, Valentino Bags LabeLoro Piana di Louis Vuitton, società non indagate ma ritenute avere agevolato in modo colposo e inconsapevole lo sfruttamento. Il quadro si è poi aggravato con il caso Tod’s, dove l’accusa ipotizza invece una piena consapevolezza del sistema degli appalti. Che i casi scoperti non fossero isolati era chiaro fin dal primo commissariamento di Alviero Martini, in un’indagine partita da un fornitore cinese di Trezzano sul Naviglio (Milano), la Crocolux, dovenel 2023 un ventiseienne del Bangladesh è morto nel suo primo (presunto) giorno di lavoro, mentre i datori tentavano di regolarizzarlo presso l’Inps dopo l’incidente letale.
Secondo quanto messo a verbale nel 2024 dal direttore del prodotto di Alviero Martini, Crocolux sarebbe stata “appaltatrice anche di numerosi marchi del lusso mondiale”. Nelle tre ultime ispezioni condotte a novembre 2025 dai carabinieri in tre opifici toscani al servizio della produzione anche di Tod’s, dove sono stati rinvenuti fino a sette livelli di sub-appalto, sono state sequestrate borse dei marchi Madbag, Zegna, Saint Laurent, Cuoieria Fiorentina e Prada. Il cuore del sistema resta la compressione estrema di costi e diritti: dagli atti emerge come la merce di pregio venga prodotta a poche decine di euro e rivenduta al dettaglio a diverse migliaia, con ricarichi fino al 10.000%.
Le testimonianze raccolte in un anno e mezzo di indagini mostrano la portata trasversale del fenomeno lungo le filiere globali della moda. Un lavoratore ha dichiarato che l’azienda in cui era impiegato assemblava cinture per marchi comeZara, Diesel, Hugo Boss, Hugo Boss Orange, Trussardi, Versace, Tommy Hilfiger, Gucci, Gianfranco Ferré, Dolce & Gabbana, Marlboro, Marlboro Classic, Replay, Levis “e altre che al momento mi sfuggono”. Alcuni di questi brand risultano oggi tra i destinatari delle richieste di esibire documentazione da parte del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia milanese.
Già dal 2015, e con maggiore intensità dal 2017, i carabinieri per la tutela del lavoro segnalavano ai giudici anomalie sempre più gravi: all’interno di laboratori-dormitorio abusivi a gestione cinese, dove vengono sistematicamente violate le regole su igiene, sicurezza, retribuzioni, buste paga e orari, compariva sempre più spesso merce di grandi marchi internazionali. Fino alle più recenti inchieste sulla moda e alle misure di prevenzione adottate in base al codice antimafia, nessun magistrato aveva però “riavvolto il filo” risalendo alla committenza finale del prodotto. È proprio questa inversione di prospettiva che Paolo Storari definisce, nei convegni e nelle audizioni pubbliche, una scelta di “politica giudiziaria”: riportare al centro della responsabilità l’intera filiera del lusso, dai capannoni clandestini fino alle vetrine delle boutique.
Il dramma nella struttura Brucoverde: il piccolo avrebbe avuto un arresto cardiaco durante il riposo pomeridiano. Il sindaco Guerra: “Siamo sconvolti”. Indagini in corso
Un bimbo di tredici mesi è morto, nel pomeriggio, in un asilo nido di Parma, il Brucoverde, nel quartiere San Leonardo. A quanto si apprende il piccolo avrebbe avuto un arresto cardiocircolatorio durante il riposo pomeridiano. Dopo i primi tentativi di rianimarlo, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale dove è stato constatato il decesso. Sul caso sono in corso indagini per comprendere i contorni della vicenda.
La tragedia è avvenuta intorno alle 15.30. Secondo quanto ricostruito finora il piccolo faticava a respirare: il malessere è apparso subito gravissimo, le maestre sono accorse ed è stato chiamato il 118. I sanitari hanno cercato di rianimare il bimbo per quasi un’ora, poi è stato intubato e portato al Maggiore di Parma dove ha cessato di vivere quindi minuti dopo il ricovero.
“Siamo sconvolti da quanto accaduto. Una giovane vita spezzata così d’improvviso spezza il cuore e lascia senza parole“, dice il sindaco di Parma Michele Guerra. “Ci stringiamo intorno alla famiglia – prosegue il sindaco – in questo momento di dolore enorme e siamo vicini al personale del nido e alle famiglie del Brucoverde in questo momento terribile“. L’assessora ai Servizi educativi del Comune, Caterina Bonetti, si è recata personalmente nella struttura: “È un dolore enorme per la nostra comunità. Ci stringiamo alla famiglia”. Sul posto anche pattuglie della Questura e della polizia locale.
Ilconsigliere Sorgia: “È inaccettabile che nel 2025 la Sardegna sia ancora ostaggio di una continuità territoriale che non funziona e che, nei fatti, nega il diritto alla mobilità dei cittadini sardi”
Crisi voli da e per la Sardegna: continuità territoriale allo sbando e sardi penalizzati a Natale. “È inaccettabile che nel 2025 la Sardegna sia ancora ostaggio di una continuità territoriale che non funziona e che, nei fatti, nega il diritto alla mobilità dei cittadini sardi”. Così il consigliere regionale Alessandro Sorgia commenta la situazione drammatica dei collegamenti aerei tra il continente e l’isola in vista delle festività natalizie. I voli sono sold out per il weekend prenatalizio: sabato 20 e domenica 21 dicembre non c’è un solo posto disponibile, a qualsiasi orario. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi la situazione non migliora. Chi prova a posticipare scopre che anche il 22 e il 23 dicembre è disponibile un unico volo, sempre alle 8:50, mentre alla vigilia di Natale si parte solo alle 21:10. Una vera e propria corsa a ostacoli per chi vuole tornare a casa. “Di fronte a questa vergogna – prosegue Sorgia – le alternative sono due: rinunciare alle feste in famiglia o affidarsi alle compagnie low cost, pagando cifre folli. Con Ryanair, tra andata e ritorno, non si spenderanno meno di 300 euro. È questa la continuità territoriale che ci avevano promesso? È questa la garanzia di mobilità per i sardi?” Il consigliere regionale chiede un intervento immediato della Regione: “Non possiamo continuare a subire questa umiliazione ogni anno. La Sardegna non è una Regione di serie B: pretendiamo rispetto e soluzioni concrete, non slogan”.
Il commando è entrato in azione all’alba lungo l’A2 tra gli svincoli di Bagnara Calabra e Scilla
I chiodi sull’asfalto e le auto incendiate per rallentare e isolare il portavalori. Poi gli spari e infine la fuga con, a quanto pare, due milioni di euro. Scene da Far West all’alba lungo l’A2 tra gli svincoli di Bagnara Calabra e Scilla dove un commando ha assaltato un furgone della società Sicurtransport.
L’assalto in galleria – L’assalto è avvenuto all’interno di una galleria in direzione nord. La banda avrebbe sparso chiodi lungo la carreggiata e dato alle fiamme due auto poste tra la corsia di marcia e quella di sorpasso. I malviventi a questo punto sarebbero riusciti a raggiungere il furgone portavalori sparando diversi colpi. Da ciò che è emerso, sarebbero riusciti a scappare con due milioni di euro. Non ci sarebbero feriti.
Sul posto sono intervenute diverse volanti dei carabinieri e della polizia mentre i vigili del fuoco si sono occupati dello spegnimento delle fiamme. Per più di un’ora il traffico in direzione Salerno è stato paralizzato.
Reggio Calabria, assalto a portavalori: bottino da due milioni di euro
Chiodi posizionati sull’asfalto e due auto incendiate dai banditi per isolare la strada
Le auto date alle fiamme
Ammonterebbe a due milioni di euro il bottino trafugato dai malviventi che, all’alba di questa mattina, hanno assaltato un portavalori lungo l’autostrada A2, tra gli svincoli di Scilla e Bagnara, vicino Reggio Calabria. Ad agire sarebbe stato un commando che, secondo una prima ricostruzione, sarebbe riuscito a isolare la zona spargendo chiodi sull’asfalto e dando alle fiamme due auto in mezzo alle corsie per interdire l’accesso agli altri veicoli. L’assalto al portavalori è stato compiuto all’interno della galleria. Esplosi anche alcuni colpi d’arma da fuoco, fortunatamente senza feriti. Sul posto, oltre ai vigili del fuoco intervenuti a domare le fiamme, carabinieri e polizia, che indagano sull’accaduto. La circolazione autostradale è rimasta bloccata per oltre un’ora in direzione Salerno.
La madre: ‘Ha bisogno di voi’. Oggi un evento a Milano
Alberto Trentini
n anno senza Alberto Trentini, il cooperante veneziano di 46 anni detenuto in un carcere di Caracas.
Trecentosessantacinque giorni praticamente senza contatti con l’Italia, tranne rare eccezioni, e senza conforti lì in Venezuela. Senza accuse, soprattutto: il processo a suo carico non è mai stato formalizzato e l’accusa parla di una generica “cospirazione”.
Oggi sabato 15 novembre, proprio in occasione del suo arresto, avvenuto il 15 novembre 2024, ci sarà un evento a Milano: una conferenza stampa fissata alle 12 nella sala stampa del Comune di Milano per una nuova mobilitazione, affinché Alberto venga liberato.
