La storia del rogo della ThyssenKrupp


Cosa successe a Torino la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007

Commento: Sono passati 8 anni dal tragico rogo, dopo i primi giorni con tante belle parole, alla fine sono rimaste appunto solo parole, parole …. e si continua ha morire ” https://alessandro54.wordpress.com/morti-bianche

” Dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi di lavoro 652 lavoratori (mai stati così tanti dal 2008) ” .

per maggiori dettagli vedere il sito: http://cadutisullavoro.blogspot.it/ 

Per ricordare la breve storia del rogo. Fonte:

http://www.ilpost.it/2011/04/16/la-storia-del-rogo-della-thyssenkrupp/

L’incidente
Poco dopo l’una di notte, sulla linea 5 dell’acciaieria di Torino, sette operai vengono investiti da una fuoriuscita di olio bollente, che prende fuoco. I colleghi chiamano i vigili del fuoco, all’1.15 arrivano le ambulanze del 118, i feriti vengono trasferiti in ospedale. Alle 4 del mattino muore il primo operaio, si chiama Antonio Schiavone. Nei giorni che seguiranno, dal 7 al 30 dicembre 2007, moriranno le altre sei persone ferite in modo gravissimo dall’olio bollente: si chiamavano Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino. Degli operai coinvolti nell’incidente, l’unico superstite e testimone oculare si chiama Antonio Boccuzzi: lavora nella Thyssen da 13 anni, è un sindacalista della UILM, il suo ruolo sarà centrale nella denuncia delle colpe dell’azienda.

Le denunce
I sindacati denunciano immediatamente l’inadeguatezza delle misure di sicurezza nello stabilimento. Le testimonianze di Boccuzzi e degli altri operai accorsi sul posto dell’incidente parlano di estintori scarichi, telefoni isolati, idranti malfunzionanti, assenza di personale specializzato. Non solo: alcuni degli operai coinvolti nell’incidente lavoravano ininterrottamente da dodici ore, avendo accumulato quattro ore di straordinario. Lo stabilimento Thyssen di Torino era in via di dismissione: emerge che da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle misure di sicurezza, nei corsi di formazione. Questo il racconto dell’incidente – e di quello che non funzionò – reso il giorno dopo da Antonio Boccuzzi.

La reazione dell’azienda
La ThyssenKrupp nega di avere alcuna responsabilità e mostra fin dal primo momento un atteggiamento piuttosto ostile alla magistratura e all’opinione pubblica, scossa dalla gravità dell’incidente. Accusa gli operai morti di avere provocato l’incidente con delle loro distrazioni e addirittura con “colpe”, poi si corregge e parla di “errori dovuti a circostanze sfavorevoli”. Nel corso delle indagini, la Guardia di Finanza sequestra ad Harald Hespenhahn, amministratore delegato, un documento riservato in cui si legge che Antonio Boccuzzi – che intanto continua a raccontare quanto ha visto sui giornali e in tv – “va fermato con azioni legali”. Il documento critica pesantemente il pm di Torino, Raffaele Guariniello, e l’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano, sul quale non poter fare affidamento perché schierato dalla parte dei lavoratori.

Il rinvio a giudizio, il processo
Le indagini si chiudono in un tempo relativamente breve, la procura chiede il rinvio a giudizio per sei dirigenti dell’azienda tedesca e il giudice dell’udienza preliminare accoglie le tesi dell’accusa: il presunto reato è omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso. Incendio doloso e omicidio colposo con colpa cosciente per gli altri imputati, dirigenti dello stabilimento di Torino. Questo perché, si leggeva nel dispositivo, “pur rappresentadosi la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali, in quanto a conoscenza di più fatti e documenti” e “accettando il rischio del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea 5″, i dirigenti avrebbero “cagionato” la morte dei sette operai omettendo “di adottare misure tecniche, organizzative, procedurali, di prevenzione e protezione contro gli incendi”. Si va a processo a gennaio del 2009. Durante le udienze emergono altri particolari del funzionamento dello stabilimento. Un operaio racconta che la fabbrica veniva pulita solo in corrispondenza alle visite della ASL. Un altro operaio racconta che l’impianto si fermava solo in caso di problemi alla produzione, se no si interveniva con la linea in movimento. Altri testimoni raccontano che gli incendi sulla linea 5 erano molto frequenti ma gli operai venivano invitati a usare il meno possibile il pulsante di allarme.

