29 maggio 1985 – la tragedia dell’Heysel


29 maggio 1985 – la tragedia dell’Heysel

È stato purtroppo uno dei giorni più tristi in assoluto per il mondo del calcio.

La strage dell’Heysel  fu una tragedia avvenuta il 29 maggio 1985, poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600.

Le vittime

Le vittime della strage furono trentanove.

Nazionalità Morti
Italia Italiani 32
Belgio Belgi 4
Francia Francesi 2
Irlanda Irlandesi 1
Totale 39
  1. Rocco Acerra (28)
  2. Bruno Balli (50)
  3. Alfons Bos (35)
  4. Giancarlo Bruschera (35)
  5. Andrea Casula (11)
  6. Giovanni Casula (44)
  7. Nino Cerullo (24)
  8. Willy Chielens (41)
  9. Giuseppina Conti (17)
  10. Dirk Daeneckx (38)
  11. Dionisio Fabbro (51)
  12. Jaques François (45)
  13. Eugenio Gagliano (35)
  14. Francesco Galli (25)
  15. Giancarlo Gonelli (20)
  16. Alberto Guarini (21)
  17. Giovacchino Landini (50)
  18. Roberto Lorentini (31)
  19. Barbara Lusci (58)
  20. Franco Martelli (22)
  21. Loris Messore (28)
  22. Gianni Mastroiaco (20)
  23. Sergio Mazzino (38)
  24. Luciano Rocco Papaluca (38)
  25. Luigi Pidone (31)
  26. Benito Pistolato (50)
  27. Patrick Radcliffe (38)
  28. Domenico Ragazzi (44)
  29. Antonio Ragnanese (29)
  30. Claude Robert
  31. Mario Ronchi (43)
  32. Domenico Russo (28)
  33. Tarcisio Salvi (49)
  34. Gianfranco Sarto (47)
  35. Amedeo Giuseppe Spolaore (55)
  36. Mario Spanu (41)
  37. Tarcisio Venturin (23)
  38. Jean Michel Walla (32)
  39. Claudio Zavaroni (28)

Heysel_plan[1]

Mappa dell’Heysel: il settore Z occupato dai tifosi italiani nella parte laterale viene invaso dagli hooligan inglesi.

Circa un’ora prima della partita (ore 19.20; l’inizio della partita era previsto alle 20.15) i tifosi inglesi più accesi – i cosiddetti hooligan – cominciarono a spingersi verso il settore Z a ondate, cercando il take an end (“prendi la curva”) e sfondando le reti divisorie: memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini, reazione che non sarebbe mai potuta esserci, dato che la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta (settori M – N – O). Gli inglesi sostennero di aver caricato più volte a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori, juventini e non, impauriti, anche per il mancato intervento e per l’assoluta impreparazione delle forze dell’ordine belghe, che ingenuamente ostacolavano la fuga degli italiani verso il campo manganellandoli, furono costretti ad arretrare, ammassandosi contro il muro opposto al settore della curva occupato dai sostenitori del Liverpool.

Dal lato sportivo, la UEFA e la dirigenza delle due squadre decisero di giocare comunque la partita, così da evitare un rinvio che avrebbe probabilmente creato ulteriori tensioni tra le tifoserie. Dopo momenti di deciso imbarazzo, la RAI tramise ugualmente l’incontro, anche se il telecronista Pizzul prese la decisione di “commentarlo nel modo più asettico possibile”. Dura invece la reazione dell’emittente tedesca, che si rifiutò di diffondere l’evento, mentre il canale austriaco trasmise la finale ma senza alcun commento e con una scritta in sovraimpressione che recitava: “Questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva”.

L’incontro venne vinto dalla Juventus con il punteggio di 1-0, con la rete decisiva che venne segnata da Michel Platini su calcio di rigore. Il presidente della Juventus, Giampiero Boniperti, censurò però ogni tipo di esultanza nelle strade di Torino per rispetto delle vittime.

23 maggio 1992 – La strage di Capaci


Strage di Capaci

La strage di Capaci fu un attentato messo in atto da Cosa Nostra in Italia, il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo.

Nell’attentato persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza.

Stragecapaci

Ogni anno, il 23 maggio, si tiene a Palermo e Capaci una lunga serie di attività, in commemorazione della morte del magistrato Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo.

I resti dell’auto sono esposti a Roma, presso la scuola di formazione degli agenti di polizia penitenziaria.

Nell’anno della strage è stata creata anche una fondazione intitolata a Giovanni e Francesca Falcone e guidata da Maria Falcone, sorella del magistrato, che si propone di combattere la criminalità organizzata e di promuovere attività di educazione della legalità. La Fondazione ha ottenuto dall’ONU nel 1996 il riconoscimento dello status consultivo in qualità di ONG presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.

Ogni due anni il comune di Triggiano, paese originario di Rocco Dicillo, agente della scorta del magistrato Falcone, ricorda la strage di Capaci organizzando un premio d’arte contemporanea la “Biennale Rocco Dicillo”, ispirata al tema della legalità.

Oggi è l’anniversario della morte di “Un Uomo Perbene”


enzo Tortora

 Tortora, giornalista e presentatore televisivo, passò dalla condizione di divo a quella di carcerato per un errore giudiziario, che dovrebbe suonare da monito a molti, prima che fosse riconosciuta la sua innocenza e  restaurato il suo onore.

Il 31 dicembre 1985 si dimette da europarlamentare e, rinunciando all’immunità parlamentare, resta agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte d’appello di Napoli

Così, in una intervista concessa al programma La Storia siamo noi, in una puntata dedicata specificamente al caso Tortora, il giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d’indagine che ha portato all’assoluzione del popolare conduttore televisivo:

« Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell’altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie… E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.» »