L’incontro è stato preceduto da un nuovo appello della madre del cooperante, Armanda Colusso Trentini. “È passato un anno da quando Alberto è stato arrestato in Venezuela, un anno di attesa insopportabile per lui e per noi” ha scritto mamma Armanda sulla prima pagina di Repubblica. “Domani ci incontreremo a Milano per parlare ancora una volta di lui. E chiedo a voi tutti di non stancarvi mai di farlo, perché solo una forte pressione mediatica può convincere chi ha il potere ad agire e riportarlo finalmente a casa. Alberto ha dedicato la sua vita agli altri e ora è lui ad aver bisogno di voi: scrivete, parlatene, insistete, perché chi deve decidere lo faccia senza più tentennamenti, come è successo per altri nostri connazionali“.
Alberto lavorava con la ong francese per disabili ‘Humanity and Inclusion’ e ha dedicato la sua vita agli altri. Come hanno ricordato in una nota gli organizzatori dell’evento milanese, “ha un’esperienza pluridecennale nel campo della cooperazione internazionale, ha operato in più occasioni in zone di crisi e vari territori del mondo portando le sue competenze“. Davvero una vita per gli altri, dunque, e ora è giusto che “gli altri” si mobilitino per salvargli la vita, visto che “dal momento del suo arresto – si legge ancora nella nota – Alberto è rinchiuso in carcere e ha potuto usufruire di rarissimi e brevissimi contatti con la famiglia, gli avvocati e i rappresentanti consolari“. All’incontro di domani, coordinato dal presidente dell’Associazione Articolo 21 Beppe Giulietti, parteciperanno la madre di Alberto e l’avvocata Alessandra Ballerini. Saranno presenti anche Paolo Perucchini, presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, e Riccardo Sorrentino, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.
Ecco una sintesi della storia di Alberto Trentini, cooperante italiano detenuto nelle carceri venezuelane:
Chi è: Alberto Trentini è un operatore umanitario italiano che lavora per l’ONG Humanity & Inclusion, specializzata nell’assistenza a persone con disabilità.
Arresto: È stato fermato il 15 novembre 2024 mentre viaggiava da Caracas a Guasdualito.
Dove è detenuto: È rinchiuso nel carcere El Rodeo I, nel distretto di Miranda, alla periferia di Caracas.
Accuse: Le autorità venezuelane lo accusano di “cospirazione” o “terrorismo”, ma secondo la famiglia e i suoi avvocati non sono mai state formalizzate imputazioni chiare.
Condizioni di detenzione:
Nei mesi iniziali è stato tenuto in isolamento.
Ha potuto chiamare la sua famiglia solo dopo diversi mesi: la prima telefonata ai genitori è avvenuta a maggio 2025.
Ha ricevuto una visita dell’ambasciatore italiano dopo circa 10 mesi.
Intervento internazionale:
La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha concesso misure cautelari su suo favore, indicando che la sua situazione rappresenta un rischio grave per la sua integrità.
L’Italia ha mobilitato la diplomazia: è stato nominato un inviato speciale per seguire il caso e ci sono appelli parlamentari per il suo rilascio.
Mobilitazione familiare: La madre di Trentini, Armanda Colusso, ha lanciato appelli pubblici e ha chiesto più pressione diplomatica affinché venga liberato.
Posizione del governo venezuelano: Secondo Caracas, Trentini “ha un avvocato ed è sotto processo”, e le sue condizioni sarebbero rispettate.
Criticità: Il carcere El Rodeo è noto per le condizioni problematiche e per denunce su violazioni dei diritti umani.
L’industria del riciclo plastica annuncia la sospensione degli impianti, mettendo a rischio la gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata in Italia
«Viste le mancate misure urgenti per salvare il comparto, l’industria privata del riciclo, dopo anni di sopravvivenza, si arrende: da oggi fermiamo gli impianti». Così Walter Regis, presidente di Assorimap – l’associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche che rappresenta il 90% della filiera – annuncia la misura estrema: «Lo facciamo con senso di responsabilità, consapevoli delle ripercussioni sull’intero Paese, ma continuare a produrre con perdite insostenibili, è ormai impossibile».
Secondo Assorimap, gli incontri – prima al ministero dell’Ambiente l’8 ottobre scorso e poi a quello del Made in Italy il 23 ottobre – non sono serviti ad attivare gli interventi necessari per salvare il comparto.
Le mancate misure – «Sono passati quasi due mesi dall’ultimo appello al ministroPichetto Fratine più di un mese dal tavolo convocato dal ministero dell’Ambiente con la promessa di una nuova convocazione operativa entro i primi di novembre, che ad oggi non è avvenuta – ricorda Regis – Quello che denunciavamo a ottobre non era un vano avvertimento, come non lo è questo annuncio di stop degli impianti. Siamo di fronte a un’emergenza nazionale che non possiamo affrontare da soli».
Il blocco degli impianti di riciclo privati porterà a un effetto domino immediato, paralizzando il sistema nazionale dei rifiuti.
Rischi per la raccolta – «I piazzali dei centri di stoccaggio e di selezione sono già stracarichi e ai limiti autorizzativi previsti. Se noi riciclatori smettiamo del tutto di processare i lotti, il sistema di selezione si bloccherà nel giro di qualche settimana. A quel punto, non ci sarà più spazio per conferire la plastica raccolta in modo differenziato dai cittadini», spiega Regis.
Già negli scorsi mesi Assorimap aveva lanciato l’allarme, presentando dati drammatici sul tracollo del settore: utili di esercizio crollati dell’87% dal 2021, passando da 150 milioni di euro a soli 7 milioni nel 2023, con unaproiezione verso lo zero per il 2025.
Il fatturato delle aziende, dal 2022, ha perso il 30%. Una crisi condivisa da tutta la filiera, stretta tra i costi dell’energia – i più alti d’Europa – e la concorrenza insostenibile delle importazioni extra-Ue di plastica vergine e riciclata a prezzi stracciati.
Le soluzioni – Le soluzioni proposte da Assorimap al Mase e ancora sul tavolo per superare la crisi, partono dalla richiesta di anticipo al 2027 dell’obbligatorietà del contenuto di plastica riciclata negli imballaggi e spaziano dal riconoscimento dei crediti di carbonio per chi produce materia prima seconda sino ad arrivare all’estensione dei certificati bianchi, passando per maggiori controlli sulla tracciabilità delle importazioni fino ad arrivare a sanzioni efficaci. «Salvare la filiera del riciclo meccanico made in Italy è essenziale per la transizione ecologica e l’autonomia strategica del Paese. Ma servono fatti, e servono subito, perché non possiamo assumerci l’onere della gestione dei rifiuti in plastica di un intero Paese», conclude Regis.
Entrambi, uno settantenne e uno settantottenne, portati all’ospedale Molinette in codice rosso. Ma non ce l’hanno fatta
(ansa)
Tragedia alle Atp Finals in piazza d’Armi, a Torino. Due uomini, di 70 e 78 anni, sono morti dopo aver accusato un malore in due distinti episodi avvenuti a breve distanza l’uno dall’altro.
Il 70enne, che si trovava davanti alFan Village, è stato colpito da arresto cardiaco. Il personale sanitario presente è intervenuto immediatamente, avviando le manovre di rianimazione sul posto. L’uomo è stato poi trasportato all’ospedale Molinette in codice rosso, dove è deceduto poco dopo il ricovero.
Poco dopo, un 78enne ha avuto un malore sugli spalti. Anche in questo caso i sanitari del 118 sono intervenuti tempestivamente e l’uomo è stato trasferito alle Molinette in codice rosso, ma è morto in ospedale nonostante i tentativi di rianimazione.
Gli scarti venivano avviati in discarica con operazioni di “giro bolla“ senza alcun trattamento: in quattro accusati di associazione per delinquere, nei guai anche trenta autisti considerati conniventi
Lurago d’Erba, 9 novembre 2025 – Una vasta gestione illecita di rifiuti scoperta dal Noe, il Nucleo Operativo Ecologico dei carabinieri, e dalla Dda di Milano, concentrato attorno ad alcune società del settore, anche operative nel Comasco: la Cereda Ambrogio srl di Lurago d’Erba e La Nuova Terra di Milano con sedi a Vertemate con Minoprio e Bregnano.
Nelle ultime ore, il sostituto procuratore Francesco De Tommasi, ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini a 66 persone fisiche e 10 società, a cui vengono attribuiti ruoli differenziati nella raccolta, gestione e smaltimentonon a norma di rifiuti di vario genere. Di associazione a delinquere sono accusati i vertici della Cereda – Ambrogio Paolo Cereda, presidente del Cda e Giovanna Gulia Cereda, amministratore delegato – assieme a due dipendenti, Danilo Mazzola, responsabile commerciale e Luca Riva, responsabile della logistica: tra 2020 e 2023 avrebbero gestito ingenti quantitativi di rifiuti, attraverso la simulazione di operazioni di recupero, in realtà non sottoposti ad alcun trattamento.
Il “giro del fumo” – In concorso sonochiamati una trentina di autisti, tra cui molti dipendenti, per aver ricevuto, trasportato, recuperato, smaltito e gestito “clandestinamente e abusivamente”, decine di tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi. I rifiuti misti, tra cui metalli, provenienti da società esterne, sarebbero transitati nell’impianto della Cereda Ambrogio Srl solo sulla carta, senza subire alcun trattamento, e poi avviati in discarica con operazioni di “giro bolla“.