Risarcimento danni e sentenze
Il primo luglio del 2008 la ThyssenKrupp ha versato quasi 13 milioni di euro alle famiglie dei sette operai uccisi, e queste si sono impegnate a non costituirsi parte civile. Ieri è arrivata la sentenza di primo grado della seconda corte d’assise di Torino. Come abbiamo detto, l’amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario, è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione. Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento di Torino, Gerald Priegnitz e Marco Pucci, membri del comitato esecutivo dell’azienda, sono stati condannati a 13 anni e 6 mesi per omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) e omissione delle cautele antinfortunistiche. Daniele Moroni, membro del comitato esecutivo dell’azienda, è stato condannato a 10 anni e 10 mesi.

Oggi lo stabilimento di Torino della ThyssenKrupp non esiste più. È stato chiuso nel marzo del 2008 con un accordo tra la ThyssenKrupp, i sindacati, le istituzioni locali e i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, in anticipo sulla data prevista.

L’appello e le sezioni Unite
Ma il processo di secondo grado aveva ribaltato il verdetto. L’appello si era aperto il 28 novembre 2012 e il 28 febbraio 2013 la corte d’assise d’appello di Torino ha ridotto le pene ai sei imputati ed escluso il dolo riconosciuto in primo grado per l’amministratore delegato. Riformata la tesi dell’accusa del dolo eventuale, l’amministratore delegato Harald Espenhahn era stato condannato a 10 anni di carcere. Condanne ridotte anche per gli altri ex dirigenti imputati: 7 anni ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni e mezzo per il direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno e 8 anni per Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza. Infine a Daniele Moroni la corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Giangiacomo Sandrelli aveva inflitto una condanna a 9 anni. Nelle motivazioni i giudici sostennero che “non ci fu dolo”.

A luglio poi Guariniello, insieme ai pm Laura Longo e Francesca Traverso e al pg Ennio Tomaselli, avevano presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello, come avevano fatto anche, con altre motivazioni, le difese degli imputati. La corte di Cassazione aveva poi ordinato il ricalcolo della pena.

Ennesima Beffa Amianto


Turbigo, sentenza beffa sull’amianto “Morti di tumore, nessun colpevole”  

Centrale Termoelettrica dell’Enel di Turbigo in provincia di Milano, 8 operai sono morti tra il  2004 e il  2012 per nesso causale diretto con l’esposizione alle polveri di amianto. Per decenni le polveri d’amianto si disperdevano in fabbrica durante le sostituzioni e manutenzioni delle coibentazioni in amianto di caldaie e tubature

Resta senza un colpevole la morte di otto operai della centrale termoelettrica Enel di Turbigo, in provincia di Milano, colpiti da mesotelioma pleurico.

Gli altri processi per amianto in Lombardia
Quella emessa oggi è la prima sentenza nella serie di processi ancora in corso a Milano a carico di ex manager di società come Fiat e Pirelli, accusati di omicidio colposo in relazione a decessi di operai che sarebbero stati provocati dalla presenza di amianto in stabilimenti lombardi.

19 dicembre 2014
Inchiesta amianto all’Olivetti di Ivrea: chiesto il rinvio a giudizio per 33 indagati.
27 settembre 2014
La Procura di Ivrea ha aperto un fascicolo bis per le morti da amianto alla Olivetti. Nell’inchiesta, che non è ancora conclusa, stanno confluendo altri casi di patologie di sospetta origine professionale. I reati ipotizzati sono gli stessi che figurano nell’indagine conclusa nei giorni scorsi.
“L’emergenza più grave nell’edilizia scolastica” La mappa dell’amianto in Italia. Marche e Abruzzo le regioni più inquinate ma manca la Calabria Nel nostro Paese sono 33.600 i siti censiti e solo 832 quelli bonificati. La Mappa del Ministero dell’Ambiente indica le Marche e il versante adriatico tra le zone con maggiore concentrazione d’amianto ma mancano i dati della Calabria e di altre Regioni – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Dove-si-trova-amianto-in-Italia-1c6cbdf2-b0b7-4d7b-91c5-1475fbb9c9e7.html

1 maggio 2015


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Sentenza Thyssenkrupp: depositate le motivazioni……………


Fonte:
http://www.giurisprudenzapenale.com/2014/09/18/sentenza-thyssenkrupp-depositate-le-motivazioni-delle-sezioni-unite/

Al termine dell’udienza del 24 aprile 2014 la Corte di Cassazione aveva pubblicato la seguente informazione provvisoria:

«In ossequio al principio di colpevolezza la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano la attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie.

  • Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l’illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (colpa cosciente).
  • Nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma anche volitivo la verificazione del fatto di reato. In particolare, nel dolo eventuale, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e quindi rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciò non ostante, si determina ad agire, aderendo a esso, per il caso in cui si verifichi. Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di eventoche si è verificata nella fattispecie concreta. A tal fine è richiesto al giudice di cogliere e valutare analiticamente le caratteristiche della fattispecie, le peculiarità del fatto, lo sviluppo della condotta illecita al fine di ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale.

Il 18 settembre 2014 sono state depositate le motivazioni.

cass pen sez un 2014 38343

art. 18


Dall’inizio degli anni 2000, vari governi italiani hanno tentato a più riprese di riformarlo. I sindacati si sono sempre opposti con decisione ad ognuno di essi, temendo un allentamento della tutela dei lavoratori.

art. 18

Ferme restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.

La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile italiano. l’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

Commento – dopo averci tolto la scala mobile, portato via la festa del 1 maggio, ecc.  oggi ritornano in azione per abolire o modificare l’art. 18 .
Hanno tolto la scala mobile, dicendo che sia la causa del costo del lavoro i fatti hanno dimostrato che non era vero.
Hanno indebolito la presenza dei sindacati nelle aziende, risultato? aziende che decentrano la produzione nei paese dell’est dove dicono che il lavoro costa meno, di contro chiudono le aziende in Italia dando colpa alla CRISI. 
Nessun governo ha preso iniziative per far rimanere le produzioni in Italia, parecchie aziende grandi è piccole hanno chiuso per mancanza di liquidità anche qui non è stato presa nessuna iniziativa per tenere aperte queste aziende.
adesso ritornano……… e se c’era bisogno si è capito da che parte viene l’attacco!!!!!!!!!

da Repubblica.it

alcuni punti dell’ intervista al Ministro Alfano:

Perché riaprire questa discussione? Pensa davvero che gli imprenditori non assumano perché è in vigore l’articolo 18?
“Quella tutela non è stata abolita finora perché ha retto un asse fra il Pd e il sindacati. Ma ormai è il momento di mettere davanti a tutto la necessità di dare un lavoro a chi non ce l’ha, liberando da ogni laccio l’imprenditore che vuole assumere qualcuno
.

Togliendo un diritto si crea occupazione?
“Non vogliamo favorire i licenziamenti ma incrementare le assunzioni. Non vogliamo togliere diritti a chi già lavora ma dare una occasione a chi non ce l’ha, e penso soprattutto a quella metà di ragazzi del Sud che langue nella disoccupazione senza una speranza. Se “sblocchiamo” l’idea che un’assunzione sia un matrimonio a vita, sono sicuro che il mondo delle imprese risponderà. Al Sud come al Nord”.

Dunque la modifica varrebbe solo per i nuovi assunti?
“Sarebbe già un segnale molto forte cominciare dai nuovi assunti. Avere metà dei giovani disoccupati è un attentato al futuro dell’Italia; se pensiamo di risolvere il problema mantenendo in piedi i vecchi totem degli anni settanta credo che perderemo un’occasione preziosa”.

Operaia suicida, protesta a Nola


 

Operaia suicida, protesta a Nola

ANSA – NOLA (NAPOLI), 27 Maggio 2014
 Alcuni esponenti del Comitato di lotta cassaintegrati e licenziati dello stabilimento Fiat di Pomigliano si sono stesi sull’asfalto stamani, davanti al polo logistico del Lingotto a Nola, dipingendosi addome e braccia con vernice rossa e mimando la morte. I manifestanti hanno voluto così ricordare gli operai in CIG che si sono tolti la vita in questi mesi, ultima Maria Baratto che si è uccisa la scorsa settimana nella sua casa di Acerra. Il suo cadavere è stato trovato quattro giorni dopo.

Storia della Festa del Lavoro – 1 Maggio


La Festa del lavoro o Festa dei lavoratori

1 maggioviene celebrata il 1º maggio di ogni anno in molti Paesi del mondo per ricordare l’impegno del movimento sindacale e i traguardi raggiunti dai lavoratori in campo economico e sociale.

