Strage di Piazza Fontana: 17 morti, tanti misteri e nessuna condanna.
articolo: Strage di piazza Fontana – Wikipedia

La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura che causò 17 morti e 88 feriti. È considerata «la madre di tutte le stragi», il «primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra», «il momento più incandescente della strategia della tensione» e da alcuni è ritenuta l’inizio del periodo passato alla storia in Italia come anni di piombo, ma è da ritenersi apice di azioni precedenti come gli attentati alla Fiera Campionaria di Milano in aprile 1969 e i falliti attentati coevi in piazza Scala e a Roma.
La Storia – Venerdì 12 dicembre 1969 la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, era piena di clienti venuti soprattutto dalla provincia; alle 16:30, mentre gli altri istituti di credito chiudevano, all’interno della filiale c’erano ancora molte persone. L’esplosione avvenne alle 16:37, quando nel grande salone dal tetto a cupola scoppiò un ordigno contenente 7 chili di tritolo, uccidendo 17 persone, delle quali 13 sul colpo, e ferendone altre 87; la diciassettesima vittima morì un anno dopo per problemi di salute legati all’esplosione. Una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. La borsa fu recuperata ma l’ordigno, che poteva fornire preziosi elementi per l’indagine, fu fatto brillare dagli artificieri la sera stessa. Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 nel passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio; altre due esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia. I feriti a Roma furono in tutto 16.
Le indagini – Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma (tra i quali figurava Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali figurava Giuseppe Pinelli). Secondo quanto dichiarato da Antonino Allegra, ai tempi responsabile dell’ufficio politico della questura, alla Commissione Stragi, gli arresti erano stati particolarmente numerosi e avevano interessato anche esponenti della destra estrema, con lo scopo di evitare che nei giorni seguenti questi individui, ritenuti a rischio, potessero dare vita a manifestazioni o altre azioni pericolose per l’ordine pubblico.
Da Milano il prefetto Libero Mazza, su segnalazione di Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del Viminale, avvisò il Presidente del Consiglio Mariano Rumor: «L’ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi». Ipotesi che si rivelò un depistaggio attuato proprio dall’Ufficio Affari Riservati; trent’anni dopo, Paolo Emilio Taviani avanzò l’ipotesi “che i depistaggi, in base ai quali quella strage sarebbe stata a lungo attribuita agli anarchici e a Pietro Valpreda, fossero stati organizzati prima, non dopo lo scoppio della bomba“
Giuseppe Pinelli – Il 12 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati successivamente rivelatisi di matrice neofascista), venne fermato e interrogato a lungo in questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, morì dopo essere precipitato dal quarto piano della questura. L’inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D’Ambrosio, individuò la causa della morte in un malore, in seguito al quale l’uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza; la prima versione, risalente al 16 dicembre, indicava che Pinelli si era buttato dopo che il suo alibi era crollato, urlando «È la fine dell’anarchia»
Pietro Valpreda – Il 16 dicembre venne arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l’uomo che nel pomeriggio del 12 dicembre era sceso dal suo taxi in piazza Fontana, recando con sé una grossa valigia. Rolandi ottenne anche la taglia di 50 milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. Valpreda fu interrogato dal sostituto procuratore Vittorio Occorsio che gli contestò l’omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre ottanta. Il giorno dopo il Corriere della Sera titolò che il «mostro» era stato catturato, e il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Marcello Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.
Le dichiarazioni del tassista determinano, però, uno scenario poco plausibile in quanto egli dichiarò che Valpreda avrebbe preso il suo taxi in piazza Cesare Beccaria, la quale dista 130 metri a piedi da piazza Fontana, ma venne osservato che Valpreda fosse claudicante. Il taxi, però, non si fermò in piazza Fontana, ma proseguì sino alla fine di via Santa Tecla e in tal modo Valpreda dovette percorrere 110 metri a piedi, al posto dei 130 metri originari risparmiando 20 metri ma ponendolo però di fronte al rischio di farsi riconoscere; inoltre Valpreda avrebbe chiesto al tassista di attenderlo e in questo modo, avrebbe dovuto ripercorrere all’inverso i 110 metri (anche se questa volta non avrebbe portato più con sé la pesante valigia). Indagini successive videro prendere corpo l’ipotesi di un sosia, il quale prese il taxi al posto di Valpreda. Venne quindi avanzata dalla pubblicistica un’ipotesi, secondo cui il sosia sarebbe stato tale Antonio Sottosanti, un ex legionario siciliano, infiltrato nel circolo anarchico di Pinelli nel quale era conosciuto – per via dei suoi trascorsi – come «Nino il fascista», ipotesi mai riscontrata.