Traffici che avrebbero garantito alla Cereda Ambrogio srl, nel biennio 2021-2022, profitti per circa mezzo milione di euro. Viene inoltre contestata la gestione di 800 tonnellate di pneumatici fuori uso nel 2020, e 600 l’anno successivo, e altri 300 nel 2022, per i quali la società di Lurago d’Erba non era autorizzata al trattamento, facendone perdere la tracciabilità.
Interventi dei vigili del fuoco in discarica
Il modus operandi – Le contestazioni della Dda sono molto articolate, e contestano molteplici casi di gestione non a norma dei rifiuti, come anche 124 tonnellate di rifiuti metallici, che sarebbero transitati verso la discarica senza operazioni di recupero. Le indagini sono arrivare a individuare anche altre società più piccole, tutte operative nel settore della gestione dei rifiuti.
Come la Floricoltura Ghezzi Giuseppe e la Ghema di Rovellasca, il cui rappresentante legale e amministratore unico Giuseppe Ghezzi, in concorso con altri, avrebbe organizzato il ritiro e la gestione di rifiuti portati o prodotti nelle due aziende, circa 360 tonnellate di cemento e derivati da demolizione, conferendoli nel 2022 nel cantiere della società Como Calcio 1907 a Mozzate, fittiziamente trasformati in aggregati riciclati senza effettuare le operazioni di recupero previste dall’autorizzazione ambientale.
Ieri sera l’incidente a Vigevano: il giocatore è stato trasportato in elisoccorso al Niguarda, ed è in terapia intensiva. In macchina con lui anche l’imprenditore Alberto Righini, 52 anni, ex presidente di Ance Pavia
ph: Instagram, l’Informatore
Gravissimo incidente stradale nella serata di domenica a Vigevano, in provincia di Pavia. Una Ferrari, con alla guida Matteo Bettanti, giocatore di basket ed ex della Elachem Vigevano in Serie B, è uscita di strada ed è finita contro un muro in corso Genova. L’impatto è stato così violento da rendere necessario l’intervento dei Vigili del fuoco per liberare i passeggeri dalle lamiere. Alla guida c’era il 21enne Bettanti, trasportato in elisoccorso in codice rosso all’ospedale Niguarda di Milano, dove si trova ricoverato in terapia intensiva. Con lui a bordo anche Alberto Righini, 52 anni, imprenditore edile ed ex presidente di Ance Pavia, coinvolto nel 2024 in un’inchiesta per corruzione a Vigevano. Righini è stato portato in ambulanza al Policlinico San Matteo di Pavia: le sue condizioni sono serie, ma non gravi come quelle del conducente. Sul posto sono intervenuti anche i Carabinieri, che hanno effettuato i rilievi necessari per ricostruire la dinamica dell’incidente.
Il comunicato di vigevano – “La famiglia della Nuova Pallacanestro Vigevano 1955 fa il tifo per Matteo Bettanti, rimasto ferito in un importante incidente stradale occorsogli insieme a un’altra persona nella serata di domenica 9 novembre. Il ventunenne vigevanese era rientrato in Italia nel 2023/24, proveniente da una esperienza al college presso la Montverde Academy negli Stati Uniti, aggregato alla ELAchem Vigevano con la quale ha disputato l’intero campionato di serie A2. Ha perduto quasi tutta la scorsa stagione a causa di un infortunio e in queste settimane era in contatto con diverse squadre per tornare a giocare. Matteo è ricoverato in codice rosso in terapia intensiva all’ospedale di Niguarda, sta rispondendo alle cure ed è continuamente monitorato dai medici del reparto. Forza Matteo, non mollare!“
L’appartamento in cui si è verificata l’esplosione
Un’esplosione si è verificata nella prima mattinata di oggi, venerdì 7 novembre 2025, in un appartamento nel palazzo di via Farina 13 a Rivarolo Canavese, che è rimasto pesantemente danneggiato. Una donna è rimasta ferita in modo serio, mentre suo marito se l’è cavata con lesioni non gravi. Diversi detriti sono caduti nel cortile, fortunatamente senza ferire nessuno.
L’allarme è stato dato dai residenti, dopodiché sul posto sono intervenuti i sanitari del 118 Azienda Zero, i vigili del fuoco, i carabinieri della stazione cittadina e la polizia locale. Numerose sono state le persone che hanno dato l’allarme chiamando il 112. Tutto l’edificio è stato fatto evacuare in via precauzionale. Le cause che hanno portato allo scoppio al momento sono da accertare.
Recuperate le ultime due persone di cui non si avevano notizie dopo la slavina: sono un uomo e la figlia di 17 anni. Le condizioni meteo hanno ostacolato i mezzi aerei, squadre a piedi in quota
Sono stati ritrovati senza vita anche gli ultimi due dispersi coinvolti nella valanga che ieri, primo novembre, ha travolto due cordate in salita verso Cima Vertana, nel gruppo dell’Ortles. Le vittime sono un uomo e la figlia 17enne, entrambi di nazionalità tedesca. Con loro salgono a cinque i morti causati dall’incidente in alta quota.
Questa mattina le operazioni di ricerca sono riprese alle prime luci del giorno. Le condizioni meteo hanno reso complesso il tutto.
Ieri erano stati recuperati i corpi di tre alpinisti tedeschi, due uomini e una donna, mentre due persone della seconda cordata erano riuscite a rientrare a valle illese.
Un imprenditore arrestato, un altro con il divieto di dimora: almeno 50 lavoratori con turni massacranti e vessazioni dei caporali
Reclutavano cittadini moldavi “in stato di estremo bisogno” e li facevano arrivare in Italia, nel Mantovano, con documenti fasi in cui la loro nazionalità diventava romena o bulgara, per farli passare per cittadini comunitari e aggirare così il Decreto flussi. A quel punto li sfruttavano, con orari di lavoro massacranti – fino a 16 ore di turno al giorno –, caporali sempre all’erta per vigilare su di loro, e paghe da fame. Due imprenditori sono stati colpiti da misure cautelari emesse dal gip di Mantova dopo una lunga indagine da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo e di quelli del locale Nucleo ispettorato del lavoro che già aveva portato agli arresti due moldavi con le stesse accuse. Ai domiciliari è finito un imprenditore 39enne residente a Poggio Rusco (Mantova), mentre un altro di 56 anni, abitante a Bondeno (Ferrara), dovrà osservare il divieto di dimora nella provincia di Mantova.
Nelle loro aziende agricole che producono meloni e zucche mantovani, entrambi con il marchio Igp esportati anche all’estero, per guadagnare di più non avevano scrupoli nell’impiegare lavoratori stranieri giunti in Italia con un sistema che evitava loro di inserirsi nelle quote disciplinate dalla legge e a sottoporli a orari di lavoro massacranti oltre che dare loro alloggi fatiscenti e malsani di cui, comunque, dovevano pagare l’affitto. Ogni violazione delle regole imposte dai caporali prevedeva il licenziamento e il rimpatrio.
Loro complici erano i due imprenditori moldavi che provvedevano a far entrare clandestinamente i lavoratori: oltre 50 le persone che i carabinieri, con la collaborazione di Europol, hanno accertato essere entrate illegalmente in Italia grazie ai due moldavi. I due agivano anche da caporali perché organizzavano il lavoro dei clandestini, li spostavano da un’azienda all’altra facendosi pagare. I due imprenditori italiani erano già finiti sotto la lente dei militari quando il 14 ottobre scorso, dopo un anno di serrate indagini, furono arrestati i due moldavi. Gli imprenditori pare infatti che fossero i loro maggiori clienti. Il gip nei giorni scorsi li ha sottoposti ad interrogatorio preventivo, al termine del quale sono scattate le misure cautelari.
Il giornalista ha presentato denuncia in seguito all’esplosione avvenuta davanti alla sua abitazione: “Chi è stato? Impossibile dirlo adesso”. L’indagine: ordigno lasciato tra due vasi
Sigfrido Ranucci – Fotogramma /Ipa
Sigfrido Ranucci ha “ricostruito con i carabinieri quanto è successo ieri. C’è una lista infinita di minacce, di varia natura, che ho ricevuto e di cui ho sempre informato l’autorità giudiziaria e di cui i ragazzi della mia scorta hanno sempre fatto rapporto. Io comunque mi sento tranquillo nel senso che lo Stato e le istituzioni mi sono sempre state vicine in questi mesi. Quello di stanotte è stato un salto di qualità preoccupante perché proprio davanti casa, dove l’anno scorso erano stati trovati dei proiettili“. A dirlo il giornalista e conduttore di Report, lasciando gli uffici della Compagnia Carabinieri Trionfale dove ha presentato denuncia in seguito all’esplosione, avvenuta la scorsa notte, che ha distrutto la sua auto parcheggiata davanti casa a Campo Ascolano, comune di Pomezia, alle porte di Roma.
Racconta il giornalista: “Ho sentito un boato tremendo, erano le 22.17. Sono riusciti a sentirlo anche i carabinieri attraverso l’audio di alcune persone, che erano in zona, e che stavano registrando con il telefono in quel momento”.