La festa ricorda le battaglie operaie, in particolare quelle volte alla conquista di un diritto ben preciso: l’orario di lavoro quotidiano fissato in otto ore (in Italia con il r.d.l. n. 692/1923). Tali battaglie portarono alla promulgazione di una legge che fu approvata nel 1867 nell’Illinois (USA). La Prima Internazionale richiese poi che legislazioni simili fossero introdotte anche in Europa.

 ” R.D.L = regio decreto-legge – Nell’ordinamento italiano il regio decreto-legge (r.d.l.) era un atto avente forza di legge adottato dal Consiglio dei ministri e promulgato dal re durante il Regno d’Italia. Le necessità politiche ed amministrative del Governo avevano indotto lo stesso sin dall’Unità d’Italia ad emanare con regio decreto norme giuridiche di competenza del potere legislativo. Non essendo tale facoltà contemplata da nessuna legge, restava molto controversa la giurisprudenza in merito all’efficacia giuridica delle relative disposizioni, prima che venissero ratificate dal Parlamento. Solo nel 1926 venne approvata una legge (legge 31 gennaio 1926, n. 100) che regolamentava la facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche. L’articolo 3 di tale legge stabiliva che con decreto regio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, si poteva in casi straordinari e nei quali ragioni di urgente ed assoluta necessità lo esigevano, emanare decreti aventi valore di legge a condizione che lo stesso decreto fosse presentato ad una delle due camere, per la conversione, entro la terza seduta dopo la pubblicazione. Il decreto-legge che entro due anni dalla sua pubblicazione non fosse stato convertito in legge, non era più in vigore dal giorno della scadenza di tale termine. I regi decreti legge non abrogati da successive disposizioni e compatibili con la Costituzione repubblicana restano in vigore anche nell’ordinamento della Repubblica Italiana.”

La sua origine risale a una manifestazione organizzata a New York il 5 settembre 1882 dai Knights of Labor, un’associazione fondata nel 1869. Due anni dopo, nel 1884, in un’analoga manifestazione i Knights of Labor approvarono una risoluzione affinché l’evento avesse una cadenza annuale. Altre organizzazioni sindacali affiliate all’Internazionale dei lavoratori – vicine ai movimenti socialisti ed anarchici – suggerirono come data della festività il primo maggio.

Ma a far cadere definitivamente la scelta su questa data furono i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago (USA) e conosciuti come rivolta di Haymarket. Il 3 maggio i lavoratori in sciopero di Chicago si ritrovarono all’ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick. La polizia, chiamata a reprimere l’assembramento, sparò sui manifestanti uccidendone due e ferendone diversi altri. Per protestare contro la brutalità delle forze dell’ordine gli anarchici locali organizzarono una manifestazione da tenersi nell’Haymarket square, la piazza che normalmente ospitava il mercato delle macchine agricole. Questi fatti ebbero il loro culmine il 4 maggio quando la polizia sparò nuovamente sui manifestanti provocando numerose vittime, anche tra i suoi.

L’11 novembre del 1887 a Chicago (USA), quattro operai, quattro organizzatori sindacali e quattro anarchici furono impiccati per aver organizzato il 1º maggio dell’anno precedente lo sciopero e una manifestazione per le otto ore di lavoro.

Il 20 agosto fu emessa la sentenza del tribunale: August Spies, Michael Schwab, Samuel Fielden, Albert R. Parsons, Adolph Fischer, George Engel e Louis Lingg furono condannati a morte; Oscar W. Neebe a reclusione per 15 anni. Otto uomini condannati per essere anarchici, e sette di loro condannati a morte. Le ultime parole pronunciate furono: Spies: “Salute, verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!” Fischer: “Hoch die Anarchie! (Viva l’anarchia!)” Engel: “Urrà per l’anarchia!” Parsons, la cui agonia fu terribile, riuscì appena a parlare, perché il boia strinse immediatamente il laccio e fece cadere la trappola. Le sue ultime parole furono queste: “Lasciate che si senta la voce del popolo!”

L’allora presidente Grover Cleveland ritenne che la festa del primo maggio avrebbe potuto costituire un’opportunità per commemorare questi episodi. Successivamente, temendo che la commemorazione potesse risultare troppo a favore del nascente socialismo, stornò l’oggetto della festività sull’antica organizzazione dei Cavalieri del lavoro. Pochi giorni dopo il sacrificio dei Martiri di Chicago, i lavoratori di Chicago tennero un’imponente manifestazione di lutto, a prova che le idee socialiste non erano affatto morte.

