
Oggi è il compleanno dell’ex centravanti di Inter, Juventus e Nazionale. Una vita di lotta contro i difensori con maniere più o meno ruvide
Quando il coraggio era una virtù taciuta e non una posa da bullo a uso dei selfie, Roberto Boninsegna era il più cuor di leone tra i centravanti italiani. Sfoderava clamorose sforbiciate e colpi di testa perentori, offrendo il profilo al vento e ai tacchetti degli stopper, che all’epoca tenevano gli sguardi truci e i piedi da 41 bis. Oggi Bonimba – come lo chiamava Gianni Brera, a evocare il nano Bagonghi, acrobata del circo che fu – compie 80 anni e va da sé che per tutti quelli che l’hanno ammirato vale la citazione del protagonista di Radiofreccia, il film del non a caso interista Luciano Ligabue: “Credo nelle rovesciate di Bonimba”. Era una fede, quella per questo centravanti tracagnotto ma cesellato con la ghisa, capace di consegnarsi alla leggenda nel gesto più spettacolare, quello della rovesciata, la più virtuosa delle acrobazie capovolta che sospende il tempo e lo spazio.
Chi è Roberto Boninsegna – Mantovano, classe 1941, figlio della guerra, madre appassionata di calcio e padre operaio; Roberto nasce come tifoso dell’Inter e all’Inter ci finisce da ragazzo, salvo poi non venire preso in considerazione dal Mago Herrera, che gli nega l’accesso in prima squadra e convince il club a mandarlo in prestito in giro per l’Italia. Prato e Potenza in B per farsi le ossa, il Varese per assaggiare la Serie A, il Cagliari di fine Anni 60 per fare coppia con quello che si rivelerà il suo omologo, Gigi Riva, altro hombre vertical che come Bonimba, in area avversaria non temeva nessuno. Nel 1969 Boninsegna deve cedere alle insistenze del presidente del Cagliari costretto a fare cassa e allora gli intima: “O Inter o niente”. Inter, dunque. 173 gol complessivi in maglia nerazzurra, fino al 1976, in bacheca lo scudetto della rimonta con “Robiolina” Invernizzi in panchina e nelle pagine di storia per quella famosa lattina, che mano anonima gli lanciò sulla testa – era vicino al fallo laterale e si accingeva a battere una rimessa – una notte di fine ottobre 1961, era l’andata dei quarti della Coppa dei Campioni, l’Inter giocava in casa di una squadra che al solo pronunciarla – Borussia Monchengladbach – faceva paura. Il dottor Quarenghi nel referto scrisse che “Boninsegna Roberto è rimasto privo di conoscenza per circa otto minuti”, l’Inter portò la questione in tribunale e l’arringa dell’avvocato Peppino Prisco fu talmente avvincente che la gara – finita 7-1 – venne ripetuta.
Boninsegna dall’Inter alla Juventus – trentacinque anni Boninsegna finì alla Juventus in cambio di Pietruzzo Anastasi. All’Inter si fregarono le mani, convinti di aver fatto l’affare. Mica vero. A Torino Bonimba ritrovò l’antico guizzo e si rivelò fondamentale nei primi due anni del Trap, vincendo due scudetti e la Coppa Uefa, per il primo trionfo europeo del club bianconero. Sapeva farsi rispettare: gli avversari di allora raccontano che si spargeva il peperoncino suoi gomiti, per poi avvicinare il braccio a chi osava contrastarlo. Si chiama legittima difesa. 22 presenze in Nazionale (pochine, ma la concorrenza era agguerritissima: Riva, Anastasi, Prati) e 9 gol, il più celebre dei quali segnato nella finale di Città del Messico, all’Azteca, contro il Brasile di Pelé, che aveva appena portato in vantaggio la Seleçao arrampicandosi in cielo. Poi finì come sappiamo, per manifesta superiorità la Coppa del mondo andò in Brasile.
Boninsegna attore – Negli anni d’oro recitò anche nel ruolo di un monatto nel sceneggiato televisivo dei Promessi Sposi. In realtà per la parte era stato scelto il suo compagno di squadra all’Inter Giacinto Facchetti, ma il capitano gli telefonò e gli disse: “Fallo tu, sei perfetto”. E perché, chiese Bonimba. “Perché io sono troppo bello”, chiosò Facchetti.