In merito al rafforzamento del livello di protezione Ranucci conferma il passaggio alla macchina blindata. Chi è stato? “È impossibile dirlo in questo momento: si tratta un contesto abbastanza allargato ed è su quello che sono state fatte le segnalazioni in questi mesi”, spiega il giornalista.
L’indagine: ordigno lasciato tra due vasi – E’ stato lasciato tra due vasi esterni, presumibilmente con la miccia accesa, l’ordigno rudimentale che questa notte è esploso davanti all’abitazione del giornalista. Un ordigno dunque che non sarebbe stato azionato a distanza né con un timer. Gli inquirenti che lavorano alle indagini stanno cercando eventuali telecamere che possano aver ripreso elementi utili a ricostruire chi ha posizionato l’ordigno
Bomba distrugge le auto di Sigfrido Ranucci, un chilo di esplosivo piazzato sotto casa. Piantedosi: “Rafforzata la protezione”
C’è stato un forte boato, poi le fiamme. Il giornalista vive sotto scorta da tempo per le molte minacce ricevute per le sue inchieste con Report
Attentato davanti casa di Sigfrido Ranucci. A sinistra foto LaPresse. A destra frame da video Report
Paura per il giornalista e conduttore della trasmissione tv Report, Sigfrido Ranucci. Nella serata del 16 ottobre, poco dopo le 22, davanti alla sua abitazione a Campo Ascolano, frazione del comune di Pomezia (Roma), un’esplosione ha distrutto la sua automobile e quella di sua figlia. Le vetture erano parcheggiate una accanto all’altra. Un ordigno rudimentale era piazzato, secondo le prime informazioni, tra il cancello e i mezzi della famiglia Ranucci. C’era quasi un chilo di esplosivo. A dare la notizia è stato lo stesso Ranucci intervenendo a Rainews24 e le immagini del dopo esplosione sono state diffuse sul profilo X di Report. Non ci sono feriti, ma la figlia del giornalista era passata dal luogo dove è avvenuto lo scoppio poco prima: “Poteva ucciderla“.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri e gli investigatori della Digos, che hanno avviato i rilievi tecnici. Sull’episodio indaga l’antimafia di Roma. Al momento il pm della Dda Carlo Villani – coordinato dall’aggiunto Ilaria Calò – procede per danneggiamento con l’aggravante del metodo mafioso in attesa di ricevere le prime informative dalle forze dell’ordine intervenute. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha disposto il rafforzamento delle misure di protezione per Ranucci.
Report: “Esplosione potente, poteva uccidere” – In un post pubblicato sul profilo X della trasmissione Report si legge: “Questa notte un ordigno è stato piazzato sotto l’auto del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci. L’auto è saltata in aria, danneggiando anche l’altra auto di famiglia e la casa accanto. La potenza dell’esplosione è stata tale per cui avrebbe potuto uccidere chi fosse passato in quel momento”.
Questa notte un ordigno è stato piazzato sotto l’auto del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci. L'auto è saltata in aria, danneggiando anche l’altra auto di famiglia e la casa accanto. Sul posto carabinieri, Digos, vigili del fuoco e scientifica. La Procura di… pic.twitter.com/KmDycbpgq1
Ranucci: “Mia figlia passata lì poco prima” – Al momento dell’esplosione il giornalista era a casa. La figlia, venti minuti prima, aveva parcheggiato la sua macchina accanto a quella del padre. Poi il boato.
“L’ordigno – racconta lo stesso Ranucci a Rainews – era tra il cancello di casa e le auto. L’esplosione ha distrutto la mia auto e quella di mia figlia, che era vicino. È stata molto forte. Da quello che mi dicono gli artificieri, pensano fosse un ordigno rudimentale con un chilo di esplosivo. Io ero rientrato da una ventina di minuti, poi mia figlia, poi sarebbe passato mio figlio. Potenzialmente avrebbe potuto uccidere una persona”.
Ranucci già in passato ha subito minacce e intimidazioni, tutte denunciate. Il giornalista è impegnato in queste settimane nella preparazione della nuova stagione di Report, al via il 26 ottobre su Raitre. “Non so dire – aggiunge Ranucci – se c’è un collegamento. In passato sì, abbiamo avuto minacce di varia natura. Abbiamo anche trovato qui dei proiettili, poi qualcuno ci seguiva. Sono tutti episodi denunciati“.
I vicini di casa di Ranucci: “Abbiamo sentito un boato…” – “Intorno alle 22.20 abbiamo sentito un boato. Pensavamo fossero i ragazzini che qui fanno i botti di Natale, ma la deflagrazione era davvero troppo forte. Noi abitiamo in fondo alla via e abbiamo sentito le pareti tremare. Mia zia, che abita invece proprio qui accanto, ci ha raccontato di una esplosione forte, che ha fatto cascare i quadri. La paura è stata tanta“, racconta all’Adnkronos una vicina di casa di Sigfrido Ranucci.
“Sappiamo chi vive qui – continua la donna – ma non ho pensato a una bomba, anche perché mai ci sono stati episodi simili. La mia impressione iniziale anzi è stata di una macchina elettrica esplosa. In strada era pieno di gente, chi non poteva scendere era affacciato alle finestre. L’atmosfera era davvero concitata“.
Piantedosi: “Rafforzata la protezione per Ranucci” – ”Piena solidarietà a Sigfrido Ranucci e alla sua famiglia per il grave attentato di cui è stato vittima. Un gesto vigliacco e gravissimo che rappresenta un attacco non solo alla persona ma alla libertà di stampa e ai valori fondamentali della nostra democrazia. Ci sarà il massimo impegno delle forze di polizia per accertare rapidamente gli autori. Ho dato mandato di rafforzare al massimo ogni misura a sua protezione”, dice il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.
Meloni: “Libertà e indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili” – Vicinanza a Ranucci è stata espressa da colleghi, sindacati e dalle massime cariche dello Stato a iniziare da Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio manifesta “piena solidarietà al giornalista Sigfrido Ranucci e la più ferma condanna per il grave atto intimidatorio da lui subito. La libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere“.
Esprimo piena solidarietà al giornalista Sigfrido Ranucci e la più ferma condanna per il grave atto intimidatorio da lui subito. La libertà e l'indipendenza dell'informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere.
“Un gesto gravissimo, vile, inaccettabile. Un ordigno ha fatto esplodere l’auto di Sigfrido Ranucci, davanti alla sua abitazione. Per fortuna nessuno è rimasto ferito, ma resta la gravità estrema di un atto che colpisce non solo un giornalista, ma la libertà stessa di informare e di esprimersi. A lui e alla sua famiglia la mia piena solidarietà e vicinanza“, scrive Guido Crosetto sul profilo X del ministero della Difesa.
“Quanto successo a Pomezia è di una gravità inaudita e inaccettabile. Totale solidarietà a Sigfrido Ranucci e alla sua famiglia”, le parole del vicepremier Matteo Salvini sui social.
Di “grave atto intimidatorio” parla anche l’altro vicepremier Antonio Tajani che esprime “piena solidarietà” a Ranucci e alla sua famiglia. “Non esiste motivazione che possa giustificare questa violenza“, aggiunge.
”La nostra piena solidarietà a Sigfrido Ranucci e alla sua famiglia per l’attentato incendiario di questa notte. C’è viva preoccupazione per quanto successo: un gesto profondamente inquietante perché quando si attacca un giornalista si attacca la democrazia”, sottolinea la Giunta esecutiva centrale dell’Anm.
La Rai: “Respingiamo con forza ogni minaccia“ – L‘ad Rai Giampaolo Rossi e l’intera azienda “si stringono al fianco di Sigfrido Ranucci ed esprimono massima solidarietà per il grave e vile attentato intimidatorio“. “Il ruolo della Rai e di chi opera al suo interno è quello di garantire dialogo, pluralismo e rispetto nel racconto quotidiano del nostro tempo – si legge in una nota -. La Rai respinge con forza e determinazione ogni minaccia contro chi svolge il proprio lavoro nel Servizio Pubblico. L’essenza vitale della nostra democrazia è la libertà informativa che la Rai garantisce e che i suoi giornalisti rappresentano“.
Usigrai: “Attentato ci riporta agli anni più bui”. – “Un attentato spaventoso che ci riporta indietro agli anni più bui. Siamo vicini a Sigfrido Ranucci alla sua famiglia dopo che nella notte la sua auto è esplosa davanti a casa. Pochi minuti prima era passata lì davanti la figlia“. A sottolinearlo è l’esecutivo dell’Usigrai. “Siamo certi che né Sigfrido né i colleghi di Report si lasceranno intimorire. Saremo sempre al loro fianco – continua l’Usigrai – affinché possano continuare liberamente il loro lavoro d’inchiesta. Abbiamo denunciato in questi mesi come la Rai abbia ridotto lo spazio a disposizione di Report e sopratutto il clima d’odio e insofferenza per le inchieste della redazione. In prima serata su Rai1 si è arrivati addirittura – da parte della seconda carica dello Stato – a definire i colleghi di Report ‘calunniatori seriali’, senza che né il conduttore né l’azienda prendessero le distanze. Una campagna d’odio contro il giornalismo d’inchiesta che deve finire“.