La data del primo maggio fu adottata in Canada nel 1894 sebbene il concetto di festa del lavoro sia in questo caso riferito a precedenti marce di lavoratori tenute a Toronto e Ottawa nel 1872.

In Europa la festività del primo maggio fu ufficializzata dai delegati socialisti della Seconda Internazionale riuniti a Parigi nel 1889 e ratificata in Italia due anni dopo. La rivista La Rivendicazione, pubblicata a Forlì, cominciava così l’articolo Pel primo Maggio, uscito il 26 aprile 1890: “Il primo maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento”.

Il 1º maggio 1955 papa Pio XII istituì la festa di San Giuseppe lavoratore, perché tale data potesse essere condivisa a pieno titolo anche dai lavoratori cattolici.

 

 

 

 

Adriano Olivetti


Olivetti

Adriano Olivetti Ivrea 1 Aprile 1901   Aigle,  27 febbraio 1960 è stato un  imprenditore, ingegnere e politico italiano, figlio di Camillo Olivetti (fondatore della  Ing C. Olivetti & C, la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere e Luisa Revel e fratello dell’ industriale Massimo Olivetti. Uomo di grande e singolare rilievo nella storia italiana del secondo dopoguerra, si distinse per i suoi innovativi progetti industriali basati sul principio secondo cui il profitto aziendale deve essere reinvestito a beneficio della comunità.

Lettera 22- 2

Lettera 22

Adriano Olivetti e la fabbrica

Adriano Olivetti riuscì a creare nel dopoguerra italiano un’esperienza di fabbrica nuova ed unica al mondo in un periodo storico in cui si fronteggiavano due grandi potenze: capitalismo e comunismo. Olivetti credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l’organizzazione del lavoro comprendeva un’idea di felicità collettiva che generava efficienza.

Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell’ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni. Anche all’interno della fabbrica l’ambiente era diverso: durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c’era una divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti.

L’azienda accoglieva anche artisti, scrittori, disegnatori e poeti, poiché l’imprenditore Adriano Olivetti riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità. Adriano Olivetti credeva nell’idea di comunità, unica via da seguire per superare la divisione tra industria e agricoltura, ma soprattutto tra produzione e cultura. L’idea, infatti, era quella di creare una fondazione composta da diverse forze vive della comunità: azionisti, enti pubblici, università e rappresentanze dei lavoratori, in modo da eliminare le differenze economiche, ideologiche e politiche. Il suo sogno era di riuscire ad ampliare il progetto a livello nazionale, in modo che quello della comunità fosse il fine ultimo.

Adriano Olivetti è riuscito a superare l’idea di utopia impossibile da realizzare, creando un progetto che sapesse realizzare i sogni della collettività.

La Fiom riempie piazza del Popolo Landini:


21 ottobre 2011 Fonte: Repubblica.it

La Fiom riempie piazza del Popolo Landini:

“Cambiamo il governo e questo Paese”

Video 1 : http://youtu.be/5FWmIfiNkLg

Video 2:

 http://youtu.be/P-UyM-G0gYY

Video 3 : http://youtu.be/urtEObvFzg4

Video 4 : http://youtu.be/_1bjlORy2gg

Il corteo.A essere presidiata non era solo la piazza ma anche tutta l’area limitrofa: la paura di ripetere le scene di sabato scorso era alta. Anche se l’aria che si respirava alla manifestazione sindacale era completamente differente: età media molto più alta e una imponente e ben rodata struttura organizzativa alle spalle. Lo hanno capito anche gli agenti, e infatti il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha fatto cominciare la giornata con uno strappo alla regola che è passato senza problemi: ovvero il mini-corteo operaio da villa Borghese a piazza del Popolo. Le disposizioni di Alemanno in realtà lo vietavano. Ma con la scusa di raggiungere tutti insieme la piazza da viale Washington, dove erano arrivati i pullman da ogni parte d’Italia, la marcia c’è stata. “In piazza del Popolo dobbiamo pur arrivarci, non possiamo mica volare 2“, è stata la battuta Landini. Il sindaco di Roma ha fatto buon viso a cattivo gioco e a distanza ha commentato: “Devo dire che l’ordinanza in vigore è stata rispettata. Ringrazio la Fiom per la disponibilità”.
Le adesioni. A sfilare c’erano i lavoratori di tutte le principali realtà industriali del paese: Fiat, Magneti-Marelli, Alfa Romeo, Irisbus, Fincantieri e anche quelli della Ferrari. I quali hanno invitato nientemeno che Fernando Alonso a scioperare con loro: “Siamo da tre anni senza contratto aziendale. E siccome lui appoggia gli indignados spagnoli, può stare anche con noi”, spiegava uno di loro. Il tema caldo è ovviamente legato al Lingotto: la richiesta è di esprimere con chiarezza quali siano i suoi impegni nei riguardi del Paese e, in particolare, di consegnare il piano industriale di Fabbrica Italia. Secondo Fiat, lo sciopero di otto ore proclamato dalla Fiom negli stabilimento del gruppo è stata dell’11%. I dati del sindacato invece parlano di un 50% di media, con punte del 70% alla Iveco di Torino.