I processi – Il processo iniziò a Roma il 23 febbraio 1972; dopo essere stato trasferito a Milano per incompetenza territoriale fu spostato a Catanzaro per motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto. Dopo una serie di rinvii dovuti al coinvolgimento di nuovi imputati (Franco Freda e Giovanni Ventura nel 1974, Guido Giannettini nel 1975) la Corte d’assise condannò all’ergastolo Freda, Ventura e Giannettini, ritenuti gli organizzatori della strage. Gli altri imputati, Valpreda e Merlino, furono assolti per insufficienza di prove ma condannati a 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere. La Corte d’appello assolse tutti gli imputati dall’accusa principale, confermando le condanne di Valpreda e Merlino, e condannò i due neofascisti a 15 anni per gli attentati di Milano e Padova, compiuti tra l’aprile e l’agosto del 1969: la Cassazione confermò l’assoluzione per Giannettini e ordinò un nuovo processo per gli altri quattro imputati. Il nuovo dibattimento cominciò il 13 dicembre 1984 presso la Corte d’appello di Bari e si concluse il 1º agosto 1985 con l’assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove: il 27 gennaio 1987 la Cassazione rese definitive le assoluzioni per strage, condannando soltanto alcuni esponenti dei servizi segreti italiani (il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna) per aver depistato le indagini. Una nuova istruttoria, aperta a Catanzaro, portò a processo i neofascisti Stefano Delle Chiaie e Massimiliano Fachini, accusati di essere rispettivamente l’organizzatore e l’esecutore della strage: il 20 febbraio 1989 entrambi gli imputati furono assolti per non aver commesso il fatto (l’accusa aveva chiesto l’ergastolo per Delle Chiaie e l’assoluzione per insufficienza di prove per Fachini). Il 5 luglio 1991, al termine del processo d’appello, fu confermata l’assoluzione di Delle Chiaie.
Negli anni novanta l’inchiesta del giudice Guido Salvini affacciò anche un’ipotesi di connessione col fallito golpe Borghese e raccolse le dichiarazioni di Martino Siciliano e Carlo Digilio, ex neofascisti di Ordine Nuovo, i quali confessarono il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato, ribadendo le responsabilità di Freda e Ventura; in particolare Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l’immunità all’estradizione.
Il nuovo processo cominciò il 24 febbraio 2000 a Milano. Il 30 giugno 2001 furono condannati all’ergastolo Delfo Zorzi (come esecutore della strage), Carlo Maria Maggi (come organizzatore, già assolto per la strage della questura ma condannato in seguito all’ergastolo in via definitiva per la strage di piazza della Loggia) e Giancarlo Rognoni (come basista). Carlo Digilio ottenne la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli per il suo contributo alle indagini, mentre Stefano Tringali fu condannato a tre anni per favoreggiamento). Il 12 marzo 2004 furono cancellati i tre ergastoli (e ridotta la condanna di Tringali da tre anni a uno) e il 3 maggio 2005 la Cassazione ha confermato la sentenza (dichiarando prescritto il reato di Tringali). Al termine il processo nel maggio 2005 ai parenti delle vittime sono state addebitate le spese processuali. La Cassazione, assolvendo i tre imputati, ha tuttavia affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata dalla cellula eversiva di Ordine Nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili in quanto assolti con sentenza definitiva nel 1987. Sebbene gli ordinovisti indicati siano quindi considerati gli ispiratori ideologici, non è mai stato mai individuato a livello giudiziario l’esecutore materiale, ossia l’uomo che pose personalmente la valigia con la bomba.
Le vittime –
- Giovanni Arnoldi, 42 anni, di Magherno (Pavia), sposato e padre di due figli.
- Gerolamo Papetti, 79 anni, di Rho, agricoltore.
- Carlo Garavaglia, 67 anni, pensionato, vedovo con una figlia.
- Mario Pasi, 50 anni, geometra, di Milano, amministratore di terreni agricoli e di edifici. Sposato.
- Giulio China, 57 anni, di Novara, imprenditore agricolo, sposato con due figlie.
- Eugenio Corsini 65 anni, di Milano, rappresentante di lubrificanti per macchine agricole. Sposato.
- Carlo Gaiani, 57 anni, di Milano, coltivatore, sposato con un figlio.
- Luigi Perego, 69 anni, Usmate Velate (Monza), titolare di un’agenzia di assicurazioni specializzata in polizze per agricoltori. Sposato con un figlio.
- Oreste Sangalli, 49 anni, di Milano, gestiva l’Azienda agricola Ronchetto (Corsico).
- Pietro Dendena, 45 anni, di Lodi, commercianti di bestiame.
- Carlo Silva, 71 anni, di Milano, si occupava della vendita di lubrificanti per macchine agricole. Sposato con due figli.
- Paolo Gerli, 77 anni, di Milano, gestiva una azienda agricola di San Donato Milanese. Sposato con tre figlie.
- Luigi Meloni, 57 anni, di Corsico (Milano). Commerciante di bestiame. Sposato con un figlio.
- Attilio Valè, 52 anni, di Noviglio (Milano), macellaio.
- Calogero Galatioto, 77 anni, era in banca per versare un assegno: venne colpito da una scheggia alla schiena. Morì il 3 gennaio del 1970 in ospedale
- Angelo Scaglia, 61 anni, agricoltore di Abbiategrasso, padre di undici figli (e nonno di 22 nipoti), morì in ospedale il giorno di Natale del 1969.
L’ultima vittima della strage fu Vittorio Mocchi che aveva 33 anni al momento dell’attentato. Era sposato e aveva tre figlie. Era in banca per trattare l’acquisto di un tattore e di concimi. Subì gravissimi danni fisici e psicologici nell’esplosione. Dopo anni di sofferenze morì nel 1983. È stato riconosciuto come vittima del terrorismo solo nel 2002.