Ci sono almeno dieci feriti: si tratta di colleghi delle vittime e di poliziotti. L’ipotesi è che sia stato un gesto intenzionale da parte di uno degli occupanti dell’immobile
Tre carabinieri uccisi, tredici persone ferite e un casolare ridotto in macerie: è il bilancio drammatico dell’esplosione avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 ottobre a Castel D’Azzano, in provincia di Verona. La deflagrazione ha colpito in pieno un edificio rurale a due piani, proprio mentre era in corso una perquisizione legata a una procedura di sgombero forzato, condotta da polizia, carabinieri e vigili del fuoco.
Secondo le prime ipotesi, non si sarebbe trattato di un incidente. L’esplosione potrebbe essere stata provocata intenzionalmente dagli stessi occupanti dell’immobile: tre fratelli che vivevano nel casolare da tempo. Due di loro — un uomo e una donna, rimasti feriti — sono già stati fermati, mentre il terzo sarebbe riuscito ad allontanarsi prima dell’arrivo delle forze dell’ordine.
Esplosione durante lo sgombero di un’abitazione: morti 3 carabinieri – Carabinieri, polizia e vigili del fuoco stavano eseguendo una perquisizione nell’ambito di uno sgombero coattivo (azione forzata in caso di occupazioni abusive) del casolare, abitato da tre fratelli. La casa era satura di gas e l’esplosione, innescata dall’apertura della porta d’ingresso, ha investito le forze dell’ordine al momento dell’irruzione.
In pochi attimi tutto si è sbriciolato. Tre carabinieri sono morti. Ci sono anche tredici feriti. Il boato ha svegliato i residenti e in pochi minuti sui social in tanti hanno lasciato un messaggio chiedendo cosa fosse accaduto.
I vigili del fuoco si sono attivati immediatamente, ma per i carabinieri non c’è stato nulla da fare. Le squadre del 115 sono intervenute sia per domare le fiamme divampate dopo lo scoppio sia per la ricerca dei feriti. Una delle vittime è stata estratta dalle macerie.
Lo sgombero “a rischio” e i tentativi già falliti – Secondo quanto si apprende l’immobile era un casolare agricolo fatiscente già occupato in passato da braccianti. I tre fratelli avrebbero dovuto lasciarlo da tempo. C’erano stati vari tentativi di sgombero, andati a vuoto anche perché a quanto pare i tre avevano minacciato di farsi saltare in aria. Considerando l’intervento “a rischio” erano stati inviati sul posto militari dei reparti speciali di Padova e Mestre, supportati dagli agenti di polizia delle unità operative di primo intervento. In affiancamento c’erano vigili del fuoco e squadre di soccorso dell’ospedale.
“Nel casolare abitavano tre fratelli. Sembra che avessero da tempo delle bombole depositate e abbiano fatto saturare il sottotetto per farlo esplodere. Il tutto è accaduto stanotte alle 3.15 circa“, dice a Rainews24 Antonello Panuccio, vicesindaco di Castel d’Azzano.
“Una tragedia incredibile – commenta il procuratore capo di Verona, Raffaele Tito, giunto sul posto -. Dovevamo eseguire un decreto di perquisizione, si cercavano anche delle bottiglie molotov. Carabinieri e polizia hanno cercato di agire in massima sicurezza e con tutte le attrezzature necessarie. Ma l’esito è stato inaspettato e molto doloroso“.
Chi sono i carabinieri morti nell’esplosione nel Veronese oggi – Nel crollo del casolare sono rimasti uccisi, come detto, tre carabinieri. Secondo quanto reso noto dal sindacato Sim, due prestavano servizio a Padova e uno a Mestre. I tre militari appartenevano alle forze speciali mobilitate per lo sgombero. I feriti sono tredici tra carabinieri, polizia e vigili del fuoco.
“Di fronte a una simile tragedia, non è il momento delle polemiche né delle strumentalizzazioni, ma del silenzio, del rispetto e della vicinanza concreta. Nel ricordo rimangono tre carabinieri valorosi, solari e sempre disponibili“, si legge in una nota.
Piantedosi: “Bilancio drammatico” – Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a Uno Mattina ha parlato di “bilancio terribile, molto doloroso, drammatico“. Poi ha spiegato: “Era un’operazione congiunta di polizia, al momento dell’accesso dell’appartamento i testimoni raccontano di aver sentito odore di gas e qualche istante dopo c’è stata l’esplosione“. La tragedia “segna la difficoltà, la complessità, la potenziale pericolosità di questo lavoro: dietro certe operazioni si celano delle insidie anche perché si ha a che fare con persone di difficile collocazione. È possibile – continua il titolare del Viminale – che qualcuno dall’interno abbia attivato una bombola di gas creando i presupposti per la deflagrazione: le due persone titolari dell’appartamento si sarebbero allontanate, una delle due – una donna – sarebbe ferita“.
Un gruppo minoritario di persone – coi volti coperti – ha cercato lo scontro con le forze dell’ordine. Gli altri attivisti hanno fatto un cordone per farli desistere
Tangenziale Est di Milano, ore 14.30. Da quasi un’ora una parte del corteo in solidarietà con la Palestina è entrato nella superstrada che costeggia la parte orientale della città. Un gruppo sparuto di manifestanti inizia a nascondere il proprio volto con cappucci, passamontagna, sciarpe e magliette avvolte attorno al viso. Impugnano bottiglie di vetro, pietre, pezzi di ferro e puntano agli agenti delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che arretrano.
I manifestanti pacifici isolano i violenti – In contemporanea, altri manifestanti, una piccola parte di quella marea pacifica che da tre giorni invade le strade di Milano al coro di “Palestina libera” ma senza mai scadere nel vandalismo o la violenza, cerca di isolare il gruppetto di violenti. Alcuni si mettono proprio fisicamente davanti. E mano nella mano cercano di fare una catena per impedire loro di rovinare tutta la bellezza di una protesta che fino a quel momento è stata impeccabile.
Perché i titoli sulla manifestazione non devono essere per quel gruppetto di violenti, non questa volta dopo quanto accaduto nel primo grande corteo culminato con i tafferugliin Stazione Centrale. E allora eccoli qui, quei coraggiosi che per il bene dell’intera manifestazione hanno sedato e isolato quei pochi esagitati.
A Firenze gli studenti di alcuni licei non sono entrati in classe e sono scesi in piazza
Genova
Da ieri sera proseguono le proteste in Italia in sostegno della missione diretta a Gaza per portare aiuti alla popolazione palestinese, dopo l’abbordaggio della Flotilla da parte di Israele. Presidi, cortei e scioperi in tutta Italia, organizzati dal Global Movement to Gaza e da altre decine di organizzazioni sociali e sindacali. L’agenda è stata diffusa dagli attivisti attraverso i canali social. I partecipanti scrivono che il tentato blocco della Flotilla “porta alla mobilitazione dell’equipaggio di terra, blocchiamo tutto. L’equipaggio di mare in questi mesi ha portato con sé l’umanità di un altro mondo possibile in grado di navigare ostinata e contraria ai venti di guerra. Ora è il momento dell’equipaggio di terra“, concludono. continua a leggere
Binari bloccati dai dimostranti alla stazione centrale di Napoli. Mobilitazione per la Flotilla in piazza della Scala a Milano
Scatta la mobilitazione nelle piazze italiane dopo l’abbordaggio della Flotilla da parte di Israele. Al grido di “Bloccheremo tutto” e “Palestina libera” un gruppo di manifestanti pro Pal è arrivato a piazza dei Cinquecento a Roma, vicino alla stazione Termini per sostenere la Flotilla. I manifestanti sono schierati dietro a uno striscione con su scritto “Rompere con Israele-Stop genocide, blocchiamo tutto e 3 ottobre sciopero generale“. Il numero delle persone in piazza sta aumentando progressivamente.
Binari bloccati dai manifestanti pro Pal alla stazione centrale di Napoli. Si è determinato così il blocco del traffico ferroviario, in arrivo e in partenza, con treni in ritardo di oltre 90 minuti. “La circolazione a Napoli Centrale è sospesa“, comunica Trenitalia. Come si legge sul profilo Facebook di uno dei collettivi coinvolti nell’occupazione della stazione centrale di Napoli, Mezzocannone Occupato, “avevamo detto che avremmo bloccato tutto e lo stiamo facendo. Palestina libera, giù le mani dalla Global Sumud Flotilla“.
I manifestanti pro Pal hanno bloccato i binari per oltre mezz’ora per poi dirigersi verso il vicino corso Umberto, lasciando la stazione. I manifestanti sarebbero diretti verso la facoltà di Lettere e Filosofia, seguiti dalla polizia.
Disagi alla stazione Termini di Roma. Dopo le manifestazioni dei pro Pal alla stazione di Napoli, la stazione Termini è stata ‘cinturata‘ dalle forze dell’ordine anche lateralmente e gli accessi sono contingentati.
Mobilitazione anche a Milano per la Global Sumud Flotilla. Potere al Popolo, centri sociali e collettivi studenteschi sui social hanno dato appuntamento per una ‘mobilitazione d’emergenza’ dalle 21.30 in piazza della Scala, ribattezzata ‘piazza Gaza‘ per il presidio permanente pro Palestina.