Sicurezza sul lavoro


17 ottobre 2011 Fonte: Repubblica.it

Sicurezza sul lavoro
La Ue mette in mora l’Italia

Con una lunga e dettagliata lettera Bruxelles segnala l’apertura di un procedimento contro il nostro Paese

L’Italia non rispetta le direttive europee in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Con una lunga e dettagliata lettera di “messa in mora”, recapitata il 30 settembre scorso al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, la Commissione europea ha aperto un procedimento di infrazione contro l’Italia. Facendo a pezzi, in sei punti, il Testo Unico sulla sicurezza, proprio nella parte riformata dal decreto Sacconi il 3 agosto 2009. Si scopre così che la tanto contestata norma “salva manager”, quella che deresponsabilizza i datori di lavoro nel caso di incidente e che il ministro del Welfare Maurizio Sacconi disse pubblicamente  –  sull’onda dei processi Thyssen e Eternit – di aver stralciato, è in vigore. Mimetizzata dentro una complessa ragnatela di articoli e commi, ma ancora lì nel Testo Unico.

Tutto nasce dalla petizione di un operaio metalmeccanico di Firenze,  Marco Bazzoni. A novembre del 2009, a titolo individuale  e senza organizzazioni alle spalle, ha scritto alla Commissione europea, convinto che il decreto Sacconi appena approvato violasse alcune disposizioni dell’Ue. La Commissione ha dichiarato ricevibile la petizione a marzo del 2010. Poi i tecnici che si occupano di affari sociali e lavoro per mesi hanno passato al setaccio il Testo Unico, parlando anche con i funzionari del ministero del Welfare. A settembre di quest’anno, è stata decisa “la costituzione in mora” contro l’Italia <Per ritrovare la “salvamanager” bisogna fare le acrobazie da un articolo all’altro del nuovo Testo Unico. Il presupposto di partenza è che i datori di lavoro e i dirigenti possono delegare e subdelegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 18), mantenendo comunque l’obbligo di vigilare sul delegato. Obbligo che si considera pienamente assolto (art. 16 comma 3) in caso di adozione e ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo. Eccolo il passaggio che ha insospettito la Commissione. A valutare se i dirigenti abbiano correttamente vigilato e siano da ritenere non penalmente responsabili in caso di incidente, a valutare cioè se il modello di verifica e controllo sull’operato dei delegati alla sicurezza sia stato efficace, non è un soggetto terzo come l’Ispettorato del Lavoro, e nemmeno un giudice in sede di accertamento penale, com’è stato fino a prima della riforma. E’ un organismo paritetico (art 51), costituito proprio da associazioni di datori di lavoro, quindi con un obiettività di giudizio quantomeno limitata. Una “salvamanager” più complicata e leggermente depotenziata rispetto a quella inserita nella bozza del decreto Sacconi, che aveva efficacia retroattiva applicandosi ai processi in corso, ma comunque considerata un escamotage dalla Commissione a vantaggio dei capi delle aziende. E non è l’unico profilo di irregolarità ravvisato nel Testo Unico.

La normativa italiana sarebbe in contrasto con la direttiva europea  –  si legge nella lettera di messa in mora  –  anche per l’obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro per i datori che occupano fino a 10 dipendenti e per la proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate ad imprese esistenti. Il Testo Unico (art 28) concede infatti al datore di lavoro ben 90 giorni dall’inizio dell’attività per elaborare il documento sulla valutazione del rischio. Troppi, secondo la Commissione.

Le altre quattro contestazioni riguardano l’obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro, l’applicazione della normativa su sicurezza e salute per le cooperative sociali e le organizzazioni di volontariato della protezione civile, le disposizioni di prevenzione incendi per gli alberghi con oltre 15 posti letto, esistenti in data aprile 1994. Adesso il governo italiano ha due mesi di tempo per trasmettere alla Commissione le proprie osservazioni. Dopodiché, in caso di chiarimenti non sufficienti, avrà un po’ di tempo (si parla di altri due mesi) per modificare il Testo Unico ed evitare il ricorso per inadempimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con relative possibili e onerose sanzioni.

