E’ ben gradito un’applauso!!! Grazie
novembre 2025
| Violenza contro le donne, la doppia emergenza: cure insufficienti e cicatrici che restano nel Dna |
| articolo di Ruggiero Corcella: https://www.corriere.it/salute/figli-genitori/25_novembre_22/violenza-donne-emergenza-cure-7668bb6b-ea9d-4c5a-b59e-8ffd81404xlk.shtml?refresh_ce |
| Un nuovo rapporto dell’Oms/Europa denuncia la grave inadeguatezza dei sistemi sanitari nella risposta alla violenza contro donne e ragazze, mentre i primi risultati del progetto EpiWE dell’Istituto Superiore di Sanità mostrano come l’esperienza traumatica lasci segni profondi e duraturi, fino addirittura a modificare l’attività dei geni |

La violenza contro le donne e le ragazze resta una delle più gravi emergenze sanitarie del nostro tempo. A denunciarlo è il nuovo rapporto dell’OMS/Europa, «Care, courage, change: health-sector leadership in tackling violence against women and girls» («Cura, coraggio, cambiamento: leadership del settore sanitario nel porre fine alla violenza contro donne e ragazze»), presentato a Madrid. Il documento fotografa una realtà allarmante: «Un sorprendente 28,6% delle donne e delle ragazze nella Regione Europea dell’Oms di età pari o superiore a 15 anni subirà violenza fisica e/o sessuale nel corso della propria vita». Numeri che confermano l’ampiezza di una crisi diffusa e radicata, e che mettono in luce l’incapacità dei sistemi sanitari di fornire risposte adeguate. Come afferma Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa: «La violenza contro le donne e le ragazze ha raggiunto livelli di crisi e i nostri sistemi sanitari sono spesso il primo e unico punto di contatto per le sopravvissute».
Servizi essenziali ancora troppo rari – Il rapporto Oms rivela lacune profonde nei servizi sanitari essenziali che dovrebbero essere garantiti in ogni Paese. Su 53 Stati membri, soltanto il 13% offre servizi di aborto sicuro, il 32% la contraccezione d’emergenza e la profilassi post-esposizione all’Hiv, e appena il 38% la profilassi per le infezioni sessualmente trasmissibili o una valutazione della salute mentale. Perfino gli strumenti di segnalazione dei problemi psicologici sono disponibili solo nel 43% dei Paesi. Inoltre, quasi un terzo dei paesi (32%) richiede ancora agli operatori sanitari di denunciare alla polizia la violenza domestica o del partner senza il consenso delle vittime adulte. L’Oms sconsiglia vivamente questa pratica perché viola l’autonomia delle vittime, viola la riservatezza ed è noto che scoraggia le donne dal cercare aiuto
Una situazione che lo stesso Kluge sintetizza così: «I nostri dati mostrano che gli impegni politici per proteggere la salute e il benessere di donne e ragazze e porre fine alla violenza di genere non si traducono in cure sicure e accessibili. I sistemi sanitari stanno abbandonando le vittime nel momento di maggiore vulnerabilità. I politici devono andare oltre le dichiarazioni di facciata e attuare pienamente il pacchetto di cure raccomandato dall’Oms, in particolare i servizi post-stupro urgenti e l’accesso all’aborto sicuro».
Dove si vedono spiragli – Non mancano, però, elementi di progresso. Il 75% degli Stati membri ha introdotto politiche per la formazione degli operatori sanitari, mentre oltre due terzi (68%) prevedono ora un supporto di prima linea composto da ascolto empatico e non giudicante. Tuttavia, la difficoltà nel rendere obbligatorio l’intero pacchetto di servizi essenziali rischia di frenare i progressi. Lo ricorda Melanie Hyde, autrice del rapporto Oms e responsabile tecnica per le questioni di genere, uguaglianza e diritti umani dell’Oms/Europa: «Come persona che ha lavorato a stretto contatto con i sopravvissuti per molti anni, e come sopravvissuta io stessa, so quanto sia fondamentale che ogni parte del sistema sanitario risponda con compassione e competenza. Sappiamo che le vittime ricorreranno ai servizi sanitari, anche se non rivelano la violenza. Ecco perché è così importante che gli operatori conoscano le diverse forme di violenza e come reagire in modo non giudicante». E aggiunge: «Anche solo sentirsi dire “Credo in te e sono qui per aiutarti” può fare molto nel processo di guarigione».