Andrea Holetz, 64 anni, si trovava con il compagno in un campeggio di Spigno Monferrato
L’alluvione in provincia di Alessandria
È stato trovato dai vigili del fuoco il corpo di Andrea Holetz, la turista tedesca di 64 anni dispersa dopo essere stata travolta dalle acque di un torrente in piena nell’Alessandrino. Il cadavere della donna è stato localizzato a circa 4 km a valle del campeggio di Spigno Monferrato dove la vittima si trovava con il compagno e i loro due cani.
La ricostruzione – Secondo quanto ricostruito, i due coniugi si erano accorti dell’arrivo della piena mentre stavano dormendo dopo che il loro camper era stato addirittura spostato dalla furia dell’acqua. Una volta compresa la situazione di pericolo marito e moglie hanno tentato di scappare a piedi. L’uomo è riuscito a mettersi in salvo con uno dei due cani. Quando si è voltato ha però visto che la moglie non c’era più: era stata inghiottita dal fango e trascinata via dalla corrente con un secondo cane.Nel camping, che si trova vicino al torrente Valle, sono rimaste a lungo isolate 15 persone.
Dopo il sequestro disposto dalla procura: indagini sul materiale audio-video, e i relativi commenti
La polizia postale e per la sicurezza cibernetica sta concludendo, in queste ore, le operazioni tecniche finalizzate all’esecuzione del decreto di sequestro disposto dalla Procura del tribunale di Roma della piattaforma phica.eu.
Le attività mirano a circoscrivere e quindi a rendere disponibile il complessivo materiale audio-video, e i relativi commenti, per le successive analisi degli investigatori. Le attività tecniche, complesse, sono state condotte dal personale del servizio centrale della polizia postale, con l’ausilio degli specialisti dei centri operativi di Milano e Firenze.
Nelle ultime settimane, sono state decine le denunce di donne, anche volti noti dello spettacolo e della politica, che hanno scoperto le proprie foto su pagine web a sfondo sessuale o esplicitamente porno.
Il sequestro del sito sessista «Phica.eu» è stato disposto, dicevamo, dalla Procura di Roma che nelle scorse settimane ha avviato un’inchiesta delegando le indagini alla polizia postale. A coordinare il fascicolo è il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini. Sulla home page del sito ora compare la scritta «dominio sottoposto a sequestro».
Il presunto amministratore della piattaforma sarebbe un italiano di 45 anni: “Usava pseudonimi come Phicamaster e Bossmiao”
Chi c’è dietroPhica.eu? Dallo scoppio del caso, la domanda rimbalzata sui social è diventata il focus delle indagini che hanno coinvolto il sito. Sulla piattaforma centinaia di utenti pubblicavano foto di donne, ignare di tutto, per darle in pasto ai commenti volgari e ingiuriosi degli iscritti. Gli investigatori sarebbero arrivati all’identità dell’amministratore del sito: si tratterebbe di V.V., come riporta Domani, un italiano di 45 anni.
Chi è l’amministratore di Phica.eu – Il sospettato è originario di Pompei, ma da tempo risiede a Scandicci (Firenze). L’uomo, scrive ancora Domani, sarebbe proprietario di una piccola società “costituita all’inizio del 2023 a Genova con l’obiettivo ufficiale di condurre campagne pubblicitarie sui social network attraverso influencer“. La società, si legge sul quotidiano, “risulta aver fatturato circa 150mila euro all’anno nel 2023 e nel 2024, con utili netti rispettivamente di 69mila e 65mila euro. I rendiconti finanziari non offrono ulteriori informazioni sull’attività dell’impresa“.
E secondo un’analisi della società dell’esperto di cyberintelligence, Alex Orlowsky, contattato da Domani, V.V. “cercava di estorcere denaro alle vittime del suo sito presentandosi falsamente come collaboratore della polizia postale“. Per celare la sua identità usava pseudonimi come “Bossmiao, Phicamaster, Phicanet e Miao“.
Le indagini – Nel frattempo, la Procura di Roma sarebbe pronta ad aprire un fascicolo su Phica.eu e il gruppo Facebook Mia moglie. Gli investigatori della polizia postale hanno incontrato per circa due ore il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini che a breve acquisirà una prima informativa. I reati che potrebbero essere ipotizzati dai pm capitolini vanno dalla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti alla diffamazione, ma potrebbe essere inclusa anche l’accusa di estorsione.
La manifestazione non si sarebbe svolta nel luogo concordato
A Brandizzo, un fuori programma ha fatto scaturire diverse polemiche a margine degli eventi ufficiali per la commemorazione della strage ferroviaria del 30 agosto 2023, quando morirono gli operai Giuseppe Aversa, Kevin Laganà, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Sorvillo e Michael Zanera. Furono travolti da un treno che viaggiava a 160 chilometri orari, mentre lavoravano alla manutenzione della linea.
Chieste le generalità – Ieri, 30 agosto 2023, l’Anlm (Assemblea Nazionale Lavoratori Manutenzione) ha organizzato un presidio prima delle manifestazioni annunciate, per richiamare l’attenzione sulle criticità dei modelli di manutenzione ai sistemi ferroviari. Quando alcune decine di persone si sono radunate davanti alla stazione di Brandizzo, i carabinieri sono intervenuti chiedendo le generalità e i documenti d’identità.
La reazione – Alcuni manifestanti, visibilmente irritati, hanno urlato più volte “Vergogna”. Dall’Arma, chiariscono che la richiesta delle generalità è scaturita per questioni legate al posizionamento dei manifestanti sul suolo pubblico. Non risultano provvedimenti per i presenti.
L’assalto sulla strada statale 387: è caccia a quattro malviventi, incappucciati e armati
– Foto ufficio stampa Carabinieri – (ITALPRESS)
CAGLIARI (ITALPRESS) – Torna l’incubo dei portavalori in Sardegna. Nelle prime ore della mattinata odierna, lungo la Strada Statale 387, il furgone di un istituto di vigilanza privata è stato assaltato nella zona di Sant’Andrea Frius. Secondo una prima ricostruzione, quattro individui incappucciati, armati di armi lunghe, hanno tentato di bloccare il mezzo blindato, predisponendo alcune autovetture di traverso sulla carreggiata a cui hanno dato fuoco.
L’autista del portavalori, resosi conto della situazione, è riuscito a compiere una manovra repentina e a mettersi in salvo, eludendo così l’assalto. I rapinatori, capendo la manovra del furgone, hanno immediatamente abbandonato il piano scappando. Sul posto sono rimaste alcune autovetture date alle fiamme, utilizzate presumibilmente come ostacolo per fermare il mezzo.
Sul luogo del tentativo di rapina sono intervenuti i Carabinieri della Compagnia di Dolianova e del nucleo investigativo di Cagliari, che hanno messo in sicurezza l’area e avviato i rilievi tecnici necessari a ricostruire la dinamica dei fatti. Sono in corso le ricerche per rintracciare i responsabili, con l’attivazione del piano prefettizio Anticrimine e dei posti di blocco nelle principali arterie stradali del territorio.
San Luca, la personal trainer e dottoressa in Scienze Motorie Alice Guerra ha sporto denuncia dopo aver visto il suo nome in caratteri cubitali lungo i portici Unesco. “Ho letto scritte terribili: insulti, frasi omofobe”
Alice Guerra tra le vittime delle frasi sessiste e volgari scritte sui portici di San Luca a Bologna
Bologna, 29 agosto 2025 – Gambe che tremano, cuore in gola. La voce che scompare e la mente che non ci può credere. Sentirsi svenire, letteralmente. È quello che ha provato Alice Guerra, personal trainer e dottoressa in Scienze Motorie, quando ieri ha visto, con i suoi occhi, il suo nome e cognome scritto a caratteri cubitali lungo i Portici di San Luca, accostato a epiteti discriminatori e diffamatori, che colpiscono, svilendolae insultandola, ciò che la 34enne è riuscita a costruirsi: una brillante carriera.
Il suo nome, calcato con un pennarello nero, è tra i tanti che hanno macchiato i muri della salita diSan Luca: ci sono insulti, frasi omofobe, numeri di telefono, nickname dei social network e tanta, tantissima violenza. Quella che Guerra ha provato sulla sua pelle, decidendo di trasformare questo episodio in una possibilità, pubblicando un reel sui social per “fare rumore e dare voce a quanto accaduto e fare rete, con le tante donne coinvolte, chiedendo a tutte di denunciare. Perché basta: siamo stufe. Questa è violenza“.
Guerra, come ha scoperto delle scritte? – “Ho visto un articolo de il Resto del Carlinoche mi ha allertata e messa in guardia. Navigando su Internet, poi, mi sono imbattuta nel posto dell’avvocata Camilla Guidotti, che ha documentato tutto, ogni cosa“.
Cosa le ha fatto pensare di poter essere coinvolta? – “Ho visto alcune scritte pubblicate, ovviamente con i cognomi e i dati sensibili oscurati, e una mi ha colpito profondamente. Ho capito potesse essere riferita a me“.
Perché? – “Nel graffito compaiono il mio nome e cognome, il mio nickname di Instagram, tra l’altro in un primo momento segnato in maniera scorretta e poi sistemato, e un insulto al mio lavoro e al mio titolo di ‘dottoressa’. Da maggio sono molto attiva nell’area di San Luca, perché ho ideato un gruppo whatsapp, che si chiama San Looka, che ho promosso sui social con l’idea di proporre uno stile di vita sano, praticando movimento e facendo delle camminate insieme, dando al tempo stesso la possibilità alle persone di socializzare. Per farlo, quindi, mi sono esposta molto sui social, senza però mai pubblicare il mio numero di telefono. Una scelta, questa, per permettere solo a chi fosse davvero interessato di avvicinarsi all’attività”.