Ennesime morti sul lavaro…….


14 ottobre 2011 Fonte Corriere della Sera

Lavoro tragico : Ieri due morti

Due morti ieri in altrettante tragedie sul lavoro in Lombardia. Il ribaltamento del rullo schiacciasassi che stava moanovrando è costato la vota a un operaio che ieri mattina stava lavorando a Montano Lucino, in un cantiere stradale.Si tratta di A.G. S., di 42 anni, dipendente della ditta Ronzoni.

Un morto anche a Orzivecchi, nella bassa bresciana: A.D., 35 anni, è stato risucchiato dal cardano del trattore che stava sistemendo.

Commento: questa notizia è stata pubblicata dal Corriere della Sera a pag 13 della cronaca di Milano, oramai le “morti bianche”, A parte qualche caso ecclatante non fanno più notizia.

Muore sul lavoro padre di famiglia


04 ottobre 2011 Corriere della sera  cronaca di Milano  a  pag. 13 Lombardia

Brescia – Muore sul lavoro padre di Famiglia

Un’altra tragedia sul lavoro in provincia di Brescia. A Corteno Colgi, in Alta Valcamonica, a pochi passi dal confine con la provincia di Sondrio, un artigiano di 54 anni, P. S., residente in paese, sposato e padre di un figlio, mentre era impegnato in un albergo a smantellare l’impianto di un ascensore, è stato colpito da un grosso manufatto. Immediato l’allarme, ma per l’uomo non c’è stato niente da fare. 

Operai travolti da un muro di terra


30 settembre 2011 –  Corriere della sera “Milano”

Operai travolti da un muro di terra

Due operai che stavano lavorando in un cantiere di Piazza Novelli sono stati travolti ieri pomeriggio dalla caduta di un muro di contenimento di una camera fognaria. Non sono gravi. L’infortunio sul lavoro è avvenuto alle 18. i due dipendenti sono stati immediatamente soccorsi dai vigili del fuoco.Uno (italiano,27 anni)è finito a Niguarda con una mano fratturata. Il collega albanese di 53 anni al Policlinico con le gambe fratturate.  

CGIL lavorare in sicurezza è un dovere civile


CGIL  lavorare in sicurezza è un dovere civile

L’idea di diffondere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro anche attraverso il teatro continua a piacerci.

L’occasione è data da “Giorni rubati”, uno spettacolo scritto e interpretato da Giammarco Mereu, ex operaio vittima di un grave incidente sul lavoro.

La rappresentazione teatrale trae spunto dal terribile infortunio subito dal giovane operaio, che nel 2006 venne investito dal cancello del cantiere dove lavorava. Un peso di seicento chili che gli ha spezzato la schiena, costringendolo per sempre su una sedia a rotelle. La costrizione fisica non gli ha però impedito di usare il pensiero; la sua mente ha ideato e permesso di portare in scena “Giorni rubati”, che è il racconto di quella terribile esperienza e delle conseguenze che ha avuto sulla sua vita.

 La Segreteria Regionale CGIL Lombardia

 Il Dip. Reg. Salute e Sicurezza 

 
dal 4 al 9 ottobre 2011
produzione Rossolevante
GIORNI RUBATI
testo Gianmarco Mereu
regia
Silvia Cattoi e Juri Piroddi
 
con Gianmarco Mereu Giancarlo Brioni, Silvia Cattoi, Juri Piroddi
drammaturgia collettiva
musiche di scena eseguite dal vivo dal Maestro Giancarlo Brioni
costumi Francesca Pischedda
video Fabio Fiandrini
foto Lara Depau, Antonia Dettori, Pietro Basoccu

Una Poesia in memoria……….


Una poesia in memoria dei sette lavoratori della ThyssenKrupp morti così tragicamente

Il cuore in Fabbrica Il cuore rimasto in Fabbrica anche adesso che ho raggiunto la pensione Sognavamo il cielo ma da decenni è sempre più lontano Il silenzio e la solitudine circondano la mia Fabbrica e tutte le fabbriche d’Italia La classe operaia non è più centrale e il paradiso è diventato inferno di fiamme di fuoco e d’olio bruciato di operai sfiniti che fanno notizia solo quando diventano torce umane Operai sfruttati come non è successo mai Il silenzio e la solitudine circondano la mia Fabbrica e tutte le fabbriche d’Italia Anche il nostro bravo Presidente urla instancabile le morti sul lavoro ma anche le sue sono urla impotenti Addio Compagni di fatica, di sogni e d’ideali Bagnati dalle nostre lacrime riposate in pace.