L’urgenza di cambiare rotta – Secondo l’Oms/Europa servono tre azioni immediate: rendere obbligatorio l’intero pacchetto di servizi essenziali, rimuovere gli ostacoli che compromettono l’autonomia delle vittime e investire risorse per l’implementazione. Un impegno che alcuni Paesi stanno già assumendo. La ministra della Salute spagnola, Mónica García, spiega: «Abbiamo cercato di fare dell’assistenza sanitaria di base uno degli strumenti chiave per identificare la violenza e offrire supporto adeguato». E sottolinea l’importanza di «rafforzare lo screening sistematico, la formazione specializzata e il coordinamento con le risorse giudiziarie, forensi e sociali». Una sopravvissuta del Regno Unito ricorda cosa significhi essere al centro delle politiche sanitarie: «Credo di avere il diritto di essere al sicuro, di non essere ferita raccontandovi cosa mi è successo […] di essere trattata con compassione e rispetto».
Le cicatrici invisibili sul Dna: il progetto EpiWE – Se l’Oms denuncia carenze strutturali, l’Italia contribuisce alla comprensione delle conseguenze biologiche della violenza con il progetto EpiWE, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute. I primi cento campioni di sangue raccolti mostrano che oltre la metà delle vittime presenta disturbi post-traumatici, il 23% sintomi depressivi e il 32% un alto rischio di subire nuovamente violenza. Il progetto indaga gli effetti epigenetici dello stress traumatico, ossia quelle modificazioni dell’attività dei geni che non alterano la sequenza del Dna ma ne modificano il funzionamento. «La violenza domestica lascia tracce epigenetiche che modificano l’espressione dei geni», spiega Simona Gaudi, responsabile del progetto per l’Iss. «Studiare queste modificazioni potrebbe permetterci di predire gli effetti a lungo termine della violenza e sviluppare interventi preventivi personalizzati».
Una mappa dettagliata delle conseguenze – I dati raccolti finora su 76 vittime delineano un quadro tanto drammatico quanto fondamentale per comprendere l’impatto della violenza sulle donne. Il 27% presenta diagnosi di PTSD e il 28,4% di disturbo post-traumatico complesso. La depressione colpisce quasi una donna su quattro. La violenza, nel 90% dei casi, è ripetuta nel tempo; nel 97% dei casi l’aggressore è un uomo e nel 71% un partner o ex partner. Si tratta di numeri che suggeriscono una vulnerabilità ricorrente e di lungo periodo, spesso aggravata da un contesto sociale e familiare complesso. Il progetto, attivo in Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria, prevede anche l’uso del questionario EpiWEAT in cinque lingue, pensato per raggiungere donne straniere e mediatori culturali. Per informazioni o per aderire al progetto EpiWE: epi_we@iss.it.
I bambini che assistono alla violenza: il progetto EpiCHILD – La ricerca non riguarda solo le donne: attraverso EpiCHILD, un questionario digitale dedicato ai minori, EpiWE ha raccolto dati su 26 bambini e adolescenti tra 7 e 17 anni. I risultati mostrano che quasi l’80% ha vissuto come traumatico l’aver assistito a violenze fisiche in famiglia. Emergono casi di PTSD complesso e depressione elevata; nel 92,3% dei casi l’aggressore è il padre. Gaudi ribadisce l’urgenza di «screening sistematici nelle strutture sanitarie e nei servizi sociali, interventi multidisciplinari integrati, protocolli di prevenzione personalizzati e monitoraggio longitudinale». Lo studio proseguirà con follow-up programmati per valutare l’evoluzione dei sintomi e costruire una base dati utile alla ricerca sul trauma transgenerazionale.
Il coraggio di agire – A conclusione del rapporto Oms, Kluge lancia un appello netto: «Non possiamo più restare spettatori della crisi di salute pubblica causata dalla violenza di genere. Chi detiene il potere deve ora tradurre gli impegni in azioni concrete e garantire che ogni donna e ragazza riceva cure essenziali salvavita, dignità e possibilità di scelta. Abbiamo le conoscenze necessarie; ora troviamo il coraggio di fare del settore sanitario il primo soccorritore che ogni sopravvissuta merita».