Le persone, quindi, la conoscono come ‘dottoressa’. – “Sì. E lo hanno anche scritto sul muro, insultandomi. L’ho visto con i miei occhi: dopo aver visto l’articolo e il post, ho deciso di andare su a San Luca con un’amica, per vedere la scritta e confermare il mio sospetto, che era fondato”.
Come si è sentita? – “Ipotizzare è un discorso, pensarlo anche, ma vederlo è diverso. Mi sono sentita svenire, non mi sono sentita bene e avevo le gambe che tremavano. Ma non mi sono abbattuta: ho cercato di essere forte e ho fatto tante foto. Ho sporto denuncia in Questura perché dobbiamo cercare di affrontare quanto accaduto. Sentivo il bisogno di fare rumore e ho pubblicato il reel raccontando l’episodio, nella speranza di raggiungere più donne possibili e spingere tutte a verificare di non essere coinvolte”.
Cosa le ha fatto più male? – “Rispetto agli altri imbrattamenti, il mio è ‘leggero’, ma è sempre violenza. Ho letto scritte terribili: insulti, frasi omofobe, sessiste e violenza. Questa è violenza, non va banalizzata. Per aiutare le altre donne, mi sono appuntata su un foglio tutti i nomi e cognomi che ho trovato e contatterò ognuna di loro per avvisarle“.
Ora come sta? – “Sono contenta della vicinanza che le persone mi stanno dando. Mi hanno contattato anche tantissimi uomini, che hanno repostato o commentato il reel. Mi sono stati vicino. È importante dirlo: la violenza si generalizza e dipinge sugli uomini, ma non tutti sono così. E per fortuna“.
Ha idea di chi potrebbe essere stato? – “Come ho detto alla polizia, non lo so. Magari qualcuno che è a conoscenza del mio gruppo di camminata o di un altro gruppo Facebook che organizza la stessa attività. Potrebbe essere stato chiunque”.
Prima il gruppo Facebook Mia Moglie, ora oscurato, in cui numerosi uomini postavano e commentavano foto delle proprie consorti e di quelle altrui. Ora altre pagine, dello stesso tenore. La senatrice Raffaella Paita, Italia Viva: “Propongo di discuterne in Parlamento”. L’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti: “Battaglia di genere sia comune a donne e uomini”. La Polizia Postale sta ricevendo denunce da tutta Italia. È stata lanciata una petizione contro un altro sito, Phica.eu: ha chiuso
In questi giorni sono stati scoperti diversi siti che diffondono immagini di donne, famose e non, senza il loro consenso, e commentate in modo offensivo e sessista. Dalle influencer più celebri alle politiche italiane: la premier Giorgia Meloni in spiaggia, la leader del PD Elly Schlein, un deep fake della senatrice Mariastella Gelmini, Maria Elena Boschi, Alessandra Mussolini. Il gruppo Facebook “Mia moglie” (oltre 30mila iscritti), da cui è partito tutto, è stato oscurato. Nelle scorse ore l’attenzione si è invece posta sul sito Phica.eu, che ha appena chiuso: stanno arrivando alla Polizia postale denunce da tutta Italia da parte di donne che hanno scoperto loro foto rubate e finite su entrambi i canali (Mia moglie e Phica.eu, appunto). La Polizia postale ha avviato indagini per risalire a chi gestisce le piattaforme. Verifiche sono in corso anche per stabilire le modalità con cui sono state trafugate e diffuse le foto e per arrivare a identificare anche gli autori dei commenti. Intanto il governo ha annunciato che sta lavorando a misure specifiche per contrastare questi casi.
Roccella: “Presto misure Governo contro siti sessisti” – Sul caso è infatti intervenuta la ministra alla Famiglia e Pari Opportunità Eugenia Roccella, che ha detto: “Assumeremo e potenzieremo iniziative specifiche per il monitoraggio di situazioni di questo tipo, la segnalazione alle autorità competenti a cominciare dalla magistratura e l’individuazione degli strumenti più efficaci per il contrasto di questa barbarie del terzo millennio“. La ministra ha aggiunto che “faremo di tutto per rafforzare ancora di più l’azione che fin dal primo giorno ci vede impegnati, insieme all’intero Parlamento, con tutte le nostre forze“.
I gestori del sito sessista: “Piattaforma di discussione personale” – A seguito delle numerose denunce e critiche, intanto, Phica.eu ha chiuso. Lo hanno annunciato i gestori del forum con un comunicato, tramite il quale gli utenti vengono avvisati della rimozione di tutti i contenuti. “Se sono stati violati i tuoi diritti – si legge – scrivici così procederemo a rimuoverlo. Phica“, continua la nota, “è nata come piattaforma di discussione e di condivisione personale, con uno spazio dedicato a chi desiderava certificarsi e condividere i propri contenuti in un ambiente sicuro. Purtroppo, come accade in ogni social network, ci sono sempre persone che usano in modo scorretto le piattaforme, danneggiandone lo spirito e il senso originario“. Anche il generale in pensione ed eurodeputato della Lega Roberto Vannacci ha deciso di denunciare, dopo aver scoperto che alcune sue foto modificate erano presenti sul sito. Le vittime, in ogni caso, sono quasi tutte donne.
La petizione – La chiusura è stata richiesta nei giorni scorsi anche con unapetizione, che al momento ha superato le 140mila firme. Diverse personalità del mondo dello spettacolo e della politica lo hanno pubblicamente denunciato. Nel frattempo, sul portale erano comparsi messaggi di alcuni utenti che lamentano di non potersi cancellare se non dopo aver versato una somma ai gestori del sito.
Funaro: su sito sessista anche mie foto, sporto denuncia – C’erano anche foto della sindaca di Firenze Sara Funaro sul forum sessista Phica.eu, motivo che ha spinto la prima cittadina a presentare denuncia. Presenti sul forum foto riprese da eventi durante la campagna elettorale della sindaca, seguite da commenti sessisti. “Ho sporto denuncia alla polizia postale appena mi hanno segnalato che ero anche io tra le tante donne finite su un sito pornografico”, ha detto Funaro. “In molte lo abbiamo fatto, il sito oggi ha chiuso, finalmente, però le spiegazioni dei gestori sono ingiustificabili e irrispettose di quanto è accaduto, foto rubate dai social o da eventi pubblici di tante ragazze e donne con una sequela di commenti vergognosi che ledono la dignità di tutte“. Per la prima cittadina “è il segno che di strada da fare ce n’è tanta. Quanto successo non riguarda solo me e le donne che hanno denunciato ma riguarda ognuna di noi. Dobbiamo sempre denunciare e far sentire la nostra voce, per noi e per tutte le altre. Questo è l’unico modo per far avvenire quel cambio di passo necessario e contrastare una cultura sessista che anche nel mondo incontrollato del web, su cui andrebbe aperta una riflessione, trova purtroppo campo libero”.
Uno dei messaggi degli utenti di Phica.net
La denuncia collettiva delle politiche dem: “Aperta a tutti gli schieramenti” – Tra le democratiche è nata la proposta di una denuncia collettiva, aperta alle politiche di ogni schieramento coinvolte e vittime. Per Lia Quartapelle “bisogna reagire a questo tipo di sopruso anche per tutte quelle delle donne che sono state messe su questi siti in forma anonima e sono tuttora ignare. Ciascuna presenterà la propria denuncia, ma per dare un segnale forte promuoveremo una ricorso collettivo aperto a tutte le politiche coinvolte, di tutti gli schieramenti – afferma -, che secondo me sono tantissime. Ci sono già buoni riscontri per muoverci in modo collettivo, e per una volta riscontriamo una reale solidarietà e impegno anche da parte degli uomini politici, politici e non“.
Paita: “Il tema sia discusso in Parlamento” – “La questione delle immagini di donne, rubate, condivise, a volte anche modificate e commentate sui social o su alcuni siti è grave e seria. Bisogna riflettere e trovare soluzioni insieme, si tratta di una nuova forma di violenza e dominio sulla donna”, ha commentato la senatrice Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva. “Vanno messe insieme diverse competenze ministeriali, Pari opportunità, Interno, Innovazione tecnologica, per arrivare a forme legislative in grado di contrastare efficacemente il fenomeno. Si tratta di un tema che ha risvolti europei e internazionali. Per questo propongo di discuterne in Parlamento, in Commissione o in Aula, con la ministra Roccella e il ministro Piantedosi. Bene denunciare ma serve anche un dibattito parlamentare per capire come arginare il fenomeno dal punto di vista normativo e culturale“.
Il servizio del Codacons – Il Codacons Donna annuncia l’attivazione di un servizio dedicato di consulenza legale e supporto psicologico rivolto a tutte le donne vittime di violazioni della propria dignità e della propria privacy. “Non basta chiudere un gruppo quando esplode lo scandalo – dichiara l’associazione -. Le vittime di abusi digitali devono sapere di non essere sole: il Codacons Donna mette a disposizione avvocati e psicologi per garantire tutela immediata, assistenza legale e sostegno umano a chiunque abbia subito la diffusione non consensuale di immagini o altre forme di violenza online“.