Carlo Soricelli metalmeccanico in pensione

Morti Bianche


OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA SULLE MORTI PER INFORTUNI SUL LAVORO ATTIVO DAL 1 GENNAIO 2008

PER NON DIMENTICARE

Antonio schiavone 36 anni
Roberto Scola 32 anni
Angelo Laurino 43 anni,

Bruno Santino 26 anni
Rocco Marzo 54 anni,

Rosario Rodinò 26 anni
Giuseppe Demani 26 anni

E TUTTI I LAVORATORI MORTI PER INFORTUNI SUL LAVORO

DEDICHIAMO IL 6 DICEMBRE IL GIORNO DELL’INFORTUNIO MORTALE DEI SETTE OPERAI DELLA THYSSENKRUPP DI TORINO A TUTTI I MORTI PER INFORTUNI SUL LAVORO

http://youtu.be/_CbQZ76Xg_8 

Incidenti sul lavoro, 269 morti da gennaio
Nelle ultime 24 ore sei nuove vittime

Dall’inizio dell’anno l’ incremento, rispetto allo stesso periodo del 2010 è del 21,4 %. Ma a questa cifra va aggiunta quella degli incidenti nel percorso casa-lavoro, vittime spesso dovute a stanchezza e stress per le condizioni lavorative: Il numero raggiunge il record drammatico di 509

lE CATEGORIE PIù COLPITE SONO:

EDILIZIA 78 – 29,4% – AGRICOLTURA 73- 28% – INDUSTRIA 29 – 10,1%

AUTOTRASPORTO 22 – 8,3% – STRANIERI 29 – 11%

Le ultime sei vittime, oggi, sono un operaio romeno di 27 anni precipitato dal tetto dell’azienda per cui stava lavorando, a Borgo Isonzo, in provincia di Latina, due operai di Appiano e Chermes, dipendenti di un’impresa di manutenzione dei pozzi neri, trovati morti all’interno di un pozzo a Vipiteno 2, un pescatore di Chioggia (Venezia) disperso in mare 3 dopo che il peschereccio su cui stava lavorando è affondato al largo della costa veneta e un operaio romeno, P.G., è morto folgorato mentre lavorava 4 alla costruzione di un ponte sul fiume Giovenco nel territorio del Comune di San Benedetto dei Marsi (L’Aquila). L’uomo era alla guida di una autogru che azionava la pompa del calcestruzzo e, per motivi da chiarire, ha urtato i fili dell’alta tensione: il giovane è morto all’ istante. La sesta vittima è un operario romeno di 43 anni, Gheorghe Peteleu, morto stasera schiacciato dalle ruote di un camion che stava riparando. L’incidente mortale si è verificato all’interno della concessionaria Volvo veicoli industriali di viale Zaccagna a Marina di Carrara.

Due operai, invece, sono rimasti feriti in un incidente sul lavoro verificatosi in un’impresa metalmeccanica di Gela che opera nella zona industriale. Uno dei due lavoratori, un 53enne, è stato immediatamente ricoverato all’ospedale di Gela “Vittorio Emanuele” e sottoposto a intervento chirurgico. Le sue condizioni sono subito apparse più gravi rispetto a quelle del suo collega. L’uomo è stato colpito dal braccio di una gru abbattutasi sulla cabina di un mezzo pesante.

OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA MORTI SUL LAVORO. INFORTUNI MORTALI. MORTI BIANCHE.

OSSERVATORIO VOLONTARI DI BOLOGNA SULLE MORTI PER INFORTUNI SUL LAVORO, ATTIVO DAL 1 GENNAIO 2008 IN RICORDO DEI SETTE LAVORATORI DELLA THYSSENKRUPP MORTI COSI’ TRAGICAMENTE. SONO REGISTRATI I MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO DEL 2011 2010 2009 2008. I morti aumentano sui campi, nei cantieri e nei servizi alle imprese. Calano solo sulle strade e in itinere per merito di automobili più sicure che anche i lavoratori acquistano dopo aver rottamato le vecchie.