
Negli anni Settanta Milano ospitava 160 cinema, oggi 28. Eppure, la città offre ancora tante possibilità ai cinefili: dal Mexico al Beltrade, dall’Orfeo al rinato Arlecchino (che propone i film più belli del mondo): ecco le sale che resistono alla concorrenza di Netflix e Tiktok
Ci sono stati anni in cui il cinema è stato per noi il mondo, Italo Calvino lo ha scritto meglio ma valeva per tutti: «Cinema vuol dire sedersi in mezzo a una platea di gente che sbuffa, ansima, sghignazza, succhia caramelle, ti disturba, entra, esce, magari legge le didascalie forte come al tempo del muto; il cinema è questa gente, più una storia che succede sullo schermo». Sembrano passati secoli, o forse no. Lunedì 31 luglio dell’anno 2023, mentre molti di noi passeranno la serata a scegliere quale puntata di quale serie guardare su Netflix – senza avere nemmeno una vaga idea di cosa faranno intanto i nostri figli su TikTok – all’Odeon di via Santa Radegonda è in programma l’ultimo spettacolo.
Se al mondo nessun cinema è uguale ad un altro, a Milano l’Odeon è stato un luogo davvero speciale. Per posizione: a due passi dal Duomo. Per offerta: il più grande multisala in città, con dieci sale e 2.250 posti a sedere. Per storia: inaugurato nel 1929 con le immagini della Spedizione in Dancalia del Barone Franchetti, nel ’43 ospitò i concerti dell’Orchestra della Scala, devastata dai bombardamenti. Per bellezza: l’ingresso monumentale, il soffitto imponente, i lampadari art déco ricordano il Tuschinski Theater di Amsterdam, che è il cinema più bello di tutti. Lì per trovare un biglietto conviene andare sul sito con qualche giorno di anticipo, e la mattina si organizzano visite guidate condotte da storici dell’arte; l’Odeon invece sta per lasciare spazio a un centro commerciale (anche se il gestore ha fatto sapere in un comunicato che «non esclude» la possibilità di ricollocare alcune delle sale più piccole «nella stessa location, anche se con una conformazione diversa», ovvero al piano interrato).
Le statistiche dell’Anec Lombardia informano che negli anni Settanta il Comune di Milano ospitava 160 cinema indipendenti, oggi ne sono rimasti 28. La Spoon river attraversa soprattutto il centro storico. Negli anni Ottanta chiuse il Capitol di via Croce Rossa, quello che aveva ospitato la leggendaria prima della Dolce Vita, quando ai titoli di coda una signora in pelliccia sputò addosso a Fellini e un altro spettatore annunciò al regista: «Signore, la sfido a duello» (il maestro alla fine trovò rifugio in Terrazza Martini, scortato da Mastroianni e Anita Ekberg). Nel 1999 si è spento l’Astra, nei primi anni Duemila è toccato all’Ariston, al Corso e all’Ambasciatori. Poi sono scomparsi anche il Corallo, il Manzoni, il Pasquirolo, l’Excelsior, il Mignon. Hanno chiuso le sale d’essai come lo Gnomo e l’Orchidea; e in via Giambellino anche l’ultima sala a luci rosse.
In fondo, a pensarci bene, il primo a dare il triste annuncio era stato lo stesso Louis Lumière: «La nostra è un’invenzione senza futuro». Sono passati 127 anni dal primo film della storia, girato da quei fratelli terribili all’uscita di una fabbrica di Lione. E la notizia della morte del cinema – rilanciata nei decenni successivi, per colpa di volta in volta delle tv commerciali, dell’avvento di Internet e delle serie in streaming – oggi rimane francamente esagerata. È vero, chi la mattina attraversava di corsa Piazza Liberty per non arrivare in ritardo all’Apollo adesso sbatterebbe sulle vetrate dell’Apple Store; ma l’Anteo si è allargato fino a diventare un Palazzo che per gli appassionati è proprio un Paese dei Balocchi.
Quando il Beltrade ha riaperto dopo il Covid, con una proiezione speciale di Caro Diario alle 6 del mattino, c’erano cento persone in coda alla biglietteria. L’Eliseo, l’Arcobaleno, l’Ariosto, l’Orfeo, il Ducale resistono. L’offerta di film in lingua originale negli ultimi cinque anni è esplosa. Non sarà un capolavoro, ma Barbie sta riempiendo le sale come non accadeva da anni. Tornare al Mexico è sempre un piacere, ma i più fortunati sono quelli che in questi giorni sono andati al Centrale a vedere Suntan, un piccolo film che è grande cinema.
Appena un anno fa era arrivata la notizia della chiusura di un altro cinema storico, l’Arlecchino di via San Pietro all’Orto. Nel giro di qualche mese, come nel finale di un film di Frank Capra, la riapertura a sorpresa grazie alla Cineteca di Milano. Con una programmazione che fa sognare solo a leggerla. In questi giorni ci sono Paris, Texas e Profondo Rosso. Per Mancia competente di Lubitsch in platea c’erano anche dei bimbi delle elementari. Qualche settimana fa hanno dato proprio La dolce vita. Ai cinefili sopravvissuti è tornato in mente quando il film di Fellini arrivò per la prima volta nel 1960 e fece scandalo, portando in sala milioni di spettatori dal Capitol di Milano fino a San Firmino, il paesino siciliano del barone Fefè Cefalù di Divorzio all’Italiana: «Ci sono orge degne di Tiberio, si scambiano le mogli… strip-tease! Amunìnni, picciotti». Vale ancora oggi: andiamo al cinema, ragazzi.