Come chiedere aiuto – L’associazione ricorda che la diffusione non autorizzata di immagini intime costituisce un reato, punito dall’art. 612-ter del Codice Penale, e invita tutte le vittime a rivolgersi senza esitazione per ricevere aiuto e avviare le azioni necessarie. Per segnalazioni o richieste di supporto è possibile contattare il Codacons Sicilia Donna all’indirizzo e-mail sportellocodacons@gmail.com o al numero WhatsApp 3715201706. “Il nostro impegno è accompagnare ogni donna in un percorso di tutela della propria dignità e dei propri diritti, perché nessuna debba sentirsi sola davanti alla violenza online“, conclude l’associazione.
Inviati due rimorchiatori dalla Guardia Costiera. Il problema si è registrato alle 7:25 di questa mattina
Avaria alla nave “Msc World Europa” a circa 8 miglia nautiche al largo dell’isola di Ponza: il problema, secondo quanto reso noto dalla Guardia Costiera, si è registrato alle 07.25 di questa mattina quando la nave da crociera in navigazione da Genova a Napoli con a bordo 8.585 persone (6.496 passeggeri e 2.089 membri di equipaggio), ha comunicato di aver riscontrato un problema di natura elettrica ai motori.
La situazione a bordo, dice la Guardia Costiera, risulta tranquilla: le condizioni meteomarine sono favorevoli e i servizi essenziali per i passeggeri continuano a essere assicurati dai generatori di bordo. Due rimorchiatori sono già partiti – rispettivamente dai porti di Gioia Tauro e di Napoli – per assistere la nave da crociera e condurla successivamente in sicurezza al porto di Napoli.
L’incendio domato dall’equipaggio. I rimorchiatori la trainano nel porto di Napoli
Tanta paura ma nessun danno al di là di un considerevole spavento per i 152 passeggeri a bordo della nave traghetto Raffaele Rubattino della Tirrenia interessata da un principio di incendio scoppiato nella sala macchine con la nave che si trovava a nord ovest dell’isola di Capri a una quindicina di miglia dal porto di Napoli.
A bordo anche 72 membri dell’equipaggio.
La nave, con alcune ore di ritardo rispetto al previsto, è approdata nel porto di Napoli dove i passeggeri sono sbarcati.
Ed è stato proprio l’equipaggio a domare l’incendio. Non si registrano feriti ma i motori sono andati in avaria portando la nave alla deriva fino all’arrivo di due rimorchiatori partiti dal porto di Napoli che l’hanno agganciata e la stanno trainando verso il capoluogo partenopeo, senza necessità di evacuare i passeggeri. La nave era partita stamane da Palermo con passeggeri e veicoli a bordo. Le operazioni per il rientro sono già cominciate, il traghetto si trova ora a otto miglia da Napoli e il suo approdo è previsto tra qualche ora, in tarda serata. Prima di arrivare a destinazione saliranno a bordo i vigili del fuoco per ispezionare la sala in cui si è propagato l’incendio.
E’ stato il capitano dell’imbarcazione a lanciare l’allarme via radio che ha dato il via alle operazioni di soccorso coordinate dalla Capitaneria di Porto di Napoli, che ha in prima battuta inviato sul posto due motovedette. Per prestare i primi soccorsi, nelle vicinanze della nave alla deriva si è portata un’altra nave traghetto, la Gnv Auriga, anch’essa proveniente da Palermo.
Non mancano i precedenti e le analogie. Il più recente ha riguardato una nave da crociera della MSC, arrivata con dodici ore di ritardo nel porto di Genova lo scorso 3 giugno, a causa di un guasto tecnico in sala macchine che ha generato fumo a bordo, mentre la nave si trovava tra l’isola di Capraia e la Corsica. In quel caso i passeggeri sono stati evacuati ma anche lì la disavventura si concluse per fortuna con nessun ferito. E anche allora fu necessario l’arrivo di un rimorchiatore per sopperire all’avaria dei motori. Andò molto peggio il 18 febbraio del 2022 sulla rotta tra la Grecia e Brindisi: un vero e proprio inferno scoppiato nel cuore della notte ad una decina di miglia a nord della costa greca di Corfu’ con un incendio che si propagò dai garage fino a devastare un intero traghetto ‘ro ro’ della compagnia Grimaldi Lines, l’Euroferry Olympia, partito tre ore prima da Igoumenitsa e diretto a Brindisi. In quel caso si registrarono sei vittime.
Il killer è entrato, ha chiesto di lui e lo ha freddato nella notte nella sede di Buddusò
È stato raggiunto da almeno due colpi di pistola mentre svolgeva il suo turno di servizio nella sede del 118 a Buddusò. Marco Pusceddu, 51 anni di Cagliari, soccorritore di lunga esperienza, è stato ucciso nella notte da un uomo armato e a volto scoperto, che ha fatto irruzione nella struttura chiedendo espressamente di parlare con lui.
L’aggressione è avvenuta intorno alle 23. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo armato ha avuto un breve scambio di parole con Pusceddu, poi ha estratto una pistola e ha aperto il fuoco. I colleghi presenti, sotto shock, hanno tentato di prestare soccorso immediato. È stato allertato un medico, arrivato in pochi minuti, ma le ferite riportate dal soccorritore si sono rivelate fatali.
Originario di Portoscuso ma residente da tempo a Cagliari, Pusceddu era un volto noto nel mondo dell’emergenza sanitaria. La notizia della sua morte ha sconvolto le comunità del capoluogo e del Sulcis, dove in tanti lo ricordano come un professionista preparato e una persona generosa.
L’intera zona è stata posta sotto sequestro e i carabinieri del comando provinciale di Sassari, insieme al nucleo operativo di Ozieri, stanno conducendo le indagini, coordinate dalla Procura. Gli inquirenti stanno ascoltando testimoni e valutando ogni possibile pista: dal movente personale a ipotesi legate a dinamiche lavorative o altre ragioni ancora da chiarire. Nessuna pista, al momento, viene esclusa.
Il gruppo francese ha ceduto le sue attività nel nostro Paese alla ex Newlat Food
Carrefour lascia l’Italiae cede le sue attività a NewPrinces, ex NewLat Food. Il gruppo italiano ha sottoscritto un accordo vincolante da circa 1 miliardo di euro con il colosso della gdo francese per acquisire il 100% di Carrefour Italia. Nella vendita sono compresi 1.188 attività, di cui 41 ipermercati, 315 supermercati e 820 punti vendita.
L’ultimo esercizio del gruppo francese ha segnato in Italia perdite per 150 milioni di euro, e da tempo faticava a rilanciarsi nel nostro Paese. “L’acquisizione di Carrefour Italia rappresenta una tappa fondamentale nella traiettoria di crescita del nostro gruppo. Abbiamo scelto di investire con determinazione in un asset strategico per l’Italia, con l’obiettivo di rilanciare una rete capillare e di valorizzare al massimo le sinergie tra retail e industria”. Lo ha detto Angelo Mastrolia, presidente di NewPrinces Group, che tra i suoi marchi ha anche Delverde, Corticella, Ciccarese, Polenghi, Centrale del Latte, Torre in Pietra, Ala.
L’acquisizione di NewPrinces Group – Nell’ambito dell’operazione:Carrefour reinvestirà quale contributo una tantum 237,5 milioni di euro in Carrefour Italiaa sostegno del rilancio industriale e della continuità operativa; NewPrinces si impegna a investire al closing 200 milioni di euro, destinati a iniziative di sviluppo, innovazione logistica e rinnovamento del brand; gli investimenti complessivi previsti ammontano quindi a 437,5 milioni di euro, finalizzati alla valorizzazione al rilancio della rete e al rafforzamento della competitività sul mercato.
Con l’acquisizione di Carrefour Italia, NewPrinces diventa il secondo gruppo italiano nel food per fatturato e il primo operatore food in termini occupazionali con 13.000 operatori diretti in Italia e più di 18.000 nel mondo, oltre a ulteriori 11.000 persone coinvolte nelle attività accessorie fornite da aziende esterne. A seguito del completamento dell’acquisizione, il fatturato consolidato combined di NewPrinces Group raggiungerà circa 6,9 miliardi di euro.
Carrefour Italia: le attività – Il fatturato complessivo di Carrefour Italia ammonta a circa 3,7 miliardi di euro, con un Ebitda, comprensivo delle attività immobiliari, pari a 115 milioni di euro. La rete di supermercati ha una forte presenza soprattutto nel nord Italia: 314 punti vendita in Lombardia, 202 in Piemonte, 195 nel Lazio, 161 in Liguria, 54 in Toscana, 49 in Emilia Romagna, e presenze anche in Valle d’Aosta e Sardegna. Il gruppo impiega attualmente 18 mila persone, di cui 10 mila diretti e 8 mila indiretti.
Il piano di investimenti prevede, tra l’altro la modernizzazione progressiva dei punti vendita; il rilancio del marchio GS in Italia con un rinnovato posizionamento valoriale e commerciale; l’integrazione operativa con la piattaforma logistica di NewPrinces – che include oltre 600 mezzi refrigerati per la distribuzione di prodotti freschi – e il rafforzamento dei canali home delivery e HoReCa.